Quanto e cosa perdono i ragazzi con la didattica a distanza

Mentre in Italia salteranno molto probabilmente i test Invalsi, alcune ricerche europee registrano le mancanze che gli studenti accumuleranno dopo quasi un anno di Dad. E sono dati che fanno preoccupare

Te lo sarai chiesta anche tu in questi mesi, con il prolungarsi della didattica a distanza: quante lacune accumuleranno i ragazzi prima di ritornare in classe? Quali saranno i danni sulla loro formazione, e sulla loro personalità, se verranno privati ancora a lungo della fondamentale esperienza dell’apprendimento scolastico in presenza? Sono domande che si è posta anche la ministra per l’Istruzione Lucia Azzolina, che ha dichiarato che «la didattica a distanza non funziona più». Inizialmente la data del ritorno in classe  per le scuole superiori – almeno al 50% – doveva essere il 7 gennaio, poi l’11, poi nuovi slittamenti dovuti alla precarietà della situazione epidemiologica, con una curva dei contagi che non accenna ad abbassarsi.

E mentre le regioni si muovono in autonomia, sempre più genitori sono preoccupati per l’istruzione dei propri figli. È un problema che non riguarda solo l’Italia, come segnala l’ultimo rapporto di Save the Children, che rileva come, a causa dell’emergenza Covid, 10 milioni di bambini nel mondo rischiano di non tornare mai più a scuola. I più a rischio sono le bambine, i rifugiati e i minori con disabilità: un problema di povertà educativa che ci riguarda da vicino.

Quantificare le carenze della didattica a distanza è complicato… 

Quantificare le carenze della didattica a distanza non è semplice, soprattutto in Italia dove nel 2020 sono saltati i test Invalsi – gli ultimi disponibili, relativi al 2019, ci aveva consegnato dati sconfortanti sulle scuole del Sud Italia – e non è improbabile che saltino anche quest’anno. Come riporta il Corriere della Sera, Azzolina si è detta molto preoccupata per la dispersione scolastica in rialzo (era il 13,8% nel 2016 e il 14,5% del 2018), su cui non abbiamo dati aggiornati se non un report di Ipsos e Save the Children basato sulle dichiarazioni di un campione di studenti che si sentono più impreparati di quando andavano scuola (35%) e lamentano un peggioramento nelle capacità di concentrazione e studio (37%). In Europa, però, alcuni recenti studi ci danno alcuni dati su cui riflettere.

È il caso dell’Olanda, dove le scuole sono rimaste chiuse per 8 settimane (in Italia 12) e dove le dotazioni e la generale preparazione di partenza di scuole e famiglie era nettamente superiore a quella del nostro Paese. Ciononostante, i test effettuati hanno rilevato un ritardo nell’apprendimento dei bambini della primaria del 20%. La stessa lacuna si è registrata in Francia, dove gli alunni di seconda elementare hanno subito un rallentamento consistente nella lettura e nella scrittura, mentre per la matematica i problemi si vedono soprattutto nei bambini che hanno un background svantaggiato. Se la sono cavata meglio i ragazzi delle medie, anche grazie «alle contromisure messe in opera dal governo francese, che ha deciso di concentrare gli sforzi sul recupero dei ritardi nelle competenze fondamentali (leggere, scrivere e saper fare di conto) anche a danno di altre materie».

… ma la riapertura delle scuole dev’essere una priorità

Come aveva spiegato a Donna Moderna Maria Angela Grassi, pedagogista, psicologa e presidente dell’Associazione nazionale pedagogisti italiani (ANPE), «La didattica a distanza può rappresentare una soluzione temporanea in un momento di emergenza: davanti a uno schermo possiamo apprendere nozioni o competenze tecniche, ma non possiamo riprodurre la comunità fatta di rapporti e relazioni, di comportamenti che concorrono all’apprendimento. La scuola è un microcosmo della società che aiuta bambini e ragazzi a diventare a cittadini e persone adulte». E se da una parte non bisogna essere catastrofisti, dall’altra il prolungarsi dell’incertezza sulla riapertura effettiva pone problemi molto seri sull’impianto stesso della scuola italiana.

L’intervento del governo francese, ad esempio, è stato seguito anche dalle autorità inglesi, che hanno operato una “potatura” di rami, ovvero uno sfoltimento delle materie, per concentrarsi sul recupero individualizzato delle competenze fondamentali. Programmi simili sarebbero dovuti partire a settembre  anche in Italia, ma i progetti non sono andati in porto a causa della mancanza di docenti nelle prime settimane di scuola. Anche Henrietta Fore, direttrice generale dell’Unicef, ha lanciato l’allarme, sottolineando come la riapertura delle scuole debba essere prioritaria nell’azione di ogni governo alle prese con l’emergenza sanitaria: «Il costo della chiusura delle scuole è stato devastante. Si prevede un aumento del numero dei bambini fuori dalle scuole di 24 milioni, raggiungendo un livello che non si vedeva da anni e che è stato difficile da sormontare. Sono state colpite le capacità dei bambini di leggere, scrivere e fare le operazioni aritmetiche di base e le competenze di cui avranno bisogno per prosperare nell’economia del 21° secolo sono diminuite. La loro salute, lo sviluppo, la sicurezza e il benessere sono a rischio. I più vulnerabili tra loro ne pagheranno il costo maggiore».

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