Cannabis shop negozio vendita

Cannabis light: stop della Cassazione

La suprema Corte prova a mettere fine ai dubbi interpretativi, dando un fondamento giuridico alla crociata intrapresa dal ministro dell’Interno Matteo Salvini: i prodotti per uso umano ricreativo sono fuori legge. Per i negozi specializzati, aperti a centinaia, potrebbe esserci il rischio chiusura

Cannabis light, stop della Cassazione. Le Sezioni unite hanno rovesciato precedenti decisioni di segno contrario, con una sentenza che si presta a interpretazioni non univoche (sicuramente non prima della pubblicazione delle motivazioni) e  dunque non fa completamente chiarezza. Chiamate a pronunciarsi su un caso concreto, ambientato ad Ancona, gli “ermellini” hanno stabilito quello che viene sintetizzato da un comunicato stampa ufficiale: la legge 242 del 2016 (la normativa sulla promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa) non consente la vendita o la cessione a qualunque titolo dei prodotti “derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L”, in particolare l’olio, le foglie, la resina e le inflorescenze, “salvo che siano in concreto privi di efficacia drogante”. Chi li mette in commercio o li distribuisce rischia di rispondere del reato di spaccio e di vedersi sequestrare le confezioni, se non le intere rivendite. Chi li usa, fumandoli, potrebbe essere segnalato alla prefettura come assuntore di droghe e incorrere in provvedimenti amministrativi.

E per i negozi specializzati aperti a centinaia negli ultimi anni, i growshop, saranno probabilmente problemi. Idem per gli altri esercizi commerciali  e locali – bar, negozi di scarpe, parrucchieri – che offrono merce simile. Resta da spiegare, nelle implicazioni pratiche, il nodo della questione: che cosa si intende esattamente per “efficacia drogante in concreto”?

“Basta zone franche”

Già prima della pronuncia della Cassazione, datata 30 maggio, i negozi specializzati erano entrati nel radar del ministro dell’Interno Matteo Salvini, ed erano diventati bersagli di una crociata e di rigide disposizioni ricevute dalla questure. Anche secondo  il Consiglio superiore di sanità, che sul punto ha espresso un parere nel giugno 2018, la vendita era considerata impropriamente “legale” e stava prosperando grazie a una apparente zona franca o grigia.

Adesso, per valutare appieno l’impatto della sentenza e per capire che cosa si intenda nello specifico per “efficacia drogante”,  bisognerà aspettare la pubblicazione delle motivazioni, nelle prossime settimane. A breve si capirà invece se sarà usato il pugno duro, da subito. Gli addetti ai lavori, vista l’aria che tira, temono ispezioni a raffica, sigilli, chiusure. E c’è  grande preoccupazione per le ricadute economiche e occupazionali.

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Le ricadute per i growshop

I giudici delle Sezioni unite – stando allo stringato comunicato  emesso dopo la decisione – hanno osservato che la legge in materia “qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole, che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati”. Quelli per uso umano ricreativo, come detto, non sono compresi. I growshop potranno continuare a vendere “solo” altri tipi di articoli derivati dalla canapa, purché il loro contenuto di Thc (il principio che dà effetti psicotropi) sia compreso tra lo 0,2 per cento e lo 0,6 per cento tollerato (uno spinello “tradizionale” arriva al 5-8, uno potenziato va ancora oltre). Si tratta di tessuti, cosmetici, capi di abbigliamento, carta, materiali per l’edilizia. Per gli alimenti, tipo biscotti e lecca lecca, si aspetta di saperne di più. Pare di capire che non siano tra le merci messe al bando.

Che cosa cambierà in concreto?

Che cosa cambierà in concreto dopo la pronuncia della Cassazione? Secondo molti osservatori diventerà difficile, se non impossibile, vendere i derivati light della cannabis destinati al consumo umano senza incorrere in conseguenze penali. Nel caso di indagini mirate e denunce, d’ora in poi sarà il giudice di merito a stabilire di volta in volta se i prodotti “sospetti” prelevati da poliziotti, carabinieri o finanzieri – con un rinnovato impulso a fare controlli mirati – abbiano o meno una “efficacia drogante” (e quindi siano perseguibili), non più legata alle percentuali di Thc indicate numericamente dalla legge del 2016. Anche il caso oggetto della sentenza delle Sezioni unite – l’opposizione della procura di Ancona alla revoca di due sequestri di prodotti, ai danni di un negozio – è stato riaffidato alla magistratura territoriale per la decisione finale.

Federcanapa: “La sentenza non vieta le vendite”

Ferdercanapa dà una lettura diversa delle anticipazioni del pronunciamento. “La sentenza delle Sezioni unite penali della Cassazione – è il parere espresso in una nota, o perlomeno l’auspicio – non determina la chiusura generalizzata dei negozi che offrono prodotti a base di canapa. Il testo dice infatti chiaramente che la vendita e in genere la commercializzazione al pubblico di questi prodotti sono reati, ‘salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante’. Pertanto la Cassazione ha ritenuto che la cessione di derivati di canapa industriale senza efficacia drogante non rientra nella legge sugli stupefacenti”. Da anni, viene ricordato, la lettura scientifica e la tossicologia forense dicono che la soglia di Thc che fa la differenza è lo 0,5. “Pertanto – sostiene sempre Ferdercanapa – non può considerarsi reato vendere prodotti derivati delle coltivazioni di canapa industriale con livelli di Thc sotto quel limite. Ci auguriamo che anche le forze di polizia si attengano a questa netta distinzione tra canapa industriale e droga nella loro azione di controllo e che non si generi un clima da “caccia alle streghe” con irreparabili pregiudizi, patrimoniali e non, per le numerose aziende del settore”.

Malati senza alternative legali

Di certo la decisione della Cassazione non investe i farmaci a base di cannabis, che sono regolati da specifiche  disposizioni, che rimangono invariate. I malati cui viene negato l’accesso ai preparati terapeutici, però, non avranno più i blandi prodotti alternativi messi al bando dagli “ermellini”, non in modo legale.

Commenti e dichiarazioni pro e contro

Giornali, siti, televisioni e social stanno registrando dichiarazioni e commenti, pro e contro. Salvini esulta, per il punto segnato. In collegamento con la trasmissione Diritto e rovescio, ha dichiarato: “Questa sentenza mi fa tirare un sospiro di sollievo, prima ancora da padre che da ministro, perché lancia un messaggio chiaro: la droga fa male. Mi auguro che i posti di lavoro che verranno persi, per cui mi dispiace, possano essere riconvertiti”. Poi ha precisato: “Un conto sono le cure sanitarie, ma per divertirsi ci sono altri modi”.

Secondo Matteo Gracis, direttore della rivista Dolce Vita, il pronunciamento della Cassazione  è un “passo indietro”. Il Moige, Movimento italiano genitori, pretende l’immediata chiusura di tutti i growshop. I Radicali si dicono in attesa delle motivazioni, “per valutare quella che speriamo non si configuri come una sentenza ‘politica’, cioè in linea con il volere di un ministro che ha annunciato un’offensiva nei confronti della cannabis light. La legge che consente la coltivazione di canapa industriale – osservano – non vieta espressamente la vendita di infiorescenze. In uno Stato di diritto, ciò che non è espressamente vietato dalla legge è lecito. E come è possibile che in un Paese a crescita zero, dove ci si arrovella da decenni su come rilanciare il settore agricolo, ci si accanisca per mero pregiudizio su uno dei più floridi settori industriali?”

Coldiretti conferma: settore in espansione

Coldiretti conferma: “In Italia nel giro di cinque anni sono aumentati di dieci volte i terreni destinati a cannabis sativa e la coltivazione riguarda anche esperienze innovative, con produzioni che vanno dalla ricotta agli eco-mattoni isolanti, dall’olio antinfiammatorio alle bioplastiche, fino a pasta, biscotti e cosmetici. “Su un tema così delicato – incalza il presidente dell’associazione di categoria, Ettore Prandini – ora è necessario l’intervento del Parlamento. Bisogna tutelare i cittadini senza compromettere le opportunità di sviluppo del settore, con centinaia di aziende agricole che hanno investito nella coltivazione, in svariate zone del Paese”.

Le preoccupazioni dei commercianti

Riccardo Ricci, imprenditore del ramo e presidente dell’Aical, Associazione italiana cannabis light, è più che preoccupato: “La decisione della Cassazione per noi è una tragedia. Di fatto la pietra tombale di un’intera filiera industriale che si è sviluppata in questi tre anni, e avrà un impatto su almeno 10 mila persone che lavorano in questo settore. A partire dalla mia azienda. Ad oggi – spiega – ci sono in Italia circa 3 mila negozi che vendono prodotti derivati dalla cannabis, 2,5 mila nati negli ultimi 24 mesi che trattano esclusivamente questi prodotti. ll 90 per cento del fatturato – altro dato – arriva da infiorescenze e oli”.  Non solo.  Secondo una recente ricerca, la cannabis light venduta alla luce del sole avrebbe fatto perdere dai 90 ai 170 milioni all’anno alla criminalità organizzata: i consumatori hanno preferito acquistare marijuana legale presso i canali di vendita leciti  anziché rivolgersi al mercato nero controllato dalle mafie.

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