Cosa vuol dire essere poveri in Italia

Secondo il rapporto Istat aumentano le famiglie in condizioni di povertà assoluta. Ecco cosa significa far fatica ad arrivare a fine mese

Quasi 1 milione e 800 mila famiglie residenti in Italia vivono in condizioni di povertà assoluta, pari a 5  milioni e 58 mila individui. A dirlo il report dell’Istat, secondo cui c’è stata una crescita rispetto al 2016. In aumento i problemi soprattutto nei nuclei familiari più numerosi con figli minori, ma anche in quelli monogenitoriali, come nel caso di madri (o padri) separati che si trovano a dover mantenere da soli i figli. Le situazioni più gravi, poi, si registrano nel sud Italia e nelle famiglie ci stranieri.

Ma davvero l’Italia si sta impoverendo? “I dati confermano gli effetti di alcuni mali strutturali del Paese, con una incidenza maggiore della povertà assoluta nel Mezzogiorno, dove si registra il 10,3% rispetto a una media intorno al 5% delle regioni del centro e del nord. Una situazione che conferma e aggrava una condizione già presente anche nel 2005, anno di inizio della serie storica” spiega a Donna Moderna Federico Polidoro, Responsabile del servizio Istat – Sistema integrato su condizioni economiche e prezzi al consumo.

Un quadro generale: soffrono sud e minori

Quasi il 7% delle famiglie non riesce ad affrontare le spese minime mensili per poter acquistare beni di prima necessità e servizi essenziali, in base ad uno standard minimo ritenuto accettabile. Un calcolo che tiene conto anche del territorio nel quale si abita e dunque del costo medio della vita. Secondo l’Istituto di ricerca a pesare sull’aumento del numero di nuclei familiari e singoli individui in condizioni critiche è in parte anche l’inflazione registrata nel 2017.

A preoccupare è anche la situazione dei minori, che rimane elevata (12,1%, pari a 1 milione 208 mila, a fronte del 12,5% del 2016). A soffrire maggiormente sono le famiglie nelle quali è presente almeno un minore, con vaori elevati nei nuclei dove ci sono tre o più figli under 18.

I dati peggiori provengono dalle regioni del Sud: “C’è un’Italia che viaggia a due velocità, con il Mezzogiorno che ha dati quasi doppi rispetto al centro e al nord – spiega Polidoro – Questo riguarda un po’ tutti gli indicatori, anche se l’andamento più negativo interessa le fmaiglie composte da soli stranieri: al nord il 29,2% di queste famiglie è in condizioni di povertà assoluta, mentre al sud si arriva al 42,6%. Anche tra i nuclei di soli italiani, comunque, nelle regioni settentrionali a soffrire maggiormente è il 5,1%, mentre nel meridione si sale al 9,1%”.

Ma come si calcola la povertà assoluta?

Le spese e i servizi

Per calcolare le soglie di povertà sono presi in considerazione alcuni valori che hanno a che fare con la spesa per consumi di una famiglia. Per valutare lo stato di “ricchezza” o meno è stata adottata la classificazione europea dei beni e servizi oggetto di consumo (Classification of Individual Consumption by Purpose) aumentando da 264 a 473 il numero delle voci di spesa. 

Nel caso specifico, in Italia “Ad esempio, per un adulto (di 18-59 anni) che vive solo, la soglia di povertà calcolata è pari a 826,73 euro mensili se risiede in un’area metropolitana del Nord, a 742,18 euro se vive in un piccolo comune settentrionale, a 560,82 euro se risiede in un piccolo comune del Mezzogiorno” spiega l’Istat, che sul proprio sito permette di calcolare i valori per ciascun individuo o nucleo, inserendo i dati relativi alla zone di residenza e al numero di componenti della famiglia.

Il tutto a fronte di una spesa media per famiglia nel 2017 di 1.085,22 euro mensili. “Per calcolare le soglie di povertà noi utilizziamo un paniere, nel quale rientra la spesa alimentare, insieme a beni e servizi non alimentari. Tra i costi sostenuti mensilmente per giungere a definire le soglie si considerano quindi i generi che non sono di mera sopravvivenza, come abbigliamento, spese per la casa, spostamenti, ecc.” spiega l’esperto dell’Istat.

A incidere maggiormente sono naturalmente le spese relative all’abitazione, come affitto, riscaldamento e bollette. Rappresentano, invece, una componente residuale i costi per acquistare vestiti o effettuare spostamenti, o ancora per le comunicazioni: ovviamente non rientra nel paniere l’automobile, che non è indispensabile, quanto piuttosto il costo del biglietto dei mezzi pubblici, insieme alle spese sanitarie” aggiunge Polidoro.

Cresce anche la povertà relativa

“Analogamente alla povertà assoluta, l’incidenza di povertà relativa si mantiene elevata per le famiglie con 4 componenti (19,8%) e per quelle più numerose con 5 o più componenti (30,2%); per queste ultime nel Mezzogiorno il valore raggiunge il 40,1%. In generale, si tratta per lo più di coppie con tre o più figli per le quali l’incidenza di povertà è pari a 27,1% a livello nazionale, a 37,2% nel Mezzogiorno” spiega l’Istituto di statistica.

Un altro fattore importante è il titolo di studio: le famiglie con la persona di riferimento che ha un titolo di studio molto basso (licenza di scuola elementare o nessun titolo di studio) registrano un’incidenza di povertà relativa che dal 15% al 19,6%. La crescita più elevata delle condizioni di criticità economica riguarda però soprattutto i nuclei nei quali il capofamiglia è in cerca di occupazione (dal 31% al 37,0%), seguiti  da quelle di ritirati dal lavoro (dall’8,0% al 9,0%).

Infine, conta molto il territorio nel quale si vive: “Le famiglie che vivono nei comuni più piccoli (fino a 50mila abitanti ma non appartenenti alla Periferia delle aree metropolitane) l’incidenza di povertà relativa, pari a 13,3%, è più elevata sia della media nazionale sia di quella dei comuni Centro di area metropolitana (10,0%)”

Dove vivono i nuovi poveri

La regione con il valore più elevato di povertà relativa è la Calabria (35,3%), seguita da Sicilia (29,0%) e Campania (24,4%). Al contrario, risulta avere i dati più bassi la Valle d’Aosta (4,4%), seguita da Emilia-Romagna (4,6%), Trentino Alto Adige (4,9%), Lombardia (5,5%), Toscana (5,9%), Veneto (6,1%), Piemonte (6,8%), Friuli Venezia Giulia (6,9%), Trento (7,8%), Lazio (8,2%), Liguria (8,5%) e Marche (8,8%), tutti con dati inferiori alla media nazionale.

E le donne?

“E molto difficile scorporare i dati per sesso. Sicuramente possiamo dire che la povertà ha colpito entrambi. A livello generale su 5 milioni 78 mila poveri assoluti, 2 milioni 472 sono donne, dunque un po’ meno rispetto agli uomini. Purtroppo entrambi sono però aumentati nel corso degli anni” spiega Polidoro.

È indubbio, però che le separazioni incidono molto, in particolare quando un genitore (madre o padre) si trova a dover affrontare il mantenimento di uno o più figli da solo. “Un dato certo riguarda le famiglie monogenitoriali: nel 2005 il 5,2% era in condizioni di povertà, ora il dato è arrivato al 9,1%, pari a 187 mila nuclei familiari” conclude Polidoro.

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