Cos’è e come funziona il numero antiviolenza 1522

Il numero anti-violenza 1522 è nazionale e se chiami ti può indirizzare ai centri sul territorio più vicini a te. Se invece ti rivolgi a una associazione, qui ti diciamo quali caratteristiche deve avere per aiutarti in modo efficace

Per rispondere al bisogno di aiuto delle donne contro la violenza si moltiplicano le iniziative, come gli scontrini dei supermercati con stampato il numero anti-violenza 1522. Tra le prime catene ad aderire c’è stata la Coop, insieme alle farmacie lombarde, che fin dalla scorsa primavera avevano emesso ricevute con la scritta: «Se sei vittima di violenze o stalking chiama il 1522. Il numero è gratuito e attivo 24h su 24». Ma a chi chiedere aiuto: quali strutture, come sceglierle, a quali esperti affidarsi, che servizi ricevere.

1522 numero unico nazionale

Il numero unico nazionale a cui rivolgersi in caso di violenze, abusi o stalking è l’1522, attivato dalla presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Dipartimento per le Pari Opportunità. È attivo 24 su 24, tutti i giorni e accoglie le richieste di aiuto tramite operatrici specializzate. Esistono poi altri numeri che offrono supporto e servizi, come il Telefono Rosa (06/37.51.82.82) o i recapiti dei 111 centri antiviolenza della rete nazionale D.i.RE, Donne in Rete contro la violenza, che sono riportati sul sito.

Le pagine Web e la mappa dei centri antiviolenza

Uno dei canali più importanti per chiedere aiuto è proprio internet, che può fornire indirizzi e recapiti di singoli centri ai quali rivolgersi. La pagina web dell’1522 fornisce, ad esempio, una mappatura dei centri antiviolenza e di altri servizi, che comprendono consultori pubblici, servizi sociali di base (dei comuni capoluogo), aziende sanitarie locali oppure ospedali, Pronto soccorso specifici con percorsi rosa per donne vittime di violenza, o ancora Caritas diocesane e numeri pubblici di emergenza (112, 113, 118).

La rete D.i.Re

La rete D.i.Re, invece, conta su 111 centri antiviolenza altamente specializzati e pensati per le donne in difficoltà, sparsi su tutto il territorio nazionale e gestiti da 84 associazioni selezionate. Si trovano sul sito (direcontrolaviolenza.it) selezionando sull’home page Trova il centro più vicino. «Gli ultimi due aperti in ordine di tempo sono ad Aosta e Verona, ma anche in quei pochi territori dove non ci sia un nostro centro, chiamando i nostri numeri possiamo indirizzare a quelli gestiti dall’associazione BeFree, con cui collaboriamo. È il caso del Molise o dell’Abruzzo, dove loro sono presenti con personale qualificato e pronto ad accogliere le donne» spiegano da D.i.Re. Che caratteristiche deve avere un centro antiviolenza, come sceglierlo?

Scegli il centro più vicino e che ti parla senza fretta

Il primo criterio è senz’altro geografico, per poter individuare le strutture più vicine sul territorio. La scelta del centro antiviolenza, però, deve tenere conto anche di specifici bisogni della donna che vi si rivolge: «È importante che ci sia personale formato appositamente sulla gestione delle vittime di violenze, sia in fase di accoglienza, sia nella valutazione dei rischi. Ad esempio, nei nostri centri il primo colloquio non deve avere limiti di tempo, può durare anche 3 o 4 ore, serve ad accogliere la donna. Va poi seguita la Convenzione di Istambul che prevede sia sportelli telefonici e fisici, sia percorsi che portino all’autonomia e al reinserimento sociale e lavorativo delle vittime di violenza» spiegano da D.i.Re. «Non tutti i centri antiviolenza purtroppo offrono questi percorsi, nemmeno quelli mappati dall’1522 – spiega la presidente di D.i.Re, Antonella Veltri – La Convenzione di Istambul è ancora in larga parte inattuata nel nostro Paese». La specializzazione è fondamentale anche per inquadrare il rischio: «A questo servono protocolli come SARA (Spousal Assault Risk Assessment) che consiste in una sequenza di domande per valutare il contesto e la gravità della situazione, per esempio chiedendo se ci sono già stati comportamenti maltrattanti, di che tipo, con che frequenza, ecc. – spiegano le esperte – Soprattutto bisogna sapere se l’uomo violento è a conoscenza del fatto che la donna sta cercando di liberarsi dalla violenza, perché in questo caso i rischi aumentano e può essere necessario uscire di casa al più presto».

Meglio le strutture gestite da donne

Un altro criterio è rappresentato dal fatto di poter contare su personale femminile: «La relazione tra donne serve a far capire a chi si rivolge al centro antiviolenza che il problema non è solo suo, personale e individuale, ma anche femminile, sociale e culturale. Questo aiuta a scaricare la colpevolizzazione che spesso viene provata da chi tenta di uscire da una condizione di violenza. È importante, perché è tra i motivi di resistenza delle donne che rimangono in relazioni maltrattanti c’è proprio l’idea di essere in qualche modo responsabili loro stesse della propria condizione» spiegano da D.i.Re.

Il centro deve garantire l’anonimato

Nella scelta dei servizi ai quali rivolgersi non ha importanza la grandezza del servizio, può anche essere piccolo, purché gestito da persone competenti e specializzate: «In Calabria, ad esempio, c’è una rete di volontarie che gestisce 40 sportelli, che si trovano anche presso consultori in piccoli centri abitati, o presso biblioteche – raccontano le esperte – L’importante è garantire l’anonimato, non solo per questioni evidenti di sicurezza (anche le case rifugio sono a indirizzo segreto), ma per sollevare anche psicologicamente la vittima da quel senso di colpa che le accompagna”.

Deve esserci uno sportello legale

A fare la differenza è poi la presenza di esperte avvocate che lavorano nei centri antiviolenza, che conoscano non solo la materia, ma anche le difficoltà dei percorsi giudiziari che spesso sono molto vittimizzanti per le donne: «Nei Tribunali si tende ancora troppo spesso ad attribuire alle donne vittime di violenza grande responsabilità, alleggerendo quelle del soggetto maltrattante. È importante, quindi, che il legale prepari la donna a una strada dura, che non passa per la riconciliazione, ma un cambio di vita» spiegano da D.i.Re.

Oltre a una richiesta immediata di aiuto, anche alle forze dell’ordine, è dunque necessario individuare una struttura che offre una serie di servizi: dal supporto psicologico a quello legale e civile, a case rifugio che accolgano le donne che hanno necessità di lasciare la propria abitazione, fino a corsi di formazione per reinserirsi nel mondo del lavoro.

L’aiuto per accedere ai fondi

Per tornare libere è indispensabile l’indipendenza economica, ma accedere ai fondi nazionali è spesso difficile. Per aiutare le donne D.i.Re ha creato un fondo, grazie a una raccolti di donazioni con un sms solidale (al numero 45591) che si chiama #componilalibertà ed è attiva fino al 28 novembre. «Con questo fondo si può accedere a una cifra, anche di 3.000/3.500 euro, che ciascuna donna può utilizzare per affittare un appartamento dopo l’uscita da una casa rifugio, pagare una baby sitter se lavora in ora pomeridiane o serali, per seguire un corso professionale o comprare strumentazioni professionali, come accaduto a una donna che ha acquistato una macchina per maglieria e avviare la sua attività professionale. È un aiuto immediato concreto» spiega la Presidente di D.i.Re, Antonella Veltri.

Instagram aiuta per le aggressioni in strada

Infine, un’iniziativa di supporto alle più giovani e promosso da giovani attive sui social è Donnexstrada, una diretta Instagram per accompagnare le ragazze, con una semplice conversazione, quando si sentono a rischio nei tragitti stradali mentre rincasano. È vero che le violenze di questo tipo sono inferiori rispetto a quelle che si consumano tra le mura domestiche, ma si tratta pur sempre di un servizio in più per le giovani donne che a volte temono ritorsioni o aggressioni di ex dopo casi di stalking. Le volontarie in questo caso possono attivare le forze dell’ordine.

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