Donna dorme sogno

Hai mai provato la terapia del sogno?

La terapia del sogno consiste nel prendere nota, appena svegli, di ciò che abbiamo “vissuto” durante il sonno. Ci aiuta a connettere la razionalità con l’inconscio. E a conoscerci meglio

Questo articolo comincia con una domanda: «Quando è stata l’ultima volta che avete ricordato un sogno?». Se è successo di recente, siete sulla buona strada. Se poi ne avete tenuto traccia, ancora meglio. A pensarlo sono sempre più esperti, convinti che la “dream therapy” sia un ottimo modo per rimetterci in contatto con la parte più intima di noi, persa tra mille impegni e preoccupazioni. Nella storia i sogni sono stati considerati, di volta in volta, mezzi per ritrovare i propri cari defunti, infallibili segnali premonitori, tramiti con gli dei, strumenti di cui l’anima si serviva per parlarci dei suoi desideri.

Ecco perché “la notte porta consiglio”

«Il sogno è proprio questo, ci dice delle cose di noi e ci aiuta a stare meglio» spiega Olga Chiaia, psicoterapeuta, saggista e autrice di pubblicazioni su sogni e psiche. «Di notte la nostra mente riprende ciò che accaduto durante la giornata, lo elabora e fa pulizia delle cose superflue, come se facesse un inventario di ciò che ci serve e di ciò che si può buttare. Nello stesso tempo lavora sui circuiti neuronali aiutandoci ad assimilare e metabolizzare gli eventi negativi. È per questo che spesso al mattino i problemi del giorno prima ci appaiono sotto una luce diversa o ci vengono in mente soluzioni a cui prima non avevamo pensato. Tanti grandi scienziati hanno avuto le loro illuminazioni migliori durante il sonno. E di notte gli antichi Greci si recavano nel tempio di Asclepio, dio della medicina, per ricevere in sogno da lui la cura».

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Sognare è fisiologico

Dunque non è vero che non sogniamo, anche se siamo convinti del contrario. «Sognare è fisiologico. Chi non lo fa, perché ha problemi di insonnia o assume determinati farmaci, a lungo andare ne subisce le conseguenze» prosegue Olga Chiaia. «Ricordiamo poco o nulla perché al mattino andiamo troppo di fretta per prenderci quei 2 minuti che servirebbero a rievocare i sogni, o semplicemente perché a volte sono insignificanti. Ma svolgono la loro funzione comunque: se ci restano in mente è già un segnale positivo, significa che manteniamo un buon rapporto di ascolto e connessione con le nostre parti più profonde».

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Bisogna allenarci a ricordare i sogni

E se non succede? Possiamo imparare: per allenarci a ricordare è sufficiente prendere appunti quando ci svegliamo. Va fatto appena apriamo gli occhi, perché altrimenti il ricordo fugge via. «I sogni bisogna scriverli, perché questo esercizio ci avvicina all’essenza più profonda di noi stessi. E poi, più lo si fa, più è facile “trattenerli” al mattino, perché esercitiamo il cervello a riconnettersi con l’inconscio» dice la psicologa Martina Ferrari, che durante il lockdown ha aperto una pagina Instagram, @Instasogno, chiedendo a tutti di postare i racconti scritti a mano di ciò che “accadeva” loro di notte. E le sono arrivate centinaia di risposte.


«RICORDARE UN SOGNO NON VUOL DIRE CERCARE DI INTERPRETARLO. CIÒ CHE CONTA È L’EMOZIONE CHE ABBIAMO PROVATO: È ATTRAVERSO DI ESSA CHE CI PARLA LA PARTE PIÙ PROFONDA DI NOI»


 

«L’ho fatto per mostrare quanto sia importante il sogno e quanto sia connesso alla parte di vita che passiamo da svegli. Di notte viene fuori tutto quello che noi razionalmente non vediamo ma che è dentro di noi. Riuscire a scriverlo è un modo per tornarci su anche durante la giornata. Può accadere perché ci viene la curiosità di rileggere gli appunti o semplicemente perché, mentre siamo impegnati in altro, ci tornano in mente dettagli e sensazioni. È in quei momenti che arrivano le illuminazioni. Possiamo scoprire angoli nascosti di noi, aspetti delle nostre relazioni e della nostra storia. E questo ci spinge a fare riflessioni nuove su chi siamo, cosa ci fa paura e cosa vogliamo. Insomma, è un viaggio dentro noi stessi che ci dà grandi benefici».

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Non si tratta di una terapia. Chi scrive i propri sogni non deve avere la pretesa di psicoanalizzarsi, né di cercare di interpretarne i simboli. «Lo psicologo junghiano James Hillman diceva che interpretare un sogno equivale a vivisezionarlo, quindi a ucciderlo» spiega Olga Chiaia. «In più, ci può portare fuori strada. Un cane nero, al di là della simbologia, può evocare sensazioni di terrore in chi teme l’animale o slanci di tenerezza in chi ne ha avuto uno da bambino. Ciò che conta è l’emozione, è quella che ci parla di noi, è lì che dobbiamo andare a cercare di capire cosa ci vuole dire il nostro inconscio».

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I sogni vanno condivisi con gli altri

Ma i sogni vanno anche condivisi con gli altri, specie se lasciano su di noi il segno. Come facevano le nostre nonne, che in certe regioni del Sud usavano confidarseli, o come si fa ancora in alcune culture sudamericane, dove il primo gesto del mattino è il resoconto dei propri viaggi notturni. «Condividere i momenti onirici ci fa sentire uniti, parte di una comunità, perché è un atto di grande confidenza. In certi momenti storici, poi, aiuta le popolazioni a elaborare traumi collettivi. L’ho potuto verificare nel mio piccolo esperimento durante il lockdown» spiega Martina Ferrari.

La psicologa ha anche collaborato a una ricerca coordinata dal professor Vittorio Lingiardi che presto sarà pubblicata sulla rivista Psychoanalytic dialogue e che ha analizzato più di 1.000 sogni raccolti nella prima fase della pandemia. «Nella maggior parte dei resoconti c’erano sentimenti e temi ricorrenti: la paura, il senso di claustrofobia, la voglia di evadere. Alcuni sognavano di guardare paesaggi fuori dal finestrino, altri di essere colpiti da strane malattie, c’erano mascherine e strumenti medici, e poi tanti abbracci, gli abbracci alle persone lontane. Per molti parlarne e scriverne è stato un sollievo. Il solo fatto di condividere le proprie angosce e di sapere che quello che succedeva agli altri era simile a quello che accadeva a loro li faceva stare meglio, sentire parte di una comunità in un momento in cui eravamo tutti spaventati. E soli».

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4 facili esercizi di dream therapy

Ecco i consigli della psicologa Martina Ferrari.

  1. Tieni un quaderno e una penna sul comodino. Cerca di scrivere quello che hai sognato immediatamente dopo il risveglio: il ricordo impiega anche meno di 2 minuti a sparire. Concentrati soprattutto sulle sensazioni e sulle emozioni che hai provato. E scrivi a mano, è più facile tirare fuori quello che hai nella “pancia”.
  2. Durante il giorno ripensa a ciò che è “successo” di notte. Riprendi gli appunti e rileggili, può aiutarti a rielaborare il sogno e a farti venire in mente nuovi particolari.
  3. Racconta i tuoi sogni a qualcuno, condividi emozioni e sensazioni.
  4. Rileggi i tuoi quaderni a distanza di tempo: ti apparirà più chiaro cosa provavi allora e cosa provi adesso, come sta evolvendo la tua vita e che direzione prende. A distanza di tempo potresti ritrovarti a scoprire, per esempio, da dove nasce il problema che hai oggi nella coppia o sul lavoro.
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