La crisi climatica sta mettendo a rischio la sopravvivenza delle banane, il frutto più consumato al mondo e una delle principali colture alimentari globali. Secondo il rapporto diffuso da Christian Aid, «Going Bananas: How Climate Change Threatens the World’s Favourite Fruit», pubblicato nel maggio 2025, quasi due terzi delle aree di coltivazione delle banane in America Latina e nei Caraibi potrebbero diventare inabitabili entro il 2080 a causa dell’aumento delle temperature, eventi climatici estremi e la diffusione di malattie legate al clima.
Il frutto più consumato al mondo
Le banane sono il frutto più consumato al mondo e la quarta coltura alimentare più importante a livello globale, dopo grano, riso e mais. Oltre 400 milioni di persone dipendono da questo frutto per il 15-27% del loro apporto calorico giornaliero.
Si stima che l’80% delle esportazioni di banane che riforniscono i supermercati di tutto il mondo provenga dall’America Latina e dai Caraibi, una delle regioni più vulnerabili alle condizioni meteorologiche estreme e ai disastri climatici a lenta insorgenza. Eppure questa coltura è messa in pericolo dalla crisi climatica provocata dall’uomo e minaccia una fonte alimentare vitale e i mezzi di sussistenza di comunità che non hanno contribuito in alcun modo alla produzione di gas serra che causano il riscaldamento globale.
«Il cambiamento climatico sta uccidendo i nostri raccolti. Questo significa che non ci sono entrate perché non possiamo vendere nulla. La mia piantagione sta morendo», racconta ai ricercatori di Christian Aid Aurelia Pop Xo, 53 anni, coltivatrice di banane in Guatemala.
La scarsa variabilità genetica delle banane
Le banane, in particolare la varietà Cavendish, sono frutti sensibili. Richiedono un intervallo di temperatura compreso tra 15 e 35 °C per prosperare e acqua a sufficienza, ma non troppa. Soffrono i temporali, che possono causare la caduta delle foglie, rendendo molto più difficile la fotosintesi della pianta. Sebbene esistano centinaia di varietà di banane, la Cavendish è la più coltivata a livello commerciale e rappresenta la stragrande maggioranza delle esportazioni, poiché è stata scelta dai grandi gruppi frutticoli per il suo sapore gradevole e la sua elevata resa. Nello stesso tempo però questa scarsa variabilità genetica rende le banane particolarmente vulnerabili ai rapidi cambiamenti climatici ed epidemie globali.
Le malattie fungine decimano i raccolti
La crisi climatica danneggia in modo diretto le condizioni di coltivazione e contribuisce alla diffusione di malattie fungine che stanno già decimando raccolti e mezzi di sussistenza. Il fungo della foglia nera può ridurre la capacità di fotosintesi delle piante di banana dell’80% e prospera in condizioni di umidità. L’aumento delle temperature e i cambiamenti nei regimi pluviometrici stanno esacerbando un altro fungo, il Fusarium tropical race 4, un microbo che si trasmette nel suolo e che sta devastando intere piantagioni di Cavendish in tutto il mondo.
Banane a rischio, quali soluzioni mettere in atto?
Christian Aid invita le nazioni ricche e inquinanti, maggiormente responsabili della crisi climatica, ad abbandonare urgentemente i combustibili fossili e ad adempiere ai propri obblighi di finanziamento per aiutare le comunità ad adattarsi ai cambiamenti climatici.
«Le banane non sono solo il frutto più amato al mondo, ma anche un alimento essenziale per milioni di persone. Dobbiamo renderci conto del pericolo che il cambiamento climatico rappresenta per questa coltura vitale», afferma Osai Ojigho, direttore delle politiche e delle campagne di Christian Aid. «La vita e i mezzi di sussistenza di chi non ha fatto nulla per causare la crisi climatica sono già minacciati».
Tra le altre misure per mitigare gli effetti del cambiamento climatico sulla produzione di banane, gli esperti suggeriscono di investire in infrastrutture climatiche, ad esempio sistemi di irrigazione più efficienti e tecniche agricole adattive che possano aiutare a proteggere le coltivazioni. Promuovere infine la diversificazione genetica: produrre varietà più resistenti rispetto alla Cavendish potrebbe infatti garantire una maggiore sicurezza alimentare.