È ora di diventare docenti (e genitori) digitali

I consigli di Barbara Volpi, autrice del libro "Docenti digitali", per una didattica e un'educazione innovativa e più efficace

A oltre a un anno dall’inizio della pandemia, anche la scuola è cambiata. Il lockdown ha introdotto la didattica a distanza che ha costretto a “digitalizzare” la scuola, con esperimenti più o meno riusciti a seconda dei territori, degli istituti e dei singoli insegnanti. In alcuni casi ha portato innovazione, in altri ha mostrato tutte le lacune di una didattica ancora molto “tradizionale”, basata su lezioni frontali che in molti contesti non risultano più efficaci. In una società in costante trasformazione digitale si può avere ancora una didattica “di qualità”? «Io credo di sì: in fondo era da 30 anni che la scuola si interrogava su come applicare programmi digitali all’insegnamento. Con la pandemia è stata costretta a farlo, anche se oggi regna la confusione. È importante, quindi, ripartire dalle basi, da maestri come Gianni Rodari e Maria Montessori, sfruttando le potenzialità del digitale» spiega Barbara Volpi, psicologa, psicoterapeuta, autrice di Docenti digitali (Il Mulino), collaboratrice del Dipartimento di Psicologia dinamica e clinica all’Università La Sapienza di Roma  e membro dell’Italian Scientific Community on Addiction della Presidenza del consiglio dei Ministri-Politiche Antidroga. Volpi parte da un primo consiglio, che è rivolto anche ai genitori in quanto educatori: osservare i propri figli, fin da piccoli.

La didattica nell’era degli schermi: l’appello e il vedersi

«Mamma, papà, che senso ha andare a scuola quando su internet trovo tutte le risposte possibili? Ormai posso anche studiare da solo”. È uno dei quesiti da cui parte il libro, insieme alla considerazione che i docenti «in classe faticano a mantenere la propria autorevolezza, sentendosi meno competenti dei ragazzi a usare la tecnologia» come quando in Dad si sente dire: «Prof, attivi la telecamera sotto la casella di Zoom, altrimenti non la vediamo!». Che fare, dunque? “Il primo passo è innovare l’insegnamento senza dimenticare ciò che è stato fatto, partendo dalle basi della psicologia e della pedagogia, ma in chiave digitale, dunque: osservare. Certo, in Dad non si può contare sul vedere di persona, ma è importante, per esempio, fare l’appello e incontrare lo sguardo di ciascun alunno, come insegnano i maestri della pedagogia – spiega Volpi – Il vedersi con le telecamere accese permette di sentirsi presenti, anche quando si è isolati».

L’apprendimento creativo di Resnick

«Per far apprendere occorre in primo luogo incuriosire, perché che i modelli mentali alla base alla base dell’apprendimento si basano sulla curiosità. Oggi è ancora più importante, in un’era in cui siamo bersagliati da stimoli, che si susseguono in rapida successione e che però spesso sono superficiali. Il multitasking rende più difficile mantenere l’attenzione» spiega l’esperta. «Per questo occorre introdurre esperienze meno nozionistiche (come la condivisione dei compiti) e attività più concrete e creative da realizzare in piccoli gruppi» suggerisce la psicologa. Proprio i piccoli gruppi favoriscono anche le relazioni, come spiega nel libro Lorenzo, 16 anni: «La prof ci ha dato come compito di realizzare un piccolo video su Napoleone. E’ stata una fortuna perché tutti i pomeriggi alle cinque ci riunivamo per lavorare e tra una cosa e l’altra parlavamo di noi e di quello che succedeva in casa. Alla fine, terminato il video, abbiamo continuato a farlo perché ci mancava troppo non stare assieme».

La Dad efficace: “classe rovesciata” e gamification

Altri passaggi fondamentali per rendere efficace la didattica digitale, a distanza e non, è alternare spiegazioni a momenti interattivi, come lavorando in modalità flipped classroom o classe rovesciata: in questo caso si invertono i due momenti classici di lezione e studio individuale: si studia a casa con lezioni o video, mentre a scuola si punta sulle competenze cognitive alte (comprendere, applicare, valutare, creare), con attività di gruppo con l’insegnante che propone compiti complessi ed è tutor. Quanto alla gamification, «Come insegnava Rodari, è fondamentale dobbiamo imparare ridendo e non “piangendo”. Se lui lo faceva tramite l’ironia che lo caratterizzava anche nei racconti, oggi è possibile ricorrere alla gamification, ossia ai giochi interattivi che aiutano ad apprendere» spiega Volpi. E’ detta anche “ludicizzazione” e può consistere nell’utilizzare il game design e tecniche prese a prestito dai giochi, ma in contesti non ludici, anche allo scopo di motivare le persone a raggiungere i propri obiettivi.

Insegnare a imparare

Una volta catturato l’interesse dei giovani, occorre però anche convogliarlo, ricordando che vivono in una società digitale: «I bambini iniziano a conoscere e usare le tecnologie digitali fin da piccolissimi, ma anche una volta cresciuti spesso non sanno discriminare tra le informazioni a disposizione: per esempio, accade che gli studenti prendano brutti voli per le ricerche “copiate” da Wikipedia. Ma occorre anche insegnare loro dove cercare, come selezionare le fonti nell’infinito mondo di internet che è come una biblioteca alessandrina. Aiutiamoli anche a utilizzare strumenti nuovi come i video interattivi, in grado di esprimere contenuti con un linguaggio nuovo» spiega l’esperta.

Life skills, vecchie e nuove competenze

Se la scuola ha da tempo superato il concetto di nozione a favore di quello di competenze, nella didattica digitale devono trovare posto anche le cosiddette life skills, ossia le abilità cognitive, sociali, emotive e relazionali che consentiranno di operare anche nel mondo del lavoro, oltre che nell’ambito individuale. «L’attività didattica deve indirizzarsi al continuo monitoraggio di queste competenze, che fungono da leve per l’apprendimento, sopra le materie e tra le materie” spiega Volpi. Si tratta di consapevolezza di sé, empatia, gestione delle emozioni, comunicazione e relazioni efficaci, capacità di prendere decisioni, pensiero creativo e problem solving. I device, in questo, possono aiutare. Per esempio, come si legge nel libro a proposito di un’attività di videointervista registrata tra ragazzi, uno di loro osservava: «Non mi sono sentita efficace. Parlo male, mi inceppo e con gli occhi chiedo aiuto ai miei compagni. Mi piace molto lavorare in team nella simulazione di un tg simulato».

La tutela del sonno

In questo caso il “docente digitale” è anche e soprattutto il genitore: «Viviamo in una società automatica, dove fermarsi significa perdere tempo, ma questo causa ansia e preoccupazione specialmente nelle nuove generazioni, per le quali i dispositivi sono sempre presenti, di giorno e di notte. Il sonno è cambiato nell’era dell’ipercontrollo – dice Volpi – Ma il caos, il rumore, l’accelerazione costante dei pensieri bloccano gli apprendimenti, perciò dovremmo proteggere il sonno, sensibilizzando bambini e adolescenti a rispettare il tempo del riposo», nel caso dei piccoli con i rituali della buonanotte in famiglia, come la lettura delle favole, nei più grandi insegnando loro a staccare anche con l’esempio, come non controllare a letto lo smartphone.

Un consiglio ai genitori: prima le relazioni

Nel libro di Volpi si trovano numerosi “fermo immagine”, ossia descrizioni di situazioni molto comuni nella vita di tutti i giorni, a casa come a scuola, che riflettono la dinamica dei rapporti tra bambini e genitori o tra ragazzi e insegnanti. Ma quali sono i consigli fondamentali per gli adulti in una società sempre più digitale? «Il primo suggerimento è di carattere generale, rivolto soprattutto ai genitori: prestare attenzione a come loro stessi utilizzano il cellulare. Il bambino impara per imitazione quindi “l’impronta digitale” la diamo noi adulti. Per esempio, le linee guida nazionali e internazionali sconsigliano di dare un dispositivo al di sotto dei due anni. I bambini imparano dalle relazioni, non tramite il digitale. Un esempio classico è quando iniziano a camminare: spesso la mamma fa loro una foto o un filmato da postare subito sui social. E’ come se volesse così siglare l’acquisizione di una delle primissime competenze del figlio, che però imparerà questo meccanismo e da adulto lo replicherà sentendo il bisogno di suggellare ogni momento saliente della sua vita condividendolo sui social. Bisogna, invece, ricordare che si cresce e ci si forma solo nelle relazioni interpersonali vere» spiega Volpi.

…e uno consiglio ai docenti: la grammatica digitale

Un po’ come nel caso del rapporto genitore-figlio, anche a scuola è importante non saltare alcuni passaggi, come quelli per imparare a leggere e scrivere: «Una volta si iniziava a scrivere con la matita, per poter cancellare gli errori, per poi passare alla penna cancellabile e infine a quella indelebile. Ecco che anche e soprattutto oggi è importante insegnare ai ragazzi che internet e i social sono un po’ come una penna indelebile: ciò che si scrive o si posta lascia sempre un segno. Occorre, quindi, una nuova grammatica digitale e anche gli insegnanti possono contribuire a insegnarla» suggerisce la psicologa.

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