smartphone a scuola

Smartphone a scuola, ecco il decalogo del Ministero

L'apertura all'uso dello smartphone in classe divide. Uno strumento utile da conoscere e gestire o una distrazione che con lo studio c'entra poco?

È costituito da 10 punti e prevede le modalità con le quali il Ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli, intende introdurre l’uso degli smartphone a scuola, rendendo concreta la sua proposta dello scorso autunno. Tra pochi giorni saranno illustrate anche le linee guida più specifiche, ma il dibattito è già aperto: «Il tema centrale è l’educazione a un uso consapevole di dispositivi che sono già di fatto presenti nella vita della maggior parte degli studenti, specie alle superiori. Non parliamo di uno scenario futuro, ma del presente: molte scuole li usano già” spiega a Donna Moderna Antonio Fini, Dirigente scolastico, attualmente presso l’Università di Firenze, e membro della commissione del Ministero che ha stilato il decalogo.
“Non si tratta di dividersi tra modernisti e tradizionalisti. Lo smartphone invade già le nostre vite, in ogni momento e luogo: non si capisce quale sia il timore nel lasciarlo fuori nelle scuole, dove invece rappresenta un ulteriore fonte di distrazione per i ragazzi, che già faticano a rimanere concentrati” spiega il Prof. Alberto Contri, docente di Comunicazioni sociali all’Università IULM, tra i primi a sperimentare, già dalla fine degli anni ’80, la realtà virtuale per usi didattici.

Il Decalogo: cosa prevede

La sintesi del documento, che conterrà le linee guida per docenti e famiglie e sarà costituito da circa 30/40 pagine, è stata presentata dal Ministro Fedeli in persona a Bologna. Questi i punti elencati:

  1. Ogni novità comporta cambiamenti
    2. I cambiamenti non vanno rifiutati, ma compresi e utilizzati per il raggiungimento dei propri scopi.
    3. La scuola promuove le condizioni strutturali per l’uso delle tecnologie digitali
    4. La scuola accoglie e promuove lo sviluppo del digitale nella didattica.
    5. I dispostivi devono essere un mezzo, non un fine.
    6. L’uso dei dispositivi promuove l’autonomia delle studentesse e degli studenti.
    7. Il digitale nella didattica è una scelta: sta ai docenti introdurla e condurla in classe.
    8. Il digitale trasforma gli ambienti di apprendimento.
    9. Rafforzare la comunità scolastica e l’alleanza educativa con le famiglie.
    10. Educare nella cittadinanza digitale è un dovere per la scuola.


Il BYOD

Nel testo messo a punto dal MIUR si fa riferimento al BYOD, un acronimo dall’inglese Bring Your Own Device, la tendenza sempre più diffusa a passare dall’uso di dispositivi tecnologici in dotazione presso aziende e scuole a quello di spartphone e tablet personali: “Siamo partiti dalla constatazione che i dispositivi sono ormai largamente disponibili anche tra i più giovani. Certo occorre fare delle distinzioni, perché il mondo scolastico italiano è  costituito da 800 mila insegnanti e 8 milioni di studenti – chiarisce Antonio Fini – Ma soprattutto alle superiori è ragionevole pensare che tutti abbiano uno smartphone: ce lo confermano i dati di un documento di Save the Children, a cui fa riferimento il decalogo, e una recente ricerca, secondo la quale l’età media del primo accesso ai dispositivi tecnologici è a 11 anni” spiega Fini.

I punti fondamentali

“Di fronte a questa realtà ci siamo chiesti cosa fare: usiamo gli smartphone o li facciamo lasciare nell’apposita cassetta all’ingresso in classe? L’idea è quella di permettere di utilizzarli a livello didattico per valorizzarne le potenzialità, pur con tutte le cautele del caso e senza fermarsi alla preoccupazione di distrazione che questi comportano. Del resto i rischi si corrono sempre: la scuola è un luogo rischioso, dove se non si rischia si fa poco e si rimane in una comfort zone poco utile” spiega il Dirigente scolastico.
“Tra i punti più significativi del decalogo ci sono, ad esempio, il 7 e il 9 che riguardo l’autonomia delle scuole: esiste da 18 anni, ma va sottolineata anche in questo caso, perché che sta ai singoli istituti, in base al proprio contesto e agli insegnanti, regolamentare in modo diversificato l’uso didattico dei dispositivi tecnologici. I dirigenti e gli insegnanti hanno la facoltà (ma non l’obbligo!) di usare gli smartphone, distinguendo anche per fasce di età, tra scuola primaria, secondaria di primo grado e di secondo grado” dice Fini. “E’ poi particolarmente importante anche il punto 10, sul dovere per la scuola di educare alla cittadinanza digitale“.

La questione educativa

Per il Ministro dell’Istruzione “questa straordinaria innovazione permette di trovare moltissime informazioni in rete che nessuno di noi ha mai avuto disposizione prima, ma informazione non è automaticamente autorevolezza e certificazione delle fonti”. Secondo Valeria Fedeli, i ragazzi “vanno accompagnati, è necessaria una nuova alfabetizzazione del digitale“.
Proprio il ruolo della scuola rappresenta uno dei punti di maggiore critica in coloro non condividono il progetto di introduzione degli smartphone in classe. “Noi pensiamo che tra le competenze quella digitale abbia un ruolo chiave: è importante per essere cittadinanza attiva, per partecipare a discussioni, conoscere, distinguere le fonti e le fake news, contrastare il cyberbullismo. Tutto ciò riguarda un uso corretto, etico e sano del mondo digitale, che altro non è che il mondo reale. Non a caso nei modelli europei di competenza digitale, ai quali si sta lavorando, si usa il concetto di benessere digitale” spiega l’esperto.

Le perplessità: più distrazione

“Un crescente numero di ricerche realizzate in tutto il mondo dimostra come gli effetti collaterali dell’uso del cellulare in classe superano di gran lunga i suoi benefici” commenta il Professor Contri, che pure usa computer e internet nelle sue lezioni universitarie: “Io faccio continuamente ricorso al web, a Google o a YouTube, ma internet e il wi-fi sono importanti per i docenti, non per gli studenti, che invece si distrarrebbero ancora più di quanto già non facciano. Chi ha redatto il decalogo sembra non sia mai entrato in una classe in cui si usano gli smartphone: io stesso, per attirare l’attenzione durante la prima lezione, smetto di parlare per 30″, creando un “vuoto”, un silenzio che distoglie i ragazzi dalle loro attività social, che solitamente iniziano prima di entrare in aula, ma proseguono anche all’interno” racconta Contri, che ha appena scritto un libro, McLuhan non abita più qui? (Bollati Boringhieri), nel quale affronta proprio il tema degli effetti negativi dell’abuso dei dispostivi digitali a scuola, al lavoro e nella vita quotidiana.

Gli effetti negativi dell’abuso

“I devices hanno ormai invaso ogni spazio e tempo della nostra vita, non si capisce quale sia l’esigenza di introdurli anche in classe. Come mai in molti paesi come Francia, Germania, Inghilterra o negli Stati Uniti si è arrivati a vietarne l’uso a scuola? Una ricerca pubblicata alcuni giorni fa sul Financial Times, dimostra che il solo tenere lo smartphone tasca durante un compito in classe abbassa il rendimento degli studenti, perchè li invoglia a consultarlo senza concentrarsi su quanto già sanno. Nel mio libro è citato anche il pensiero Patricia Greenfield, Psicologa dell’età evolutiva e docente all’University of California – Los Angeles:  ‘Ogni medium sviluppa abilità cognitive sempre a scapito di altre, per cui c’è da chiedersi se le nuove potenzialità di intelligenza visivo-spaziale valgano il prezzo dell’indebolimento dell’elaborazione profonda, che è alla base dell’acquisizione attenta di conoscenze, dell’analisi induttiva, del pensiero critico, dell’immaginazione e della riflessione’. Anche Manfred Spitzer, oggi dirigente della Clinica Psichiatrica e del Centro per le Neuroscienze e l’Apprendimento dell’Università di Ulm, in Germania, ha intitolato un suo libro Demenza digitale. Questo per sottolineare che occorre prima formare un pensiero strutturato, che è figlio del linguaggio, che a sua volta è figlio della scrittura” conclude Contri.

A che età usare lo smartphone a scuola?

Il problema sembra focalizzarsi sugli alunni più giovani. “Molti neurologi sono concordi nel sostenere che prima degli 8/9 anni i bambini non dovrebbero mettere le mani sulla tastiera di un computer, figuriamoci su uno smartphone. Questo mezzo, come spiegato da Karin James dell’Università di Bloomington, non attiva le zone cerebrali che invece sono stimolate con la scrittura a mano. “Questo non significa mettere al bando il mondo digitale, al contrario: ben vengano l’uso della Lim (la lavagna multimediale), dei pc o l’insegnamento del coding e dell’informatica, che sono però ben altra cosa rispetto all’uso dello smartphone in modo individuale, soprattutto da parte dei più giovani. Sono d’accordo – argomento Contri – a corsi e lezioni per insegnare come usare le fonti e fare ricerche su internet, ma prima occorre che gli studenti acquisiscano le competenze di base, che sono analogiche e non digitali, che permetteranno in un secondo momento di padroneggiare il mondo digitale nel suo insieme, usando gli strumenti come mezzi al nostro servizio”.
“L’evoluzione della tecnologia si accompagna sempre alla preoccupazione che disabiliti alcune funzioni – risponde Fini – La competenza manuale è indispensabile, tutti dobbiamo saper scrivere a mano, ma non dimentichiamo che alcuni tablet permettono in qualche modo di farlo. La competenza digitale è comunque altrettanto importante, perché la quasi totalità della comunicazione avviene con mezzi digitali”.

Gli insegnanti sanno usare internet?

Un altro nodo è quello relativo ai docenti, che secondo alcuni dovrebbero essere i primi destinatari di un piano di alfebetizzazione digitale. “In effetti non sono rari i casi di maestre, che seguono corsi all’Università di Firenze, che non sanno scrivere una email o realizzare una relazione in formato elettronico. E’ quindi indubbio, quindi, che ci sia una necessità di formazione per gli insegnanti. Non a caso il decalogo sull’introduzione degli smartphone in classe fa parte del più ampio piano nazionale della Scuola Digitale, che ha previsto e prevede notevoli interventi in questa direzione e ulteriori finanziamenti“.  

Digital Detox: quando è necessario?

“Non si tratta di dire no al progresso, ma è importante tener conto degli effetti dell’Internet addiction, in crescita soprattutto tra i ragazzi. Diverse ricerche mostrano alcune conseguenze dell’abuso delle tecnologie digitali, come la Vibration Addiction Syndrom, classificata come patologia vera e propria, cioè il fatto di credere che il proprio telefono stia vibrando, quando lo si tiene in tasca, mentre così non è” argomento Contri, che prosegue: “Di fronte al dilagare dell’uso di smartphone e tablet persino le aziende stanno correndo ai ripari. Il Ceo di Virgin, Branson, ha introdotto nella sua azienda un giorno di Digital Detox alla settimana, nel quale nessuno può usare dispositivi elettronici. Un colosso come Bayer ha imposto un blocco, dopo le 18, per evitare che i dipendenti siano raggiunti da email e controllino la posta elettronica e le notizie fuori dall’orario di lavoro. Non è poi un caso che da Steve Jobs e Bill Gates abbiano tenuto lontano il più possibile i propri figli dai devices finché erano piccoli. Perché, dunque, aumentarne l’uso a scuola?”
“In questo siamo in sintonia, la nostra idea è quella di un uso consapevole di questi strumenti, che includa anche un “non uso” altrettanto consapevole. Una cosa è non utilizzarli perché sono vietati, un’altra è sapere di poterne fare uso solo in certi momenti e per certi scopi. Un esempio? Ci sono scuole con aule nelle quali ciascuno ripone il proprio smartphone in una tasca appesa alla parete, invece che depositarli tutti insieme nella cassetta all’ingresso. In altri istituti, invece, sono stati introdotti dei semafori, che regolano i momenti in cui l’accesso è consentito o meno. Si tratta di approcci pedagogici differenti alle regole: noi riteniamo che funzionino meno quando sono imposte. In questa ottica diventa demandare alla scuola e agli insegnanti l’educazione digitale rappresenta un punto di forza” .

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