Perché si parla di terza ondata di contagio

Gli esperti sanitari sono unanimi: occorrono restrizioni e non aperture nel periodo delle feste per evitare che a gennaio si ripresenti una nuova ondata di contagi

«Abbiamo perso il controllo della malattia. Per riuscire a mitigarne l’impatto dobbiamo tornare a non più di 5mila casi al giorno». Non usa giri di parole il virologo Fabrizio Pregliasco, proprio mentre si ipotizza una zona rossa nazionale per Natale e Capodanno e mentre la Germania annuncia il lockdown totale proprio in concomitanza con le feste.

Per gli esperti la terza ondata è inevitabile

«Bisogna andare a stringere, non ad allentare le misure di contenimento. È la direzione seguita anche dalla Germania che a mio avviso ha fatto la scelta più opportuna» spiega Fabrizio Pregliasco, ricercatore del Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute dell’Università degli Studi di Milano e Direttore Sanitario dell’Irccs Galeazzi. Dall’esperto, dunque, arriva un monito a non allentare la guardia, perché la terza ondata è considerata inevitabile: «La peculiarità di questo virus è anche nella modalità di diffusione: il Sars-Cov1, responsabile dell’epidemia da SARS del 2003, infettava solo in presenza di sintomatologia. Con il nuovo coronavirus, invece, anche gli asintomatici possono trasmettere la malattia. La sua diffusione è inevitabile, il virus continua a girare e continuerà a farlo, a ondate come se si trattasse del volume di una radio, che si può alzare o abbassare a seconda dei contatti e delle situazioni a rischio» spiega Pregliasco.

Perché si teme il picco a gennaio-febbraio

«La terza ondata di pandemia ci sarà, è naturale. Dicembre e gennaio saranno mesi terribili per tanti motivi» ha spiegato Ilaria Capua, direttrice dell’University of Florida One Health Center. D’accordo anche il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, che a La Stampa ha dichiarato: «C’è il rischio di una strage se invece di chiudere la seconda ondata di Covid facciamo partire la terza». I motivi sarebbero soprattutto tre: il primo sta nell’aumento dei contatti in occasione delle feste e dunque anche del numero di potenziali contagi. Il secondo sta nel fatto che il vaccino non sarà disponibile a breve per la maggior parte della popolazione: il Commissario straordinario, Domenico Arcuri, nell’annunciare la campagna vaccinale tramite gazebo a forma di primula, firmati dall’archistar Tito Boeri, ha ricordato che le prime dosi saranno disponibili a metà gennaio, ma per il solo personale sanitario e per gli ospiti delle Rsa. «Il vaccino potrà avere effetti positivi, ma inizialmente solo sul 20/30% della popolazione. Perché limiti la circolazione del virus occorrerà arrivare almeno al 60/70%, obiettivo non semplice, sia perché richiede un certo impegno organizzativo sia, purtroppo, per un certo scetticismo che sta circolando in questo momento» dice Lorenzo Pregliasco.

Il terzo motivo riguarda la concomitanza, tra gennaio e febbraio, con il picco dell’influenza: «In questo caso speriamo che sia inferiore rispetto agli scorsi anni, grazie al fatto che le misure anti-Covid possono ridurne la circolazione, come accaduto in Australia, dove quest’estate (quando lì era inverno) ha colpito meno grazie all’uso di mascherine, al lavaggio delle mani e al distanziamento» aggiunge ancora il virologo.

Scuole chiuse e fabbriche a ritmo ridotto: un momento da sfruttare

Gli esperti, dunque, sono unanimi nel chiedere massimo rigore nelle prossime settimane, feste incluse, anche perché l’Italia sta registrando il maggior numero di vittime in Europa, (oltre 64.000) dopo aver superato il regno Unito: «Non è qualcosa di cui essere orgogliosi. Natale, con scuole chiuse e fabbriche a ritmo ridotto, va sfruttato per ridurre i contagi» aveva sottolineato Andrea Crisanti, professore di Microbiologia all’Università di Padova, ospite a L’Aria che tira. ancora prima del nuovo record negativo di morti. Anche dal Direttore della prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, è arrivato un monito: «Appena si allentano le misure preventive prese, la curva dei contagi risale».

Anche con la vaccinazione, altri 2/3 anni prima di uscirne

Si è detto preoccupato anche Gino Strada, fondatore di Emergency, che intervenendo a Mezz’ora in più su Rai3, ha spiegato: «Non credo che la situazione si risolverà nei primi mesi delle vaccinazioni: ci sarà un momento di euforia, ma poi… Le vaccinazioni limitano il numero di morti, ma non la trasmissione della malattia. Abbiamo bisogno di 2/3 anni per uscirne». «In effetti prima che il vaccino abbia effetto passeranno mesi, ci attende un inverno preoccupante» conferma Fabrizio Pregliasco, che aggiunge: «Migliorerà la convivenza col virus, ma questo non scomparirà. Già con la prima ondata abbiamo visto, dall’indagine epidemiologica commissionata dal ministero della Salute, che rispetto ai dati ufficiali i casi reali sono stati 8 volte superiori. Ora è necessario riprendere il tracciamento e il controllo della malattia, per questo non possiamo permetterci allentamenti».

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