«Non sono una predestinata, non era scritto che il mio posto fosse a capo dell’azienda di famiglia». A dispetto delle apparenze, Angelica Krystle Donati, figlia dell’imprenditore Angelo Donati e della conduttrice televisiva Milly Carlucci, Head of business development di Donati Spa, presidente della sezione giovani dell’Associazione nazionale costruttori edili, Ance, e, da maggio 2023, nel consiglio di amministrazione di Terna, rivendica la decisione di prendere in mano le redini dell’impresa di costruzioni fondata dal padre come una scelta autonoma, non scontata e soprattutto non definitiva.
Angelica Donati guida l’azienda fondata dal padre
«Sono andata via presto di casa, a 17 anni, diretta in Inghilterra. Lì ho studiato management e, successivamente, business administration, ho lavorato nel marketing e nella finanza, prima in Goldman Sachs e poi in Ralph Lauren. A un certo punto, mi sono imposta un esame di coscienza: i miei hanno due figli, ma mio fratello è più piccolo, ho pensato che fosse importante dare valore all’impresa fondata da mio padre, onorare i sacrifici e gli investimenti fatti e garantire una continuità. Ora non riesco a immaginare di fare altro, poi si vedrà: viviamo in un mondo in rapida trasformazione, gli ultimi anni lo hanno enfatizzato, il domani è imprevedibile, è necessario mostrarsi flessibili».
L’azienda, l’impegno nell’associazionismo, una startup a Londra, insieme ad altre partnership, l’attività di editorialista, tra gli altri, per Forbes: per fare tutto ci vogliono tre vite…
«Me ne basta una, ma corro tanto. Sono un’imprenditrice, e così deve essere: è la mia azienda. Tutto il resto è complementare, anche l’attività associativa e istituzionale, è tutto perfettamente sinergico».
A proposito di futuro, portare l’innovazione nella sua azienda e nell’intero settore è uno degli obiettivi che si è data.
«Purtroppo negli ultimi 50 anni l’ambito delle costruzioni non s’è mai innovato, è sempre stato l’ultimo anello della catena. Oggi stiamo finalmente introducendo le nuove tecnologie nei cantieri: è da lì, dai nuovi sistemi operativi, che passa il cambiamento. Abbiamo sempre scontato una bassa produttività, legata soprattutto agli sprechi. Se vogliamo aumentare i margini, ma soprattutto operare in chiave sostenibile, obiettivo in cui crediamo tantissimo, dobbiamo efficientare, ottenere trasparenza su ogni passaggio. L’utilizzo di nuove tecnologie incrementa in particolare la sicurezza sul lavoro, che è un altro obiettivo per noi imprescindibile».
Angelica Donati è in un settore ancora molto al maschile
In che modo, alla guida dei giovani dell’Ance, intende imprimere un cambio di passo?
«Come giovani, siamo impegnati in una sorta di rebranding, miriamo a comunicare il grandissimo valore aggiunto che un lavoro nel nostro settore può dare alle persone: quello edilizio è un distretto in piena innovazione, in cui si può guadagnare molto bene, grazie alle nuove tecnologie, il cantiere è diventato più “industriale”, non sarà mai una fabbrica, ma ha cambiato pelle. Ci siamo dati la missione di trasmettere ai ragazzi e alle ragazze questa nostra grande passione, serve una nuova generazione di addetti ai lavori per poter costruire il futuro prossimo».
Giovane e donna, in un settore marcatamente maschile, non s’è mai sentita a disagio?
«Il dato in effetti è sconfortante, le donne sono solo il 3%. I numeri però mascherano una realtà più positiva, che racconta un’Italia diversa: la nostra industria è fatta di piccole e medie imprese a conduzione familiare e qui le cose stanno cambiando. Se nella generazione dei nostri padri vigeva il solito stereotipo – il figlio maschio guida l’azienda e la femmina fa altro – io ora sono circondata da colleghe imprenditrici, figlie di imprenditori, impermeabili a quegli stereotipi, in effetti, non mi sono mai sentita fuori luogo. Anche se il dato è negativo, lavoriamo per attrarre più donne: abbiamo una grande carenza, non solo di manodopera, ma anche di tecnici, di operatori a tutti i livelli. Le ragazze vanno sensibilizzate, fin dalle scuole medie, a intraprendere questo percorso».
Nel 2017 è stata finalista al premio Disruptor of the Year nei First Women Awards, nel 2020 Donna dell’Anno ai Real Estate Awards, nel 2022 tra le 100 donne vincenti per Forbes. Si ritiene ambiziosa?
«Mi piace tantissimo quello che faccio, ma è un lavoro che assorbe quasi tutto il mio tempo e richiede un enorme impegno: è bello vedere che la gente se ne accorge. Sono una gran secchiona, fin dai tempi della scuola. Sono anche ambiziosa, e lo rivendico. A volte certe caratteristiche declinate al femminile assumono una sfumatura negativa. Anche per smontare questo pregiudizio tengo a dire che, sì, sono ambiziosa e determinata. Ciascuno dovrebbe esserlo, nella propria sfera, indipendentemente dal genere e dall’estrazione sociale».
La madre, Milly Carlucci, non ha influenzato le sue scelte professionali
La sua non è una famiglia qualunque.
«I miei genitori sono per me una fonte di grande ispirazione. Non hanno potuto contare su appoggi o eredità, hanno costruito da soli la propria fortuna, il successo. Certo, era un mondo diverso, un periodo di grandissima crescita. Oggi viviamo in una fase più complicata. Sono però stati bravi con me e con mio fratello: non ci hanno mai messo paletti. Mi hanno trasmesso una solida autostima, mi hanno regalato la consapevolezza e la libertà di poter fare quello che volevo. E io ho sfidato gli stereotipi: se qualcuno pensa che, come donna, non sono in grado di guidare un’impresa edilizia, beh è un problema suo. D’altro canto, nemmeno mia madre ha mai minimamente pensato di indirizzarmi al suo mestiere. Da piccoli si è molto sensibili, una mamma famosa rischia di generare insicurezze. Lei invece ha sempre cercato di non essere una presenza ingombrante, di dividere bene i piani».
Che consiglio darebbe alle ragazze che considerano con interesse una carriera come la sua?
«Non ponetevi limiti. Non lasciatevi scoraggiare dai pregiudizi. Studiate, studiate, perché con la preparazione si affronta tutto. Ho un altro consiglio, per tutti i giovani: non abbiate paura di sbagliare. In Italia c’è questa condanna dell’errore, vissuto sempre come un fallimento. Guardate al mondo anglosassone, dove chi inciampa è, anzi, valorizzato: la carriera non è un percorso lineare, si può cadere e ricominciare. Il mondo nuovo è flessibile, fluido: le esperienze che abbiamo alle spalle, anche quelle meno felici, sono il nostro bagaglio più prezioso».