Variante Delta: cos’è, perché spaventa, cosa aspettarci

È ritenuta la causa della risalita dei contagi nel Regno Unito, in Portogallo e in Russia. L’Italia è il 5° paese per diffusione. Cosa occorre sapere

Ribattezzata variante Delta dall’Organizzazione mondiale della Sanità, è stata la variante “indiana” fino a quando non si è deciso di denominare le mutazioni del virus con le lettere dell’alfabeto greco. Rappresenta la principale fonte di preoccupazione per questi mesi estivi pressoché ovunque nel mondo. Nel Regno Unito è ritenuta la causa principale del boom di contagi, aumentati del 79% in una sola settimana. Ma lo stesso può dirsi per Portogallo e Russia. Secondo il Financial Times, l’Italia è al 5° posto al mondo per la diffusione di questa mutazione del virus Sars-Cov2, con il 26%: significa che 1 caso su 4 di nuovi contagi è attribuito alla variante Delta. Al primo posto c’è proprio il Regno Unito, seguito da Portogallo, Russia e Stati Uniti. Alle spalle del nostro Paese si trovano invece Belgio, Germania e Francia. Ma cos’è e perché preoccupa?

Cos’è la variante Delta

Comparsa in India a ottobre 2020, la B.1.617 è arrivata dopo altre varianti del coronavirus, come l’inglese, la sudafricana e la brasiliana, ed è considerata una cosiddetta Voc, Variant of Concern, cioè oggetto di particolare attenzione per le sue caratteristiche. Preoccupa, infatti, per l’elevata contagiosità. Secondo il direttore del Dipartimento di Prevenzione generale del ministero della Salute, Gianni Rezza, «questa variante Delta corre il 60% più di quella inglese. Difficilmente si eviterà».

Come si riconosce: i sintomi

«I sintomi più ricorrenti, in base ai dati finora in possesso, sono molto simili a quelli di un raffreddore o di una influenza lieve: faringite, mal di testa, febbre non alta e tosse» spiega l’immunologo Mario Clerici, immunologo dell’Università degli Studi di Milano e della Fondazione Don Gnocchi del capoluogo lombardo. Una caratteristica emersa dai primi report statunitensi, invece, è che non darebbe perdita di gusto e olfatto: «O non sono presenti o lo sono in forma molto lieve. È una caratteristica solo di questa variante e non se ne conosce ancora il motivo» conferma Clerici.

Non è più letale, ma attenti ai giovani

«Non si sa se in termini di ospedalizzazioni comporti un rischio maggiore» ha detto Rezza. Un allarme è giunto, intanto, dagli Stati Uniti, dove il Presidente Joe Biden ha definito la variante Delta «particolarmente pericolosa peri giovani», esortandoli a vaccinarsi tutti, dai 18 anni in su. Perché? «Uno dei motivi potrebbe essere legato al fatto che, a differenza della variante Alfa prevalente anche in Italia, questa non sfrutta il cosiddetto Ace2, poco presente nei soggetti giovani, per entrare nelle cellule» spiega Clerici. La variante Delta, infatti, ha migliorato la sua capacità di “aggancio” tramite un processo chimico che ha mutato tre amminoacidi: il risultato è che, proprio come una calamita, entra con più facilità nel corpo umano, a prescindere dall’età del soggetto e dalla presenza maggiore o minore del recettore Ace2. Dal momento che i giovani sono quelli meno vaccinati, è evidente che possono essere colpiti di più da questa mutazione. Da qui l’appello ad aumentare le immunizzazioni nelle fasce d’età finora escluse dalla copertura vaccinale. «Tutte le varianti sono tali perché il virus cerca un modo migliore per legarsi alle cellule. Questa mutazione ne ha trovato uno più efficace, che rende la malattia più infettiva, ma non più grave in termini di probabilità di complicazioni o morte» spiega l’immunologo.

Quanto sono efficaci i vaccini?

I dati sono confortanti, come emerge dall’ultimo studio pubblicato sulla rivista Lancet, condotto dal Public Health Scotland e dall’università di Edimburgo su un campione di oltre 15mila persone: «Con una sola dose tutti i vaccini risultano meno efficaci: al 33% per AstraZeneca e al 50% per Pfizer, ma con la seconda somministrazione si arriva rispettivamente al 92% e al 96%. Il problema, dunque, si pone per i non vaccinati o per chi ha ricevuto una sola dose» spiega il professore dell’Università degli Studi di Milano.

Come si cura

«Se i sintomi, come detto, sono lievi e simili a un brutto raffreddore, sono gestibili da casa. Ma nel dubbio che l’infezione possa aggravarsi, è bene contattare il medico, anche perché va ricordato che non esiste, di fatto, una terapia specifica per il Covid. Dopo 18 mesi, fortunatamente abbiamo i vaccini, ma la cura è ancora tramite cortisone e ossigeno» spiega l’immunologo.

Cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi mesi?

Il timore è che la variante Delta o quelle che potrebbe arrivare in futuro, possano portare a nuove ondate pandemiche, specie in autunno: «Io rimarrei ottimista: è chiaro che quando torneremo a trascorrere più tempo al chiuso, in autunno, si registrerà qualche caso in più, ma non credo a una nuova ondata vera e propria, anche perché nel frattempo abbiamo già vaccinato 40 milioni di italiani con una dose e quasi 20 milioni con due – dice l’esperto – Se continuiamo a vaccinarci non dovremmo assistere a un aggravamento della situazione, anche perché gli ultimissimi dati indicano anche una memoria immunologica neo confronti del Covid molto alta, superiore alle aspettative precedenti».

Perché si temono altri coronavirus

«Piuttosto, ciò che temo maggiormente è un altro salto di specie da parte di un altro coronavirus. Dal 1400 ad oggi è accaduto 8 volte: di queste 5 sono avvenute in 5 secoli, mentre 3 negli ultimi 12 anni, con la Sars, la Mers e il Sars-Cov2» dice Clerici. Perché? «È evidente che hanno concorso alla diffusione alcuni fattori: per esempio, in Cina c’è un intenso e continuo contatto tra allevamenti di animali e persone, che facilita il salto di specie; non si possono poi trascurare le modifiche ambientali e la globalizzazione, che favorisce gli spostamenti e la diffusione di virus nel mondo. Tanto per fare un esempio, il virus dell’Hiv è passato dallo scimpanzè all’uomo nel 1910, ma è rimasto nelle foreste del Congo fino al 1980. Solo con i viaggi e gli spostamenti delle persone si è poi diffuso, causando quasi 50 milioni di vittime dell’AIDS nel mondo».

Torneremo alle mascherine?

Dal 28 giugno non sarà più obbligatorio indossare la mascherina all’aperto, fatta eccezione per i casi nei quali non sia possibile mantenere il distanziamento o in caso di persone fragili e immunodepresse. Ma dovremo tornare a portarle in autunno, quando trascorreremo più tempo al chiuso e soprattutto ci saranno meno sole e caldo, che si è visto incidono negativamente sulla sopravvivenza del virus? «Io credo che d’estate e con il sole possiamo farne a meno, ma al chiuso e col cambio di stagione continuerei a usarla ancora per un po’ – dice Clerici – Piuttosto sarà importante aumentare i tamponi, perché i contagi che vediamo oggi sono solo la punta dell’iceberg e, per prevenire nuove ondate, è importate il tracciamento».

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