Coronavirus: è vero che potrebbe durare 3 mesi?

Le stime più accreditate dicono che ci voranno tre mesi per avere una regressione del contagio. A patto che le misure restrittive vengano mantenute e allargate il più possibile. Ecco su cosa si basa questa previsione

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha rivolto un appello alla popolazione, chiedendo di rispetto delle norme più stringenti per il contenimento del coronavirus, dicendo che occorreranno «due settimane per avere un riscontro». La Cancelliera tedesca, Angela Merkel, stima che in Germania si infetterà il 60/70 per cento della popolazione e che l’emergenza durerà circa 3 mesi. Si tratta di un periodo di tempo analogo a quello indicato da due studi indipendenti pubblicati sulla rivista The Lancet. Quanto tempo ci vorrà dunque per debellare il COVID-19?

Ci vorranno 3 mesi per domare il contagio

Secondo un primo studio, coordinato da Rosalind M. Eggo della Scuola di Igiene e Medicina tropicale di Londra, nel Regno Unito, i modelli matematici indicano che per sconfiggere la diffusione del COVID-19 bisogna individuare a tracciare almeno il 70% di coloro che sono entrati in contatto con le persone contagiate. Quanto tempo occorre per farlo?

Una seconda ricerca, condotta dagli scienziati della Oxford University, spiega che occorrono circa tre mesi per domare i focolai, a condizione però che i malati siano isolati in modo tempestivo e siano individuati possibili casi “nascosti” che altrimenti il virus sarebbe in grado di rialimentare.

«Fare previsioni precise è molto difficile perché si tratta di un virus nuovo. Secondo i modelli cinesi, noi dovremmo avere un cambio nell’andamento dei contagi in due settimane. Si tratta di stime fondate su diagrammi cartesiani, ma bisogna tenere presente che il modello cinese non è trasferibile nel nostro Paese: lì si è proceduto a una quarantena di 60 milioni di persone, pari all’intera popolazione italiana, con misure rigide e sanzioni ancor più severe» spiega Giorgio Palù, Presidente alla Società europea di virologia.

In Cina dopo 100 giorni c’è stata una flessione

«In Cina sono serviti circa 100 giorni perché si potesse iniziare a vedere una flessione: era l’8 dicembre quando si è individuato il paziente zero, il medico poi morto proprio per il coronavirus; il picco si è registrato a febbraio e ora i casi giornalieri sono in calo, circa 10 al giorno. Gli esperti si rifanno a questa curva, ma l’ampiezza potrebbe essere differente nel nostro Paese» spiega Palù. «Nessuna epidemia al mondo è mai progredita all’infinito, anche perché i virus hanno la tendenza ad adattarsi al loro ospite, non a ucciderlo. È fondamentale contenerne la diffusione e l’eventuale scomparsa apparente, non abbassando la guardia» spiega il virologo.

Bisogna mantenere le restrizioni anche dopo il picco 

«È importantissimo mantenere le misure di contenimento e mitigazione perché questo virus si sta manifestando in modo asincrono, cioè non con la stessa intensità e presenza in tutti i territori, sia all’interno dell’Italia che in altri Paesi europei. Nel momento in cui ci sarà la regressione nelle prime regioni colpite, come Lombardia e Veneto, bisognerà proseguire con i blocchi anche altrove, per evitare, ad esempio, che si formi un nuovo focolaio in un’altra regione e che da quella i contagi si propaghino nuovamente altrove. Lo stesso vale per gli altri Paesi europei e nel mondo» spiega Palù.

Le restrizioni vanno estese nel mondo

«In questo senso la dichiarazione di pandemia da parte dell’OMS è positiva, perché consente di introdurre limitazioni severe allo spostamento di merci e persone anche altrove. In un primo tempo all’estero ci dileggiavano, mettendoci in quarantena: ora si è capito che questi interventi non farmacologici sono indispensabili» conclude il presidente della Società europea di virologia.

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Ora si punta più ai farmaci che al vaccino 

Nuovi farmaci o un vaccino potrebbero aiutare a debellare più rapidamente il COVID-19? «Certamente sì e c’è già una buona notizia. I risultati di un farmaco anti-artrite reumatoide testato su alcuni pazienti a Napoli sono molto incoraggianti. Finora  le terapie si sono basate soprattutto sul ricorso a medicinali per l’ebola o antivirali contro l’HIV, in uso compassionevole. Significa che sono stati somministrati in modalità Off Label, cioè sperimentale, con la speranza di guarire e salvare i contagiati. Si tratta di farmaci privi di tossicità sull’uomo, ma di cui non è stata provata l’efficacia per il COVID-19. La speranza, dunque, è che uno o più farmaci possano contribuire a sconfiggere il coronavirus in tempi più rapidi possibili, mentre procedono le ricerche sul vaccino» conclude l’esperto.

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