testimonianza raccolta da Giorgia Nardelli
storia di Roberta Arena pediatra neonatologa

Stamattina sono a casa e mio figlio continua a girarmi intorno chiedendomi cento cose al minuto. Pietro ha 4 anni e dall’inizio dell’anno è andato all’asilo solo due giorni, è bastato che due compagni fossero positivi al Covid, in momenti diversi, per paralizzare la classe per un mese intero. Passa le giornate chiuso in casa con me o con il suo papà, senza amici, senza nonni, senza passeggiate al parco o partite a pallone. Per fortuna c’è suo fratello Massimo, che fa la prima elementare e quando torna da scuola o è in quarantena giocano insieme. Già, perché capita spesso anche a Massimo di restare a casa. Ormai ripeto sempre la stessa battuta: “Per vederli andare a scuola entrambi si devono allineare i pianeti”.

Pietro frequenta la scuola materna, non ha l’età per il vaccino, né per portare le mascherine, e le regole per lui e i suoi compagni sono rigidissime: per ogni caso in classe si va tutti a casa, non c’è differenza se un bimbo è appena guarito dal Covid o la settimana prima non era a scuola e magari non ha neanche mai incontrato il bimbo positivo. La classe chiude, e per tutti, punto. Si sta isolati fino al tampone, dieci giorni dopo. Va avanti così dall’inizio dell’anno scolastico, e da quando è arrivata Omicron è iniziato questo gioco dell’oca che mette in crisi grandi e piccoli. Ogni volta che dalla scuola arriva una comunicazione è sempre più dura. Devi spiegare a tuo figlio che si deve stare a casa perché un compagno è positivo e non bisogna far circolare il virus. A quel punto chiami tuo marito, riorganizzi con lui le giornate, telefoni al pediatra e prenoti il tampone e, dopo dieci giorni, che sembrano non passare mai, finalmente lo riporti in classe. Lo prepari, lo lasci felice all’asilo e speri che vada tutto bene, ma passata nemmeno una settimana eccoti di nuovo al punto di partenza.

È come se ci fosse un’altra pandemia, gestita in modo tutto diverso, solo per i bambini sotto i 5 anni, e di cui non sembra accorgersi nessuno. Ad accorgercene, però, siamo noi, le famiglie. Le quotidianità sono stravolte e non abbiamo nemmeno la scialuppa di salvataggio dei nonni a cui aggrapparci, perché dobbiamo salvaguardare la loro salute. Ma non è questo che mi angoscia di più. È quello che vedo in Pietro, nel suo sguardo, nei suoi comportamenti e che osservo anche negli altri bambini della sua età, come mamma e, soprattutto, come pediatra. Per questa ragione, quando ci è arrivata la notizia dell’ultima quarantena mi sono seduta e ho scritto una lettera indirizzata alle istituzioni e alle società scientifiche del mondo pediatrico e materno infantile. L’ho anche pubblicata su Facebook, per farla girare, perché sono arrabbiata, non possiamo più fare finta di niente.

Da mesi noi pediatri, assieme ai neuropsichiatri infantili, non facciamo altro che ripeterlo: questa pandemia sta minando il benessere psicofisico dei nostri piccoli. A confermarlo sono decine di studi pubblicati negli ultimi due anni: cambiare abitudini, non andare a scuola, non fare sport, passare intere giornate a girare per casa ha effetti immediati sulla salute. Arrivano l’ansia, la difficoltà ad addormentarsi e i risvegli notturni ma anche l’inappetenza o, al contrario, i bimbi che mangerebbero tutto il giorno e che soffrono perfino di dolori psicosomatici. A me basta guardarlo, Pietro, per capire che c’è qualcosa di profondamente sbagliato in tutto questo, quando mi chiede cibo, si annoia, vuole stare ore davanti alla tv, nonostante io cerchi in tutti i modi di fargli compagnia. E non esagero se confesso che ho paura per lui e per i suoi coetanei, fino a ieri sani ed equilibrati. Non sappiamo che bambini saranno alla fine di questo lunghissimo anno senza normalità.

Per evitare che il Paese si fermasse, le indicazioni su restrizioni e quarantene sono state giustamente aggiornate per tutti, oggi noi adulti con 3 dosi di vaccino possiamo continuare ad andare a lavorare indossando una Ffp2. Ma le nuove regole sono state pensate sui bisogni e sulle possibilità degli adulti, per i più piccoli l’unica soluzione immaginata in questi anni è stata sempre la stessa: chiuderli in casa. Cosa spiegherò domani a Pietro? Che l’ho tenuto tra queste quattro mura mentre fuori persino il tracciamento saltava? Che isolandoli volevamo contenere una pandemia mentre noi adulti continuavamo a fare le cose di prima, e mentre i contagi, comunque, salivano alle stelle anche sotto i 5 anni?

Né io né alcun genitore vorrebbe e potrebbe sostituirsi al governo o al Comitato tecnico scientifico, ma da medico e da madre dico a voce alta che bisogna cambiare le regole. Il come non spetta a me deciderlo, ma certo si potrebbe valutare di accorciare le quarantene, di permettere ai piccoli di andare in classe o almeno di passeggiare all’aperto. Va trovata una soluzione, ma soprattutto, va cercata, con la stessa urgenza e consapevolezza con cui si cercano vie di uscita alle situazioni di emergenza. La felicità e la salute dei nostri bambini non possono rimanere all’ultimo posto.

TROPPA CONFUSIONE, TANTA RABBIA

La protesta della mamma medico che ospitiamo in queste pagine non è certo isolata. Da giorni monta la rabbia dei genitori che hanno i figli alle elementari, anche loro costretti a quarantene continue. Si raccolgono firme su Change.org contro la prassi che, con due positivi in classe, fa scattare Dad e quarantena per tutti, vaccinati e guariti compresi.

Se l’ultimo decreto del governo dice che chi è vaccinato da meno di 4 mesi e non ha sintomi ha solo l’obbligo di indossare la Ffp2 perché la circolare del ministero dell’Istruzione impone ai bambini la quarantena? Perfino gli esperti su questo punto sono divisi. Il pediatra Vincenzo Zuccotti del Fatebenefratelli Sacco di Milano ha dichiarato che i tamponi andrebbero riservati ai bambini sintomatici, abolendo per gli altri le quarantene. Ma molti altri, all’interno della Federazione italiana medici pediatri, vogliono ancora mantenere alta la guardia.