Coronavirus, cos’è una pandemia

Le pandemie sono epidemie che superano i confini nazionali e internazionali, contagiando un ampio numero di persone in tutto il mondo. L'Oms ha aspettato a dichiarare il coronavirus una pandemia per non amplificare il panico. Non significa che ora COVID-19 ha maggiore mortalità ma una più ampia diffusione

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che quella del COVID-19 è una pandemia, il contagio da coronavirus ormai si estende a tutti i paesi del mondo: è diffuso in ogni continente a eccezione dell’Antartide. I paesi colpiti sono 105 su un totale di 180.

La dichiarazione di pandemia permette all’OMS di chiedere interventi di contenimento a tutti gli Stati coinvolti L’obiettivo è quello di tentare di tenere sotto controllo la situazione. «Ci sono paesi che non stanno facendo abbastanza per arginare l’epidemia» aveva avvertito una settimana fa il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus. 

Ma cosa significa pandemia? Che differenza c’è con l’epidemia e cosa comporta?

Cos’è una pandemia

Le pandemie (dal greco pan, «tutto», e demos, «popolo») sono epidemie che superano i confini nazionali e internazionali, contagiando un ampio numero di persone in tutto il mondo. Finora l’Oms aveva mantenuto la linea della prudenza, limitandosi a chiamare il contagio da COVID-19 epidemia, soprattutto per non scatenare paure e timori. Ghebreyesus aveva parlato di rischio di «inutile amplificazione, paura e stigmatizzazione ingiustificate» oltre che di potenziale «paralisi dei sistemi», anche se la comunità scientifica aveva già iniziato da qualche tempo a usare questo termine per il coronavirus.

Da epidemia a pandemia cosa cambia

Come tutte le malattie, anche il contagio da COVID-19 ha avuto un inizio in un’area geografica ben definita, in questo caso la Cina, in particolare la regione di Hubei e la provincia di Wuhan. Quando i casi di infezione hanno iniziato a registrarsi anche al di fuori di questi territori si è iniziato a parlare di epidemia. Con l’estensione dei contagi anche in altri continenti in modo sempre più massiccio si è potuto parlare di pandemia. La parola ha a che fare con la elevata trasmissibilità e quindi con la grande diffusione in tutto il mondo, non con una maggiore gravità o mortalità: «Non aggiunge nulla riguardo all’immunità della popolazione, alla virulenza o alla gravità della malattia» ha chiarito l’epidemiologo Heath Kelly sulle pagine dell’OMS.

Perché l’influenza non è una pandemia

Anche l’influenza annuale ha una diffusione sovranazionale e internazionale, ma non è considerata pandemia perché ha un andamento stagionale, dunque “prevedibile”, e non colpisce nello stesso momento la popolazione mondiale. Può diffondersi in tutti i continenti, ma può verificarsi nei due emisferi in periodi differenti. Il coronavirus, invece, sta colpendo sia a nord che a sud dell’Equatore in contemporanea (ad esempio in Australia dove è estate e fa caldo, così come in Canada dove invece è inverno e ci sono temperature rigide).

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Quali misure comporta la pandemia

Con il passaggio da epidemia a pandemia, l’OMS può chiedere a tutti gli Stati di adottare misure di contenimento del contagio e mitigazione dell’infezione, proprio come limitazioni agli spostamenti o il fermo di alcune attività. L’Organizzazione Mondiale della Sanità può anche inviare propri esperti in alcune aree critiche, come già avvenuto in Cina (Pechino, Wuhan, Shenzhen, Guangzhou e Chengdu) e in Italia, per verificare le misure messe in atto e le reali dimensioni del contagio. 

Come si ferma una pandemia

Nel caso cinese è stato elogiato «l’uso intransigente e rigoroso di misure non farmaceutiche per contenere la trasmissione del virus COVID-19». Per l’OMS «queste sono le uniche misure che attualmente hanno dimostrato di interrompere o ridurre al minimo le catene di trasmissione nell’uomo».

Quanto deciso in Italia, con limitazioni agli spostamenti, chiusura delle scuole, sospensione delle attività aggregative e ludico-sportive, e imposizione del rispetto delle distanze di sicurezza ovunque, è un altro esempio positivo per l’OMS: «Con azioni decisive e precoci, possiamo rallentare il coronavirus e prevenire le infezioni» ha detto Ghebreyesus, specificando l’obiettivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e aggiungendo: «Che sia pandemia o no, la regola è la stessa: non mollare».

Le pandemie nella storia

Influenza suina: il precedente più vicino nel tempo è la pandemia di H1N1 del 2009, proveniente sempre dall’Asia e noto come “influenza suina”. In Italia ci furono 1 milione e mezzo di contagi, ma il tasso di mortalità risultò inferiore a quello della normale influenza.

Influenza asiatica: la pandemia si è verificata nel 1957 con la diffusione del virus A H2N2, isolato per la prima volta in Cina e che provocò 2 milioni di decessi fino al 1960, quando venne dichiarata definitivamente terminata.

Influenza di Hong Kong: causata dal virus H3N3, si verificò tra il 1968 e il 1969. Fu chiamata anche “influenza spaziale” perché nel ’69 avvenne il primo sbarco sulla Luna. Colpì tra i 10 e i 13 milioni di persone, mentre le vittime in Italia furono all’incirca 20mila (500mila nel mondo).

Influenza spagnola: è considerata la “madre” di tutte le pandemie. Si è verificata nel 1918 in concomitanza con la Prima Guerra mondiale. Deve il suo nome al fatto che se ne parlò per la prima volta in Spagna che, non essendo coinvolta nel conflitto, non era sottoposta a censura, anche se venne identificata in Kansas. Si stima abbia contagiato 500mila persone in tutto il mondo, uccidendone 25 milioni (ma qualcuno ritiene che le vittime siano state anche 50/100 milioni). In Italia le vittime furono circa 600mila, soprattutto al sud.

Peste nera: si verificò nel 1300 e decimò la popolazione dell’Europa, dove arrivò dalla Cina. Venne invece classificata solo come epidemia la SARS, la Sindrome Acuta Respiratoria Grave, diffusa solo in aluni Paesi tra il 2002 e il 2003 a partire dalla provincia del Guangdong, in Cina. Causò 800 vittime in un anno, compreso il medico italiano Carlo Urbani, il primo a identificare il virus.

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