Coronavirus, ce la facciamo a “tenere” con la testa?

L'isolamento e lo stravolgimento delle nostre vite comincia farsi sentire. Gli adolescenti chiusi in camera, le donne che temono di venire tagliate fuori dal lavoro per la crisi. Le persone sole che sentono affiorare l'ansia. Gli anziani che si lasciano andare. L'emergeza psicolOgica è da mettere in conto. E alcuni servizi si stanno attivando

Al primo decreto e alle iniziali misure di contenimento del contagio da coronavirus, ne sono seguiti altri sempre più stringenti. Ma dopo oltre un mese dal via della crisi sanitaria, si inizia a parlare di emergenza psicologica, dettata soprattutto dalla difficoltà di accettare le limitazioni agli spostamenti, lo stravolgimento della propria vita professionale e personale, la paura di perdere il lavoro, la mancanza di relazioni umane dirette e soprattutto l’incertezza sulla fine di questa condizione. Secondo una ricerca, condotta dall’Università di Harvard sul nostro Paese, a “soffrire” sono soprattutto i giovani: 1 su 5 fatica ad accettare le norme per mitigare l’epidemia. Particolarmente esposte ai «rischi da quarantena» anche le donne, come già accaduto in occasione della Sars del 2002-2003 in Asia.

I giovani fanno fatica ad accettare le restrizioni

«Dall’emergenza sanitaria si passerà a quella psicologica»: ha pochi dubbi Gary King, coordinatore di uno studio condotto su un campione di circa 3.500 persone in Italia, scelto in quanto primo paese occidentale ad essere compito dall’epidemia. Dallo studio americano emerge che «I messaggi di tipo sanitario lanciati dal Governo (lavarsi le mani di frequente, non uscire, mantenere la distanza di sicurezza) sono stati capiti e accettati da tutti, fatta eccezione per i giovani adulti, tra i quali si registra un grado di conformità inferiore» spiega il ricercatore, con riferimento in particolare alla fascia d’età tra i 18 e i 29 anni. Ma il vero problema secondo King è che «la quarantena sta iniziando ad avere effetti negativi seri sulla salute mentale della popolazione». Un campanello d’allarme che trova riscontro tra gli esperti italiani.

Le nostre vite sospese

Alle immagini della gente sui balconi, alle canzoni cantate durante flashmob nati in rete, si contrappone il silenzio di chi fatica ad accettare una nuova dimensione: «La vita si è trasferita tra le quattro mura domestiche. Tutti gli elementi come il lavoro, la corsa verso gli obiettivi di carriera o soddisfazione personale, ma anche la socialità e le attività che prima riempivano la vita sono scomparsi. È come se la vita fosse sospesa: questo comporta un disagio psichico consistente, la gente sta male soprattutto perché non si sa per quanto durerà questa condizione» spiega Carlo Alfredo Clerici, medico specialista in Psicologia clinica, ricercatore presso l’Università statale di Milano. «A creare un trauma non c’è infatti solo l’evento negativo in sé, la pandemia. Alla sorpresa iniziale, che può spaesare, nel tempo si aggiunge l’incertezza, perché non si sa quando questa situazione finirà. Nel caso specifico, poi, si aggiunge il fatto che il nemico non si vede: sappiamo che è nell’aria che si respira, nella stretta di mano, sugli oggetti, ma non lo si vede e questo ci fa vivere in un costante stato di allarme» spiega Clerici.

Adolescenti barricati in camera o nei social

«Ad essere maggiormente in difficoltà sono i giovani, gli adolescenti, che vivono un’età nella quale hanno bisogno di separarsi dal mondo dei genitori e invece si ritrovano in casa con loro. Per questo finiscono col rifugiarsi nello stretto spazio di una camera, cercando l’evasione in una dimensione virtuale come quella social e di internet» spiega l’esperto.

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Le donne temono che saranno le prime a perdere il lavoro

La rivista Lancet ha analizzato una serie di studi sugli effetti psicologici in occasione di epidemie passate, a partire dalla Sars del 2002-2003. In quella occasione la quarantena ha avuto ricadute negative anche a lungo termine, nei tre anni successivi alla fine dell’isolamento. I sintomi più frequenti sono stati stress post traumatico, abuso di alcol e altre sostanze, ma anche una serie di comportamenti evitanti, legati alla paura di avere contatti ravvicinati con altre persone anche dopo la fine della quarantena. A questo si unisce il timore della perdita del lavoro, che ha colpito soprattutto le donne, già alle prese con il problema della mancanza di parità di genere, le discriminazioni professionali e le difficoltà a coniugare la dimensione lavorativa con quella familiare e privata.  

Dietro al “ritorno alla famiglia” si nasconde l’ansia 

Prima le corse ai supermercati a fare scorte, poi la voglia di tornare nei locali pubblici soprattutto da parte dei più giovani, come se non si volesse ammettere la necessità di un cambio di abitudini, infine l’assalto ai treni: secondo gli esperti sono tutti segnali di un disagio che nel tempo può tradursi in ansia collettiva, dimostrata anche dalla non tolleranza nei confronti di chi non rispetta le regole o si presume che non lo faccia (vedasi la “caccia” i runner). Specie per le famiglie più numerose che vivono in appartamenti piccoli in città, la quarantena può essere vissuta come una “prigione”: «I dati sugli acquisti ci dicono molto: manca la farina nei supermercati, significa che in tanti si sono messi a fare torte o pane, recuperando rituali familiari e collettivi, ma per quanto ancora? Non a caso ci si interroga anche sul senso delle cose, si cercano risposte anche nella spiritualità, come dimostra il picco di ascolti della Messa di Papa Francesco in un momento in cui sembrava che la religiosità fosse sparita dalla nostra società» dice Clerici. Gli psicologi sono unanimi nel ritenere che chi soffriva già di un disturbo possa avere ora un aggravamento, mentre in altri soggetti potrebbe emergere un disagio latente, magari non diagnosticato o curato in modo adeguato, che si può manifestare con disturbi del sonno, ansioso-depressivi o stato di stress.

Non mollare è un dovere, ma lo sconforto è da mettere in conto

«Adesso non mollare è un dovere istintivo, ma è comprensibile che prima o poi il momento di sconforto arrivi per tutti» si legge sul sito del ministero della Salute che, insieme al Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi (Cnop) ha promosso l’iniziativa #psicologionline. Accedendo al sito della Cnop si possono prenotare consulti gratuiti (telefonici o con videochiamata) con oltre 4mila psicologi o psicoterapeuti in tutta Italia. Anche la Società psicanalitica italiana (Spi) offre un servizio di ascolto e consulenza (fino a 4 appuntamenti gratuiti) per problematiche legate all’emergenza coronavirus. Oltre ai call center organizzati anche da diverse realtà territoriali (Comuni, Asl, ecc.) la Croce Rossa ha messo a disposizione il numero verde 800.06.55.10 per ricevere «assistenza e telecompagnia contro stress e incertezza».

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