L’importanza del microbiota intestinale, cioè l’insieme di batteri che si trovano nell’intestino, è nota da tempo, soprattutto nelle sue interazioni sulla dieta e alcuni tipi di malattie. Oggi arrivano i risultati di uno studio italiano, che ha scoperto la presenza di alcuni batteri specifici nell’intestino di pazienti con un tumore al colon-retto, il terzo più diffuso. Si tratta di una sorta di “firma”, legata alla mutazione di un gene, che apre la strada a nuove diagnosi, possibilmente più precoci, e a nuove terapie.

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Non esiste solo il microbiota intestinale: per il benessere di tutto l’organismo sono importanti allo stesso modo anche microbiota della pelle, il microbiota vaginale e il microbiota orale.

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Il microbiota che “firma” il tumore al colon-retto

La scoperta è stata fatta dal team dell’Unità Cancer Stem Cells dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, in Puglia. Gli esperti hanno identificato la presenza di un gruppo specifico di 10 specie batteriche nell’intestino di pazienti con tumore del colon retto, con mutazione BRAF. Si tratta di una sorta di “firma” del microbiota, che caratterizza questo tipo di cancro. In circa 1 paziente su 10 con carcinoma al colon-retto, infatti, e nei soggetti con metastasi è associata proprio la mutazione BRAF appena individuata dallo studio (V600E).

Si tratta di una scoperta molto importante ai fini della diagnosi precoce, perché si è visto che il microbiota influisce sul rischio di ammalarsi di tumore e in particolare di tumore al colon-retto. Secondo lo studio, pubblicato sul Journal of Experimental & Clinical Cancer Research, potrebbe anche condizionare la risposta ai farmaci e di conseguenza l’esito della cura. «Quello che abbiamo visto è che esiste una sorta di “firma” del microbiota, come un’impronta digitale, associabile in modo inequivocabile alla presenza della massa tumorale nei soggetti con mutazione del gene di BRAF. Si tratta di una forma di cancro al colon retto particolarmente aggressiva, con minor risposta ai farmaci tradizionali e ad oggi con una prognosi infausta» spiega Elena Binda, responsabile della Unità Cancer Stem Cells dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza.

In pratica, si è scoperto che la crescita di alcuni microrganismi “cattivi” presenti nell’intestino può avere effetti sul sistema immunitario, aumentando l’infiammazione e favorendo la crescita incontrollata delle cellule, con la conseguenza di facilitare l’avanzare del cancro.

La mutazione del gene BRAF

La ricerca ha permesso di individuare una serie di batteri, presenti nei soggetti portatori del gene BRAF mutato. Ma di cosa si tratta? «In questi pazienti la massa tumorale si sviluppa in modo completamente differente rispetto alle persone che hanno un carcinoma in cui il gene non è mutato. Nel 99% di questi casi con gene BRAF mutato si sviluppano metastasi perché il tumore è più aggressivo e risponde meno alla maggior parte delle cure, sia con chemioterapia che con biofarmaci» spiega Binda. Questo significa che poter effettuare una diagnosi precoce può permettere anche di intervenire in modo mirato nelle terapie.

Diagnosi precoce

«Trattandosi di un marcatore che possiamo paragonare a un’impronta digitale, associata a un certo microbiota e a sua volta al gene BRAF mutato, possiamo pensare a programmi di screening basati sulla ricerca di questi batteri. Questo ha due vantaggi: diagnosi precoci e ricorso a esami meno invasivi, cioè il prelievo di un campione fecale invece che biopsie intestinali» spiega la ricercatrice dell’IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza”, che ha condotto la ricerca, coordinata anche da Valerio Pazienza, ricercatore dell’Unità di Gastroeneterologia, in collaborazione con quelle di Chirurgia Addominale, diretta da Francesca Bazzocchi, e di Oncologia, con il medico Tiziana Latiano dello stesso Istituto e anche grazie a finanziamenti dell’Associazione Italiana Ricerca sul Cancro (AIRC).

In arrivo nuove terapie mirate e meno tossiche

Sarà, quindi, possibile mettere a punto nuove terapie, precoci, mirate e meno tossiche, contro questo tumore? «Senz’altro l’obiettivo è questo e consiste nell’intervenire sulla composizione del microbiota, andando a ripristinarne l’equilibrio, con quella che viene definita eubiosi: si tratta di aumentare i batteri “buoni” e ridurre invece quelli “cattivi” che influiscono sui processi infiammatori che a loro volta concorrono all’insorgenza del tumore. È un tipo di cura che andrà ad affiancarsi ai farmaci convenzionali, più tossici, ma i risultati sono molto incoraggianti, perché è stato dimostrato che la composizione del microbiota può interferire sia nel contrasto alla malattia sia nel rendere più efficaci i farmaci tradizionali. Si tratta di agire con prebiotici, postbiotici e sulle composizioni della flora intestinale in maniera mirata, con i colleghi di gastroenterologia e oncologia» conclude l’esperta.

Il microbiota e il Covid

L’importanza del microbiota non si “limita” agli effetti su questo tipo di tumore o all’efficacia di alcune diete. Sempre di recente, infatti, un’altra ricerca condotta dall’Istituto nazionale malattie infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma e dallo stesso Irccs “Casa Sollievo della Sofferenza” di San Giovanni Rotondo, hanno mostrato legami tra l’infezione da Sars-Cov2 e le alterazioni della flora intestinale. Dallo studio, pubblicato dalla rivista scientifica Plos One, è emerso come l’analisi del microbiota concorre alla diagnosi di Covid-19. La presenza del virus in tamponi rettali, infatti, dimostra che può aggredire non solo i polmoni, ma anche altri organi come l’intestino. Il recettore ACE2, che è la porta d’ingresso attraverso la quale il virus entra nelle cellule umane, è molto presente anche nelle cellule del tratto gastro-intestinale. L’analisi del microbiota, dunque, rappresenta uno strumento in più per individuare non solo la malattia, ma anche profili di rischio maggiori in alcuni soggett