Dal 2015 a oggi sono cambiate tante cose per Martina Galli, 35 anni. È partita dalla sua Riccione destinazione Parigi e biglietto di sola andata, da giovane laureata in Conservazione dei beni culturali a Urbino senza esperienze lavorative se non qualche stagione come cameriera. A distanza di 10 anni, in Francia è titolare di un atelier di restauro di opere tessili, il Galli Heritage.
Martina Galli ha restaurato i tessili del tesoro di Notre-Dame de Paris
È questa la notizia? Sì, anche, perché è già un percorso eccellente, ma non solo: a breve Martina riceverà il titolo di Chevalier des Arts et des Lettres dal ministero della Cultura francese. «Tra settembre e dicembre 2024 abbiamo portato a termine il restauro di tutti i tessili del tesoro della cattedrale di Notre-Dame de Paris, riaperta pochi mesi fa dopo l’incendio di aprile 2019. È stata la Sovrintendenza dei beni artistici e culturali, che ha supervisionato il lavoro, a fare la richiesta del riconoscimento. Un grande onore per me: ogni anno ci sono solo 5 posti riservati agli stranieri» racconta.
Secondo Martina Galli le italiane hanno un senso estetico più spiccato
Un traguardo raggiunto «in équipe», ci tiene a sottolineare, con la preziosa collaborazione di altre 5 restauratrici italiane (più una francese, chiamata a supporto perché i tempi per la consegna stavano stringendo). «Ho lavorato anche con professioniste di altre nazionalità, ma sono giunta alla conclusione che noi italiane abbiamo quel quid extra: un senso estetico e una sensibilità più spiccati, ma anche maggiore rispetto e attenzione verso l’opera d’arte. D’altronde siamo allenate, vivendo in un Paese dove il profumo della storia si respira a ogni angolo».
In un lavoro di restauro come a Notre-Dame l’opera d’arte detta i ritmi
In che modo è riuscita ad aggiudicarsi il restauro del patrimonio della cattedrale?
«Partecipando, nel 2024, a un bando con gara d’appalto: vincerlo come italiana all’estero non era scontato, ma gli atelier specializzati nei tessili sono pochi e nel curriculum vantavo già dei lavori di restauro importanti, oltre ad avere un laboratorio molto ampio, dove è più facile trasportare le opere ingombranti. Penso al mantello dell’incoronazione di Napoleone I, in velluto di seta ricamato con fili metallici d’oro e d’argento, sul quale abbiamo lavorato centinaia di ore. Ma abbiamo anche restaurato opere annerite, logorate e sfilacciate dopo il rogo senza spostarle dalla cattedrale: la tunica di Saint Louis, per esempio, che risale al XIII secolo, troppo delicata per essere mossa anche solo di un centimetro. Sono stati mesi di lavoro senza sosta, spesso anche la sera o nel fine settimana, perché è l’opera d’arte a dettare i ritmi. In particolare, i tempi di asciugatura sono molto variabili, perché per correggere le deformazioni non possiamo stirarle e spesso si utilizzano tecniche di umidificazione a freddo».
Martina Galli si è innamorata delle opere d’arte tessili durante un viaggio in Francia
I tessili sono un ambito artistico molto particolare. Perché li ha scelti?
«Me ne sono innamorata proprio in Francia, prima di iniziare gli studi, durante una vacanza con mia sorella Chiara. È un Paese dove è più frequente ricoprire i muri con arazzi, anche per motivi climatici. Poi, le stoffe mi hanno sempre affascinato. Penso alle tappezzerie di divani o poltrone, che sono messe spesso in ombra, ma hanno un loro vissuto storico. Adesso, sto restaurando un divano dove si è seduto Napoleone e una portantina appartenuta a Beatrice de Rothschild, baronessa e collezionista vissuta a fine ’800. Non sono opere d’arte, ma acquisiscono valore perché sono appartenute a grandi personaggi».

Dall’arrivo a Parigi all’incarico per Notre-Dame quali sono stati gli step professionali?
«Sono partita un mese dopo la laurea, senza appoggi e nessun supporto economico da parte dei miei genitori. Ho iniziato a cercare subito un’occupazione e dopo 6 mesi, grazie al mio titolo di studio che mi permette di lavorare sui beni culturali protetti dallo Stato, ho trovato un impiego in una delle più note società francesi di restauro dei tessili. Mi hanno subito messa alla direzione dell’atelier: qui sono rimasta per 3 anni e ho sviluppato un’attitudine fondamentale al lavoro di squadra. A questa esperienza ne è seguita un’altra, di un anno circa, in un’altra società, per poi fare il “grande salto” e aprire il mio atelier nel 2020. L’ho fatto perché a un certo punto non ero più soddisfatta della qualità dei restauri che stavo guidando, in primis dei materiali usati, e non volevo che il mio nome fosse associato a lavori che ritenevo mediocri».
All’inizio Martina Galli lavorava da sola ora con un team
Il “grande salto” verso un’attività in proprio era già pianificato da tempo?
«Ho sempre lavorato con Partita Iva e non ho mai desiderato essere una dipendente per il solo vantaggio di avere lo stipendio fisso. Per questo partecipavo a un bando dietro l’altro, occupandomi da sola anche di tutta la burocrazia. Ne ho vinti tanti, perché i committenti apprezzano il mio occhio allenato e rispettoso della storia. I momenti di sconforto, dovuti alle difficoltà economiche, non sono mancati, ma sentivo di essere nella direzione giusta. Mi sono aggiudicata una gara d’appalto 2 mesi prima di lasciare la seconda società e ho investito tutto il compenso nell’apertura dell’atelier e nell’acquisto del materiale necessario. Fino al 2023 ho lavorato da sola – non a caso durante l’università le mie amiche mi chiamavano “kamikaze” – poi ho capito di aver bisogno di un team quando ho ricevuto un grosso incarico dal museo parigino Jacquemart-André».
Martina Galli sogna di aprire un atelier a Dubai
Oggi il suo nome è tra i più apprezzati del settore. In questi 10 anni ha lavorato su restauri importanti, dalle ville ai musei, fino a castelli come Fontainebleau e Versailles. Quali sono i progetti futuri?
«Sto facendo la spola tra Parigi e gli Emirati Arabi: anche lì la cultura dei tessili è molto diffusa, basta pensare alle moschee dove si prega su tappeti preziosi o agli abiti tradizionali delle donne. Ma la figura del restauratore si sta sviluppando adesso. Ho in progetto di aprire un atelier a Dubai o Abu Dhabi. Tra i miei lavori più recenti, c’è anche Ville Ephrussi de Rothschild a Saint-Jean-Cap-Ferrat, vicino Nizza. Sarà restaurata tra un paio d’anni, io mi sto occupando dello stoccaggio delle opere tessili».
Il lavoro del restauratore comprende molte competenze diverse ed è cambiato nel tempo. In che modo si è evoluta questa professione?
«Nel corso degli anni il restauro ha sviluppato una vera e propria deontologia, nata in Italia e basata sul rispetto sia estetico sia conservativo dell’opera. Una volta si tendeva a nascondere i segni del tempo, anche con interventi invasivi come le ridipinture. Oggi, invece, l’approccio è molto più rispettoso: si cerca di conservare l’opera nello stato in cui si trova, stabilizzando i materiali e agendo solo quando è necessario, con interventi minimi e non invasivi».