La fase 2 secondo l’OMS

L’Organizzazione Mondiale della Sanità indica 6 condizioni per accedere alla Fase 2 della pandemia. Sono indispensabili cautela ma soprattutto organizzazione. Non su tutto l'Italia è pronta

Contagi sotto controllo, test e tamponi sufficienti, RSA in sicurezza e misure di protezione sui luoghi di lavoro: sono alcune dei criteri ritenuti fondamentali dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per passare alla cosiddetta Fase 2 dell’emergenza coronavirus, con la graduale riapertura dopo il lockdown. Ma a che punto è l’Italia?

Conte: «Riaprire subito è da irresponsabili»

Il premier, Giuseppe Conte, ha scelto Facebook per confermare che dal 4 maggio inizierà la Fase 2, con parziali e graduali riaperture: «Molti cittadini sono stanchi e vorrebbero un significativo allentamento delle misure anti contagio o, addirittura, la loro totale abolizione» ha detto il presidente del Consiglio, ricordando: «Vi sono poi le esigenze delle imprese e delle attività commerciali di ripartire al più presto. Mi piacerebbe poter dire: riapriamo tutto. Subito. Ripartiamo domattina. Ma sarebbe irresponsabile. Farebbe risalire la curva del contagio in modo incontrollato e vanificherebbe tutti gli sforzi che abbiamo fatto sin qui. Tutti insieme».

Ma allora cosa serve per ripartire? A fornire le linee guida è l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Il piano strategico dell’OMS

In un documento di una ventina di pagine è l’OMS a indicare la strada da seguire, con il suo Strategic Preparedness and Response Plan. «Si tratta di indicazioni di strategie di massima, che poi sono tradotte a livello operativo dai singoli Paesi, come sta facendo il nostro» spiega Paolo D’Ancona, epidemiologo e ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità. Ecco i sei punti fondamentali:

1. Controllo della trasmissione del COVID-19

La riapertura da parte dei singoli Paesi può avvenire, secondo l’OMS, solo nel momento in cui la trasmissione del coronavirus è sotto controllo, con il Sistema sanitario pronto a gestire nuovi eventuali focolai e a curare i malati. «Da noi per la prima volta si sta parlando di trend in diminuzione e di un calo della trasmissione. Questo significa la fine dell’emergenza negli ospedali e nei reparti di terapia intensiva. È chiaro che siamo in una fase delicata: la riapertura, per esempio, di un centro commerciale rappresenta un fattore di rischio. Lo stesso vale per gli stabilimenti balneari al mare. Ogni riapertura di un microambiente, insomma, va accompagnata da norme che garantiscano la sicurezza degli utenti, come avvenuto finora» spiega D’Ancona.

2. Sistema Sanitario efficiente

L’OMS indica come fondamentale la capacità di individuare, testare, isolare e porre in quarantena eventuali nuovi casi di contagio. «Per farlo occorre avere un numero sufficiente di tamponi, ad esempio. Oppure bisogna essersi dotati di test sierologici efficaci e disponibili in quantità adeguata, insieme a sistemi di tracciamento che consentano di risalire alla catena dei contagi» spiega D’Ancona. «Per questo si parla molto anche delle App che consentono di risalire ai contatti con persone positive e, se necessario, a tamponi e quarantene» aggiunge l’esperto epidemiologo.

3. Messa in sicurezza dei luoghi più vulnerabili

«Si tratta delle RSA, le case di cura e riposo che sono al centro dell’attenzione in questi giorni. Sono strutture ad elevato rischio e devono essere messe in sicurezza. L’ Istituto Superiore di Sanità ha appena pubblicato un nuovo documento che contiene le indicazioni su come preparare queste strutture e gestire i casi sospetti di COVID-19. Per esempio, anche in residenze dove non ci sono stati registrati contagi, bisogna evitare momenti di aggregazione, gioco o svago che coinvolgano più ospiti contemporaneamente. In molti si sono lamentati ritenendola una misura troppo restrittiva, ma queste norme sono necessarie, esattamente come quelle che regolano il distanziamento in luoghi esterni alle strutture» spiega l’epidemiologo. Il numero elevato di decessi registrati nelle RSA, non solo in Italia, dimostra una fragilità e forse impreparazione: «Avevamo già emesso delle linee guida a marzo, ora le abbiamo riviste, anche alla luce della diversa capacità di intervento. Per esempio, all’inizio dell’emergenza non c’era la stessa possibilità di effettuare tamponi. Oggi se un ospite risulta positivo in una piccola struttura, viene portato in ospedale, mentre fino a pochi giorni fa non c’erano neppure posti disponibili» dice D’Ancona.

4 Misure si protezione sui luoghi di lavoro

Se ne parla da tempo, un ritorno al lavoro presuppone l’adozione di regole nuove per chi vi accede. Termoscanner, mascherine e distanziamento sono necessari, ma non solo: «Io aggiungerei che diventa importantissima la figura del medico del lavoro che deve conoscere molto bene il singolo posto di lavoro, le mansioni e cosa queste comportano, per valutare quali siano le misure più corrette da adottare. Un conto è lavorare a computer, ad esempio, un altro è stare in un laboratorio» spiega l’epidemiologo.

5 Gestione dei casi di ritorno

Se le indicazioni dell’OMS si riferiscono a un contesto mondiale molto variegato, per l’Italia il problema si traduce nella gestione degli spostamenti, da provincia a provincia e da regione a regione: «Abbiamo aree nelle quali i casi sono stati pochi e zone invece critiche. Nella fase 2 bisogna prevedere cosa potrebbe succedere alla ripresa degli spostamenti: una tratta ferroviaria come la Milano-Roma potrebbe essere limitata? Si dovrebbe prevedere qualche criterio di accesso, come un’estensione del divieto di circolazione se non casi strettamente indispensabili? Sono tutti aspetti ai quali il governo sta lavorando» dice l’epidemiologo.

6 Informazione alla popolazione

L’ultimo punto riguarda la necessità di un’informazione corretta e puntuale ai cittadini, che devono adeguarsi a uno stile di vita nuovo rispetto al passato.

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