«Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi» scrive Tomasi de Lampedusa nel finale del suo celeberrimo romanzo Il Gattopardo, su Netflix in una nuova versione che racconta il “gattopardismo” siciliano alla Gen Z del mondo. E invece le zampate del cambiamento, in Sicilia, ci sono state e ci sono. A sferrarle, soprattutto le donne. Quelle “fugate”, in fuga cioè da un confino fisico e sociale verso la propria libertà e la propria autodeterminazione, come la regina Maria Carolina raccontata dallo scrittore palermitano. Perché se vogliamo che tutto cambi, bisogna che tutti cambino. A cominciare dalle mogli, dalle mamme, dalle figlie. E dalle nipoti.

Gabriella, la madre di José Rallo, ha reso famosi i vini di Donnafugata

Gabriella Favara, José Rallo, Gabriella Anca Rallo (ph. Beatrice Pilotto)

A testimoniarlo è Josè Rallo, 60 anni, figlia di Gabriella Anca e Giacomo Rallo, fondatori di Donnafugata, l’impresa che, con oltre 452 ettari di vigne, ha sfidato le convenzioni del passato per trasformare il presente e seminare il futuro del vino in Sicilia (e non solo). Con più 3 milioni di bottiglie vendute a ogni latitudine, 10 varietà autoctone in produzione, la Cantina è il simbolo e il luogo della metamorfosi, oltre che di una case history unica nel panorama internazionale. «Quando mia madre ha ereditato i vigneti di Contessa Entellina da suo padre, è scesa letteralmente in campo, tra le zolle e i filari. Con un atto di coraggio» racconta Josè, oggi a.d. di Donnafugata insieme al fratello Antonio. Erano gli anni ’70, l’Italia affrontava i primi tentativi di emancipazione femminile, la Sicilia era ancora terra d’immobilismo e maschilismo. Eppure Gabriella Anca Rallo, Commendatore della Repubblica per i meriti nell’affermazione dell’enocultura italiana nel mondo, non si è lasciata intimorire. «Anzi, ha rivoluzionato la sua vita, la sua proprietà e la produzione enologica siciliana prima, italiana poi».

Le etichette dei vini di Donnafugata esprimono una creatività rivoluzionaria

Si riferisce alla vendemmia notturna che ha messo Donnafugata al centro dell’attenzione in tutto il mondo?

«Oh, quello è stato senza dubbio il punto di svolta e il primo nostro tentativo, come produttori, di fare una viticoltura sostenibile negli anni ’90. Ma la rivoluzione era già cominciata nel 1983 con la scelta del nome dell’azienda, preso a prestito da Il Gattopardo e dalla storia della regina Maria Carolina che, in fuga da Napoli, trovò rifugio dove ancora oggi si trovano le nostre vigne. Una storia di resilienza al femminile che ha ispirato il nostro logo: un volto di donna con i capelli al vento».

Da lì, le vostre etichette d’autore, anch’esse rivoluzionarie.

«Tutte partorite dalla creatività instancabile di mamma, nonostante le iniziali resistenze di papà!».

E quasi tutte con una donna protagonista.

«Sono nate dalla collaborazione di mia madre con l’illustratore Stefano Vitale. Innovative e inimitabili, vere e proprie opere d’arte, le nostre etichette sono la nostra carta d’identità».

Hanno contribuito ad avvicinare le donne al vino, cambiando le strategie di mercato del settore.

«È stata una felice intuizione di mia madre, che è stata tra le socie fondatrici dell’Associazione Nazionale Donne del Vino. Una pioniera. Se oggi l’eccellenza vitivinicola italiana può contare sul passaggio generazionale al femminile e su un numero rilevante di consumatrici, lo si deve anche a lei e a Donnafugata».

Al successo di Donnafugata contribuiscono tre generazioni di donne

I vigneti di Donnafugata (ph. Fabio Gambina)

Josè, quando ha deciso che era giunto per lei il momento di entrare in azienda?

«Nel 1990 sono tornata in Sicilia per amore di quello che è diventato mio marito (Vincenzo Favara, ndr) dopo diverse esperienze nella consulenza aziendale e nel controllo di gestione. Mi sono affacciata in cantina e ho cominciato dalla gavetta: acquisti, tappi, imbottigliamento, trattative. Oggi porto avanti Donnafugata con la collaborazione di mio fratello Antonio, anch’egli a.d., agronomo e wine maker attento e strategico».

E di sua figlia.

«Già, sono fortunatamente al sicuro tra le braccia di ben due Gabriella: mia madre, 83 anni, e mia figlia, 28. Condividono non a caso lo stesso nome e si assomigliano moltissimo, sono l’una la miglior compagna dell’altra e s’intendono senza parlare. Io sto nel mezzo. Ho passato il testimone. Fare la madre è proiettarsi nel futuro, plasmare il tempo che verrà. Sento di aver costruito un ponte tra due generazioni complementari».

Un affare di famiglia, il vostro.

«Una missione. Mia madre mi ha trasmesso l’entusiasmo per l’enologia e il senso della responsabilità verso il territorio e le sue ricchezze. Esportare il vino significa raccontare culture, storie, saperi. Lavoro per diffondere temi a me cari come la sostenibilità, la conservazione della biodiversità, le certificazioni di qualità ambientale. E poi c’è l’enoturismo: in un anno accogliamo quasi 30.000 persone che potranno amare la Sicilia, i suoi sapori, le sue emozioni. Credo nei legami del cuore, oltre che del palato».

Poi c’è la viticoltura eroica a Pantelleria.

«Un’emozione anche quella, trasmessa di madre in figlia, e ora in nipote. Siamo stati tra i primi a investire nei vigneti di Zibibbo ad alberello pantesco, oggi Patrimonio dell’Unesco, per produrre il nostro Passito Ben Ryé esportato e apprezzato in tutto il mondo».

Un’edizione speciale di vini celebra la serie tv Il Gattopardo

La special edition per la serie Il Gattopardo

Infine, Arte in Vigna, Calici di Stelle, le collaborazioni con Dolce&Gabbana e con il FAI, ora la Special Edition Mille una Notte 2021 con Netflix. E la musica. Lei, Josè, è la voce di Donnafugata Music&Wine.

«È un progetto che nasce da me e da mio marito per unire l’amore per il vino a quello per il canto e la musica: a ogni sorso abbiniamo un brano che abbiamo portato in concerto da New York a Pechino, Toronto e Mosca, Milano e Atene. I nostri album Donnafugata Music & Wine sono adesso anche disponibili su Spotify».

Osare. Innovare. Non avere paura di cambiare: le donne “fugate” vanno sempre dove le porta il cuore. Anche nella terra del Gattopardo.