Violenza ostetrica: le donne sono sole

Il 3 maggio è la Giornata mondiale della salute mentale materna. Del benessere prima, durante e dopo il parto si parla poco, ancora meno di violenza ostetrica. La nostra giornalista racconta in prima persona l'abuso di cui è stata vittima. Abbiamo raccolto i dati, la voce delle ostetriche e la petizione online a cui Donna Moderna aderisce per non lasciare sole le donne dopo il parto

3 maggio: Giornata mondiale della salute mentale materna

Di violenza ostetrica e salute mentale materna si parla poco. Nel nostro speciale Violenza ostetrica, un nuovo MeToo del parto? noi ne parliamo sempre. E proprio per accendere un faro a livello mondiale sull’importanza del benessere mentale durante e subito dopo la gravidanza, nel 2016 è nata la Giornata mondiale della salute mentale materna, che ricorre il 3 maggio. «Un figlio è sano se anche la sua mamma sta bene. La nascita è un evento con forti implicazioni emozionali, psicologiche e affettive sulla madre e sul bambino. È essenziale che, per ogni parto, sia garantito un livello appropriato di assistenza ostetrica e cure attente ai bisogni fisici e psichici della mamma e del suo neonato» commenta la dottoressa Valeria Fiorenza Perris, Psicoterapeuta e Clinical Director del servizio di psicologia online e Società Benefit Unobravo.

Il parto determinante per la salute anche del neonato

«Recenti studi dimostrano che stress prolungati in gravidanza e nel post parto possono alterare i profili di alcuni parametri ematochimici materno-fetali e avere conseguenze sia sulla condizione mentale della madre che sullo sviluppo emotivo, cognitivo e relazionale della nuova vita che ha in grembo. Anche il momento del parto risulta essere determinante» prosegue la dottoressa Perris. «Dare alla luce un figlio è un’esperienza unica e intensa. Proprio per questo, a nessuna madre dovrebbe essere negato il diritto di vivere un momento tanto importante secondo il proprio modo di essere e di sentire. È fondamentale promuovere una cultura della nascita più consapevole, rispettosa e pensata per le esigenze di ciascuna donna. Infatti, se, da un lato, la medicalizzazione e i protocolli sanitari hanno contribuito a ridurre l’incidenza di complicanze, assolutamente auspicabile soprattutto in presenza di fattori di rischio, dall’altro, iscrivere il parto all’interno di una routine standardizzata rischia di svuotare un evento tanto straordinario della sua unicità e del suo senso più profondo.

Quando il parto diventa violenza ostetrica?

Ancora troppo spesso il parto è, infatti, gestito secondo un approccio seriale. «La sua disumanizzazione è di frequente una diretta conseguenza della carenza di personale medico e infermieristico: un problema che affligge l’Italia e molti altri Paesi del mondo» prosegue la psicoterapeuta. «Al loro ingresso nell’habitat ospedaliero, le donne smettono di essere considerate come individui e vengono sottoposte a procedure standard, a volte invasive, non necessarie o, persino, dannose. Quando si verificano situazioni di violazione dei diritti umani, quali l’eccessiva medicalizzazione, la somministrazione di cure o farmaci senza consenso o l’assenza di rispetto per la persona e la sua volontà, si può parlare di violenza ostetrica».

La nostra giornalista Flavia Piccinni racconta in prima persona la violenza ostetrica di cui è stata vittima, fenomeno sommerso ma esploso sui media dopo la vicenda di qualche tempo fa del neonato morto a Roma.

La storia di violenza ostetrica della nostra giornalista

Violenza ostetrica? Prima non ne avevo mai sentito parlare, finché quando mi sono svegliata la mattina dopo il parto, mi sono resa conto che mia figlia era sul mio petto. Aveva dormito lì tutta la sua prima notte, ma io di quello che era accaduto non ricordavo niente.

Un caso non denunciato

Riuscivo solo a rammentare faticosamente i dettagli del giorno prima: l’induzione con l’ossitocina, la mia richiesta irremovibile per avere l’epidurale, la corsa in sala parto, il dolore atroce, sfiancante, indescrivibile, della fase espulsiva. L’ultima immagine che custodivo era il saluto con mio marito prima di entrare in reparto («Non può rimanere oltre per il regolamento Covid» ci aveva spiegato l’ostetrica davanti all’ascensore), il controllo con la pediatra, il ritorno in stanza, dove un’ostetrica prima mi aveva spiegato che la bambina sarebbe stata in rooming-in, dunque mi aveva messo con aggressività la piccola sul ventre e, strizzandomi il capezzolo, mi aveva ordinato di allattarla. Era un caso di violenza ostetrica, ma non lo avrei denunciato: poco dopo sarebbe arrivato il buio.

Partecipa anche tu alla petizione online contro la violenza ostetrica

Donna Moderna sostiene la petizione oline dell’associazione Mama Chat contro la violenza ostetrica, a cui puoi partecipare anche tu. La petizione chiede di non lasciare sole le donne dopo il parto, consentendo l’accesso agli ospedali di una persona scelta dalla neomamma.

Violenza ostetrica è anche imporre il co-sleeping

La mattina seguente a svegliarmi era stata la mia compagna di stanza, una genovese simpatica e chiacchierona, che aveva esclamato:  «Certo sei stata coraggiosa a fare co-sleeping!». L’avevo guardata e spaesata avevo annuito. Non avevo avuto il coraggio di confessarle che quella non era stata una scelta: semplicemente ero sprofondata in un sonno dettato da una stanchezza sconosciuta, cui mi ero arresa in catalessi. Accadeva 3 mesi fa. E, ogni volta che ci ripenso, mi sento graziata. Anche per questo, dopo il dramma all’ospedale Pertini di Roma – dove un neonato è stato ritrovato senza vita nel letto della mamma, che ha spiegato di aver chiesto aiuto al personale senza riceverlo – non riesco a fare a meno di credere che, realmente, sarebbe potuto accadere anche a me.

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Violenza ostetrica è anche la solitudine dopo il parto

Nessuno quella prima notte era venuto a verificare il mio stato di salute o le condizioni di mia figlia. Me l’avevano affidata nonostante il mio corpo fosse disintegrato, e la mia mente sprofondata in un black out da cui sarei riuscita a riemergere solo dopo molti giorni. «La verità è che le madri sono sole fin dai primi momenti dopo il parto» riflette la scrittrice Romana Petri, che al tema ha dedicato il suo libro Mostruosa maternità (Giulio Perrone Editore). «Nemmeno un parente può passare la notte con la ricoverata, e se nessuno vigila possono accadere atrocità di questo tipo».

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Le denuncia: più ostetriche eviterebbero molte morti

Al centro della questione si manifestano così i due elementi pulsanti: la carenza di personale nei reparti, ormai strutturale, e la solitudine delle neomamme costrette, a causa dei regolamenti anti-Covid, a prendersi cura dei figli da sole. Nonostante abbiano alle spalle lunghi travagli e dolorose ferite. «La mancanza di ostetriche negli ospedali è stata più volte segnalata agli organi competenti anche dalle società scientifiche di categoria. Abbiamo lanciato l’allarme sin dal 2021» mi spiega Silvia Vaccari, presidente della Federazione nazionale degli Ordini della Professione di Ostetrica (FNOPO), che conta circa 21.000 iscritti. «L’assistenza prevista dall’ostetrica con organici al completo e risorse adeguate potrebbe evitare il 67% delle morti materne, il 64% delle morti neonatali e il 65% dei nati morti nel prossimo decennio, salvando circa 4,3 milioni di vite ogni anno. Il mondo, infatti, sta affrontando una carenza di 900.000 professionisti».

La denuncia anonima dell’ostetrica: «Siamo troppo poche»

Nel nostro Paese bisogna fare i conti con la spesa sanitaria e con lo strascico della pandemia. «Da quando c’è stato il Covid, il nostro lavoro è triplicato. Io faccio turni di 10 ore e mi devo occupare di 12 donne da sola. Ognuna ha esigenze diverse: c’è chi sta per partorire, chi per i punti non può andare in bagno e mi chiede di guardarle la figlia, chi non riesce ad allattare e vuole che le sprema il colostro. Capisco le madri che devono badare h24 ai bambini, ma né io né le mie colleghe abbiamo il dono dell’ubiquità» mi racconta un’ostetrica dalla ventennale esperienza che vuole restare anonima.

L’appello: «Occorre riaprire gli ospedali ai familiari

«La soluzione, comunque, non è demonizzare il rooming in. Bisognerebbe aumentare il personale, ma anche rivedere le normative. Considerato il calo delle nascite, dovremmo poter migliorare l’assistenza» sospira Gabriella Pacini dell’associazione romana “Freedom For Birth”, che rivendica il diritto delle donne di scegliere come partorire . «Si potrebbe iniziare aggiornando i protocolli ospedalieri, aprendo le porte dei reparti ai partner e ai familiari, ma anche dando forza ai centri di sostegno post-natale. Perché la solitudine non è solo quella che si prova all’inizio, ma anche quella che si conosce a casa».

Il baby blues delle neomamme è un rischio concreto

Le fragilità che seguono un parto sono molteplici. Come spiega il professor Andrea Fagiolini dell’Università di Siena, «nei giorni immediatamente dopo la nascita, fino all’85% delle neo mamme esperisce una condizione chiamata “baby blues”, una forma lieve e temporanea di depressione ansiosa. Altre conoscono la depressione post-partum, una condizione più grave e meno frequente, sebbene possa arrivare a interessare fino a una donna su 5. Tutte si trovano comunque davanti a una nuova vita, spesso senza che nessuno le aiuti a comprendere questa inedita dimensione».

La pressione delle ostetriche

Una dimensione che si dimostra sovente inaspettata e violenta. Una quotidianità che mi ha stordito quando, subito dopo il parto e senza la minima competenza, mi è stato richiesto di accudire in solitudine mia figlia, nonostante il dolore dei punti di sutura e la foschia mentale che mi affliggeva. Doversi impegnare per allattarla rapidamente – manipolata e messa sotto pressione dalle ostetriche – si è trasformato in un incubo. Ed è così che sono uscita dall’ospedale esattamente 48 ore dopo aver partorito. In borsa le dimissioni volontarie,  in testa le critiche del personale medico e ostetrico che mi invitava a restare considerato il calo ponderale della mia bambina e il mio stato di salute. Nonostante avessi più volte provato a spiegare il mio disagio, la fatica e la solitudine che avevano reso intollerabili gli ultimi due giorni, nessuno aveva prestato attenzione ai miei bisogni. Una volta a casa – circondata dai miei affetti, e nella tranquillità della mia camera da letto – mi sono sentita sollevata. E ho pensato, mentre nel cuore della notte allattavo sotto lo sguardo amorevole e attento di mio marito nostra figlia, di essermi salvata.

Dizionario per capire la violenza ostetrica

Violenza Ostetrica. Tutti i comportamenti vessatori o irrispettosi che hanno a che fare con la salute riproduttiva e sessuale delle donne. Comprende anche quelli che accompagnano e seguono il parto, dal non fornire farmaci al non prestare assistenza nonostante le richieste.

Rooming-in. Pratica che permette alla madre e al bambino di restare nella medesima camera subito dopo il parto. Sostenuta dall’Oms e dall’Unicef, è finalizzata a creare un legame fra i genitori e il neonato.

Co-sleeping. Termine con il quale viene definita, nella comunità scientifica, la diffusa abitudine – al centro di un acceso dibattito – di dormire nello stesso letto con il proprio neonato.

Violenza ostetrica: i dati del 2021

La solitudine gioca un ruolo centrale. Lo confermano anche gli studi scientifici, come quello dell’Istituto Burlo Garofalo di Trieste su quasi 5.000 donne che hanno partorito fra il 2020 e il 2021. I dati sono eclatanti: il 78,4% delle partorienti non ha potuto essere assistito dal partner, il 39,2% non si è sentito totalmente coinvolto nelle scelte mediche, il 24,8% non si è sempre sentito trattato con dignità mentre il 12,7% ha dichiarato di aver subito abusi.

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