Incursioni notturne, case accartocciate dai bulldozer, familiari imprigionati o uccisi: vivere in Cisgiordania, nei Territori occupati da Israele, significa affrontare ogni giorno tutto questo. Ma c’è chi dedica una cura speciale a coloro che, in mezzo a simili emergenze, sono poco ascoltati: i bambini. In una palazzina nel centro di Betlemme, a qualche minuto dalla Chiesa della Natività, sorge la onlus Wings of Hope for Trauma (Le ali delal speranza) fondata nel 2011 da Ursula Mukarker, psicologa palestinese 46enne che per 6 anni ha studiato nelle università di Bonn e di Berlino (woh-for-trauma.com).
Ursula Mukarker aiuta i bambini palestinesi a superare i loro traumi
«Quelle sono città in cui tutti possono muoversi in libertà, molto diverse dai luoghi dove sono cresciuta e dove ho voluto far ritorno per senso di responsabilità» racconta lei, cui gli anni all’estero hanno dato anche la giusta distanza emotiva per capire dove e come intervenire. La sua associazione è più di un centro di supporto psicologico: è un’oasi di riferimento per chi cerca aiuto per affrontare un trauma trasmesso di generazione in generazione visto che, dalla fine della guerra arabo-israeliana del 1948, molti palestinesi vivono nei campi profughi. Prima c’erano solo tende, negli anni sono diventate case di cemento, affastellate le une sulle altre in uno spazio risicato.
La vita in Cisgiordania per i bambini e le loro famiglie è costellata di violenza
«Non siamo sotto i bombardamenti come a Gaza (dopo l’attacco sferrato da Hamas il 7 ottobre 2023 e la controffensiva di Tel Aviv, il conflitto ha causato nella Striscia una gravissima crisi umanitaria, ndr). Anche qui in Cisgiordania, però, la vita quotidiana è diventata, se possibile, ancora più difficile. Scandita da umiliazioni, estenuanti code ai checkpoint e continue tensioni» dice Ursula. Il muro di separazione alto 8 metri, che divide Betlemme da Gerusalemme – «per motivi di sicurezza» afferma Israele – complica ulteriormente gli spostamenti, anche solo per andare a scuola. Il lavoro del team di Mukarker mira a interrompere il ciclo della violenza che lacera le famiglie.
La psicologa spiega che in Cisgiordania sono in crescita i casi di violenza domestica
Citando il traumatologo Lutz Besser che ha detto che «la violenza rende freddi e malati», Mukarker spiega che «l’occupazione, insieme alle conseguenze politiche, economiche e sociali, sottopone le dinamiche familiari a gravi stress e frustrazioni, con un aumento dei tassi di violenza domestica». Sui bambini tutto questo si traduce spesso in sintomi di stress post traumatico come iperattività, aggressività, incubi, ansia, ritiro sociale e senso di vuoto. «Questi segnali, se ignorati, portano genitori e insegnanti ad etichettare negativamente i ragazzi alimentando un circolo vizioso» aggiunge Ursula.
I piccoli palestinesi vengono accolti nel centro aperto da Ursula Mukarker
Come nel caso di Saiid, 11 anni, che vive in uno dei tre campi profughi di Betlemme, Dheisheh. La causa scatenante della sua aggressività è stata il ritorno a casa del padre dopo 10 anni trascorsi nelle prigioni israeliane per motivi politici. Il ragazzino ha dovuto lasciare il proprio posto nel letto accanto alla madre a quell’uomo che gli appariva un estraneo. Ha cominciato a osteggiare il padre, picchiare i suoi coetanei e torturare gli animali. È un bambino “difficile” quando la madre lo accompagna disperata nel centro Wings of Hope for Trauma.
La tecnica terapeutica usata da Ursula Mukarker con i bambini è basata su giochi con la sabbia
Qui gli psicologi inizialmente non parlano di sintomi o traumi – per evitare di causare altro stress – ma invitano i bambini a trovare il tempo di giocare per sentirsi meglio. «Giocano spensierati ricreando scene di vita quotidiana attraverso una tecnica terapeutica, l’Expressive Sandwork, che abbiamo introdotto nel 2015 grazie alla collaborazione della psicoanalista italiana Eva Pattis Zoja, vedi box in alto, che è venuta a insegnarcela di persona» racconta Ursula Mukarker. La metodologia è semplice, ma potente: una vaschetta con dentro della sabbia e una serie di miniature – soldati, case, animali, veicoli – che diventano gli strumenti attraverso cui i bambini possono raccontare l’indicibile. La sabbia a loro piace perché ricorda il mare, plasmarla inoltre aiuta a sciogliere le tensioni, perché il corpo di chi subisce traumi gravi è come bloccato.
I bambini riescono a esternare dolore ed esperienze traumatizzanti
Per ogni ragazzino c’è un “facilitatore”, un adulto adeguatamente formato, che segue le sue creazioni. Una presenza stabile e un’ora di silenzio tutta per loro, come raramente accade fuori di lì, tra case troppo affollate e adulti sotto pressione. «Nel nostro contesto questo metodo funziona molto bene perché permette ai bambini di esternare emozioni ed esperienze che non riescono a esprimere a parole» sottolinea Mukarker. «A volte quel dolore è troppo grande per essere detto».
Ursula Mukarker chiede più fondi per aiutare i bambini in Cisgiordania
Le prime sessioni di Expressive Sandwork di Saiid sono un campo di battaglia: figure militari, scene di scontro, un’eco diretta della violenza che lo circonda. Ma poco a poco, nel rettangolo protetto della sabbiera, qualcosa inizia a cambiare: i soldati lentamente arretrano, compaiono case, alberi, animali. È come se lui stesse cercando uno spazio di pace dentro un paesaggio perennemente in guerra. All’ultima sessione, un solo veicolo militare resta in un angolo, mentre uno stagno con i pesci occupa il centro. E, quel che è più importante, la terapia restituisce a Saiid la fiducia in se stesso e la capacità di relazionarsi con gli altri, a cominciare dal padre. Il lavoro di Ursula Mukarker non è facile, l’Expressive Sandwork è un processo che richiede molto tempo, ma mancano fondi e personale qualificato.
La psicologa palestinese desidera che, contro la violenza, i bambini imparino l’empatia
Le istituzioni locali e internazionali forniscono un supporto intermittente, eppure ogni giorno lei con i suoi colleghi tiene seminari, fa terapie, sensibilizza la popolazione sulle conseguenze della violenza domestica e crea spazi sicuri per le vittime degli abusi sessuali, un tabù di cui nessuno parla. Quando una madre trova il coraggio di denunciare, non di rado viene allontanata dalla famiglia all’interno della quale si consuma la violenza. «Dobbiamo insegnare ai bambini l’empatia. E a sognare in grande» dice la psicologa. «Vorrei che dicessero: “Da adulto voglio costruire un palazzo” o “Voglio esplorare Marte”. E non: “Voglio accettare questa come la mia realtà”. Insegnare la risoluzione non violenta dei conflitti e l’importanza della comunità aiuta i bambini a esprimere i sentimenti in modo creativo, a farli diventare forze per un cambiamento positivo». Per fermare la spirale di violenza, le vittime non devono trasformarsi in aggressori.
Un documentario racconta come funziona il metodo di cura con i giochi di sabbia
È la psicanalista Eva Pattis Zoja, formatasi allo Jung Institut di Zurigo e da anni impegnata in contesti internazionali fonte di grandi traumi, ad aver sviluppato il metodo terapeutico Expressive Sandwork (ispirato alla Sandplay Therapy di Dora Kalff). Lo scopo è curare i “feriti dentro”, che hanno subito traumi profondi in contesti di guerra, genocidi e calamità naturali, laddove le terapie tradizionali risultano inefficaci. Lo racconta il documentario Un milione di granelli di sabbia diretto da Andrea Deaglio, in cui la dottoressa affronta il vissuto dei suoi pazienti e il suo stesso passato, da luglio sarà in streaming su Streeen.