Connessione Internet superveloce, costo della vita a prova di freelance, offerte di lavoro da remoto. Secondo la classifica britannica Remote Working Index Report, la città migliore al mondo per lo smart working è, a sorpresa, Bucarest, in Romania. Prima delle americane Houston e Las Vegas, ma anche di San Francisco, Silicon Valley e Singapore. Per non parlare di Roma e Milano, ferme in 50a e 49a posizione a causa di prezzi alle stelle e connessioni web tra le più lente della lista.

Bucarest spicca per banda ultralarga e aziende hi-tech

Nonostante l’immagine triste segnata dal passato comunista che ancora l’accompagna, «la capitale della Romania, dopo essere stata il polo europeo dei lavori in outsourcing per multinazionali che delocalizzavano qui alcuni servizi, da qualche anno è diventata meta di start up nate dall’incontro tra investitori internazionali e 100.000 giovani professionisti hi-tech. Che, dopo aver studiato e lavorato all’estero, tornano in patria per restituire le competenze apprese fuori» spiega Davide Dattoli, ceo di Talent Garden, community di talenti digitali.

Smart working
LA SVOLTA DIGITALE DELL’EUROPA DELL’EST
Bucarest, in Romania
Hanno impostato il loro sviluppo puntando sulle connessioni Internet superveloci e sulle aziende hi-tech, elementi chiave per lo smart working

Nel 2016, 3 anni prima che a Roma, ha aperto un coworking a Bucarest, scegliendola anche per il suo fermento culturale che si traduce in un migliaio di eventi all’anno. «A questo si aggiunge, per assurdo, la scomoda eredità del dittatore Ceausescu, che ha lasciato le infrastrutture delle telecomunicazioni ai livelli più bassi in Europa. Essendo state installate da zero a partire dagli anni ’90, risultano essere ora più efficaci ed economiche che nel resto del continente, con la banda larga illimitata a 15 euro al mese».

Un vantaggio condiviso con altre città dell’ex blocco sovietico in piena rivoluzione digitale come Budapest, Kiev e Sofia. La banda ultralarga e un’alta concentrazione di aziende tecnologiche, che di solito rendono più facile lavorare in remoto, sono gli aspetti da tenere a mente nel nostro Paese, ora che il premier Giuseppe Conte ha annunciato una proroga dello stato d’emergenza per il Covid e, quindi, dello smart working, mentre datori di lavoro e dipendenti cominciano a rinegoziare le modalità del lavoro da remoto.

Smart working Sofia Bulgaria
LA SVOLTA DIGITALE DELL’EUROPA DELL’EST
Sofia, in Bulgaria

Manchester offre prezzi concorrenziali e occasioni per il tempo libero

«Lo smart working non è solo “lavorare da casa”, nel qual caso si chiama telelavoro. È un approccio nuovo, basato sull’autonomia del singolo nello scegliere luogo e orario in cui svolgere le proprie mansioni a fronte di un maggiore senso di responsabilità sui risultati. Alcune città del Nord Europa, come Stoccolma o Helsinki, hanno consolidato questo modello da più di un decennio, forti di innovativo spirito imprenditoriale, meritocrazia e digitalizzazione capillare. Altrove, invece, il cambiamento è più recente, spinto dalla competitività economica o dall’emergenza, come per l’Italia con il Covid-19» dice Mariano Corso, responsabile dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano.

Nella lista delle città “che non ti aspetti” ci sono anche le britanniche Newcastle e Manchester, centri con un ingombrante passato industriale che si stanno ora trasformando in hub tecnologici e creativi. E diventano così un’alternativa a Londra, complice l’equilibrio tra costo della vita e varietà di occasioni per il tempo libero. Qui, lontano dallo stress delle città più congestionate del Pianeta, hanno sede importanti piattaforme di servizi finanziari e colossi del gaming online, che assumono solo in smart working. In questo caso l’ingrediente da “importare” sono le politiche comunali capaci di mettere in rete i cittadini che, dopo una giornata davanti un monitor, possono incontrarsi in luoghi di aggregazione organizzati, gratuiti e facili da raggiungere, dalle sale di centri culturali alle organizzazioni no profit. 

Genova permette di scegliere tra ufficio e parchi

Anche l’Italia, dove prima del Covid lavorava da remoto solo l’8% dei dipendenti, ha le sue insospettabili capitali dello smart working: Genova, Palermo e Catania. «La prima è stata premiata nel 2019 dal nostro Osservatorio» aggiunge Mariano Corso. «Dopo il crollo del ponte Morandi, alcune aziende genovesi pubbliche e private hanno adottato strategie comuni per ridurre gli spostamenti dei lavoratori in città». Non solo: sulle colline di Sestri Ponente è nato Great Campus, il parco scientifico e tecnologico più grande d’Italia. «Pensato come luogo di aggregazione di aziende e professionisti, poi si è aperto sempre più anche alla cittadinanza. Ci si va per lavorare nei laboratori, quelli per esempio di robotica e nanotecnologie, e ci si può connettere anche nel parco con wifi gratuito. Così si è liberi di scegliere dove stare, se in ufficio o all’aria aperta» racconta Maria Francesca Silva, responsabile dello sviluppo del campus. 

Palermo dà la possibilità di tornare al Sud

È invece notizia di queste settimane il progetto pilota “South working – Lavorare dal Sud”, promosso da alcuni professionisti under 30, quasi tutti con esperienze all’estero. «Lo scopo? Stimolare la possibilità di lavorare a distanza dal Sud Italia, per poter tornare a vivere per certi periodi nel luogo di origine» spiega Elena Militello, ricercatrice a tempo determinato dell’università del Lussemburgo nata 27 anni fa a Palermo «che, a proposito di luoghi insospettabili, è la seconda città italiana più cablata dopo Milano».

Il progetto a cui Elena si sta dedicando, insieme a 10 coetanei dell’associazione Global Shapers legata al World Economic Forum e attiva nell’innovazione sociale, si snoda tra Milano e Palermo dove le infrastrutture già lo permettono. «Stiamo stilando una lista di lavoratori e imprenditori disposti ad appoggiare l’iniziativa». L’obiettivo è mettere in rete istituzioni, aziende e persone interessati sulla base di soluzioni concrete, come contratti di lavoro permanenti a distanza e spazi di coworking tra le 2 città. La community, infatti, è un importante strumento anti-isolamento e una in Sicilia c’è già, dal 2018 a Catania: si chiama Remote Workers Catania e conta 600 iscritti che, lavorando da remoto per imprese del Nord o straniere, si incontrano per consigli e scambi di opportunità.