Mentre l’Unione Europea discute ancora una normativa che metta fine all’uso delle gabbie negli allevamenti, la Svezia ha compiuto un passo senza precedenti: è ufficialmente il primo Paese al mondo in cui non esistono più galline allevate in gabbia. Una trasformazione avvenuta non grazie a divieti imposti per legge, ma frutto di un lungo percorso di sensibilizzazione pubblica e di impegni volontari da parte delle aziende. Un cambiamento che arriva in un momento cruciale. L’emergenza globale legata all’influenza aviaria ha riacceso i riflettori sulle condizioni degli allevamenti intensivi. Come riportato dal Corriere della Sera, un’indagine coordinata da una rete internazionale di organizzazioni ha documentato la diffusione del virus in contesti dove le galline ovaiole sono costrette in spazi ristretti e insalubri.
La Svezia dice addio alle galline in gabbia
Nel caso della Svezia, però, il superamento delle gabbie è avvenuto grazie alla pressione civile e a una crescente consapevolezza etica da parte di consumatori e imprese. Già nel 1988 il Parlamento svedese aveva vietato formalmente questo sistema di allevamento, ma la normativa non era stata pienamente rispettata. Solo a partire dal 2008, grazie a una campagna di confronto tra attivisti e attori del settore alimentare, oltre ottanta aziende hanno scelto di non acquistare più uova provenienti da allevamenti in gabbia. Una scelta che ha avuto un impatto concreto: in poco più di quindici anni, oltre 17 milioni di galline sono state sottratte a una vita interamente confinata. A certificarlo sono i dati raccolti da Project 1882, principale organizzazione svedese impegnata nella tutela degli animali da allevamento.
Nessuna normativa europea
Il modello svedese rappresenta quindi una prova tangibile che la transizione verso sistemi più rispettosi del benessere animale è possibile anche in assenza di leggi coercitive. Ma l’esperienza scandinava mette anche in evidenza l’importanza di un’azione sinergica tra società civile, imprese e politica, in un momento in cui l’Europa intera si interroga su come conciliare sostenibilità ambientale, sicurezza alimentare e diritti degli animali. In attesa della direttiva europea annunciata per il 2026, l’inchiesta globale condotta dall’alleanza internazionale sulle condizioni degli allevamenti intensivi mostra un quadro ancora drammatico in molti altri Paesi. Le immagini, raccolte in decine di Stati, mostrano galline costrette a vivere in spazi angusti, spesso a contatto con carcasse in decomposizione, prive di stimoli e in condizioni igieniche critiche.
Le condizioni critiche delle galline
Secondo quanto emerso, ciascun animale avrebbe a disposizione meno spazio della superficie di un piccolo tablet. In queste gabbie sovraffollate, molte galline appaiono visibilmente ferite, malate o incapaci di reggersi in piedi. Scene che si ripetono in ogni angolo del mondo, dall’Asia all’America Latina, e che pongono interrogativi urgenti anche in merito alla salute pubblica. Il sovraffollamento e lo stress cronico cui sono sottoposti gli animali rendono questi ambienti ideali per la diffusione di agenti patogeni. Il virus dell’influenza aviaria, che si è ormai diffuso in ogni continente, rappresenta una minaccia crescente per l’uomo e l’ecosistema. E mentre la crisi sanitaria si aggrava, il settore avicolo continua a beneficiare di finanziamenti pubblici, giustificando rincari dei prezzi con l’emergenza epidemiologica.
Cosa succede in Italia
L’Italia è chiamata a recepire entro il 2026 la direttiva europea che prevede la fine graduale delle gabbie. Sarà un passaggio cruciale per adeguare il sistema produttivo, garantire maggiore trasparenza e ridurre le diseguaglianze nel trattamento degli animali allevati. In questo scenario, la Svezia rappresenta un esempio concreto di come una trasformazione profonda possa avvenire attraverso la cooperazione tra società civile e settore economico, senza dover attendere necessariamente l’intervento del legislatore. Un percorso lungo, ma possibile, che offre una visione alternativa e sostenibile per il futuro della zootecnia europea.