La povertà educativa e il problema della didattica a distanza

La parziale chiusura delle scuole ci pone di fronte alle questioni irrisolte dell’insegnamento a distanza, tra carenza tecnologica e rischio concreto che troppi ragazzi rimangano indietro

Sebbene l’argomento divida ancora, la chiusura delle scuole in molte regioni è sembrata la risposta scontata all’impennata dei contagi che abbiamo visto colpire l’Italia dal primo ottobre a oggi. Come ha spiegato il fisico Roberto Battiston al Corriere della Sera, «di fatto la scuola è ripartita a pieno ritmo intorno al 24 settembre mettendo improvvisamente in movimento quasi otto milioni di studenti», esattamente quello che serve per spiegare i dati che vediamo oggi. La seconda ondata che sta investendo il Paese riporta quindi l’attenzione sulla didattica a distanza, che negli ultimi mesi è stata implementata in molte scuole ma che ancora rappresenta un ostacolo per molti studenti, il cui accesso a internet è spesso difficoltoso e impedisce perciò una corretta frazione delle lezioni a distanza.

Il problema dell’accesso alla rete

L’Unione Europea ha recentemente stabilito che entro il 2025, tutte le scuole europee dovranno essere connesse ad almeno 1 gigabit al secondo: si tratta di una sfida infrastrutturale, perché richiede di estendere la velocità della connessione sul territorio nazionale, anche nelle aree che oggi sono meno raggiunte, come quelle interne. Come segnala Openpolis, gli obiettivi europei sono il punto di partenza per una digitalizzazione che viene definita “inclusiva”. Indicano cioè come traguardo un Paese dove tutte le famiglie siano potenzialmente raggiunte dalla banda larga a 30 Mbps, e in prospettiva a 100 Mbps. L’ostacolo però purtroppo non riguarda solo le infrastrutture, ma l’effettiva possibilità di accesso alla rete veloce.

Come molti insegnanti hanno sottolineato in questi mesi – su Donna Moderna ne ha parlato Elena D’Incerti in un articolo dello scorso aprile – le ristrettezze economiche della famiglia spesso limitano l’accesso alle risorse culturali e educative, costituendo un ostacolo oggettivo per i bambini e i ragazzi che provengono da famiglie svantaggiate. Questa condizione nel breve periodo mina il diritto del minore alla realizzazione e alla gratificazione personale. Nel lungo periodo, riduce la stessa probabilità che da adulto riesca a sottrarsi a una condizione di disagio economico. 

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Il gap digitale che mina la didattica a distanza

Nella sua relazione annuale 2020 dedicata all’impatto del coronavirus, l’Agcom (Autorità per le garanzie delle comunicazioni) ha messo a confronto la percentuale di famiglie potenzialmente raggiunte dalla banda larga veloce con quella di famiglie che effettivamente possiedono una connessione domestica a 30 Mbps, rilevando una mancanza, il cosiddetto “gap”, che entro certi limiti è perfettamente nella norma, e che non è automatico dipenda da un disagio economico. Ciò che è preoccupante, però, è che questo divario raggiunga la massima ampiezza in regioni come la Calabria e la Sicilia. Ovvero la seconda e terza regione per incidenza di persone a rischio povertà o esclusione sociale.

Se invece parliamo di accesso domestico a internet in generale, i dati Eurostat mostrano come la quasi totalità delle famiglie europee con figli ne abbiano uno (98% coppie con figli; 97% famiglie monogenitoriali). Una quota che però, sottolinea Openpolis, varia tra gli stati membri: in alcuni (Paesi Bassi, Finlandia, Cipro) praticamente tutte le famiglie hanno accesso a internet da casa. Anche in Italia la quota del 90% viene superata sia dalle coppie con minori (96% connesse) che dai single con minori (92%). Ma questo risultato, che non si riferisce solo alle connessioni veloci, porta comunque il nostro Paese agli ultimi posti per diffusione del servizio rispetto agli altri stati dell’Unione. È piuttosto chiaro come il costo di questi servizi giochi un ruolo fondamentale per molte famiglie.

Tra povertà educativa e homeschooling

È questa, dunque, la situazione su cui si inserisce la didattica a distanza ai tempi della pandemia, che rischia così di aggravare un divario già esistente nelle zone del nostro Paese a più alto tasso di disagio sociale, dove i ragazzi che hanno alle spalle un background familiare fragile sono più esposti a una situazione di povertà educativa. Con il nuovo DPCM entrato in vigore il 26 ottobre, il 75% delle scuole secondarie di secondo grado è passato alla didattica a distanza, mentre rimangono aperte – per ora – le primarie e le secondarie di primo grado, che seguono le regole della riapertura di un mese fa. Se i ragazzi più grandi sono certamente più abituati a mantenere la concentrazione per seguire le lezioni tramite uno schermo, non bisogna però dimenticare quanti si troveranno nuovamente di fronte alla barriera tecnologica.

Un problema che colpisce pesantemente anche i disabili e quanti hanno bisogno di cure speciali, un altro gruppo escluso dalle attività online e impossibilitati a ricevere in molti casi l’assistenza domiciliare. Qualora poi si tornasse a una chiusura totale (come oggi succede in Lombardia e Campania), per i genitori di figli piccoli tornerà il problema dell’homeschooling, poiché i bambini hanno bisogno del continuo supporto di un adulto per completare il loro percorso scolastico quotidiano, cosa che mette in difficoltà i genitori che lavorano. 

Per dare modo alle scuole di organizzarsi, il ministero dell’Istruzione ha posticipato a martedì 27 ottobre l’entrata in vigore delle nuove disposizioni. «Particolare attenzione, nell’attuazione della misura, sarà posta agli alunni con disabilità, con disturbi specifici dell’apprendimento e altri bisogni educativi speciali», si legge nella nota, che si è attirata le critiche del presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli che all’Avvenire ha sottolineato i bisogni degli alunni disabili e con difficoltà di apprendimento, i quali «per crescere e integrarsi hanno bisogno del contatto con i compagni: non basta dare loro la possibilità di seguire le lezioni a scuola, da soli, con l’insegnante di sostegno (quando c’è)». La scuola, insomma, rimane uno dei banchi di prova più difficili dell’emergenza in corso: dopo otto mesi, i nodi da sciogliere sembrano ancora tanti.

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