Come ridurre il contagio in casa

Usare o no la mascherina? Il contagio si trasmette in bagno? E attraverso i vestiti? I consigli per evitare di trasmettere il virus ai familiari, per chi torna dal lavoro in ospedale o in ufficio  

Dopo i primi dati incoraggianti sul calo dei contagi da coronavirus, relativo soprattutto ai ricoveri, l’attenzione resta alta nei confronti di chi si trova in isolamento fiduciario, in quarantena, o chi lavora ancora non in smart working e dunque corre il rischio di infettare i propri familiari. Maggiori precauzioni, poi, vanno adottate dagli operatori sanitari, che frequentano ospedali, pronto soccorso o case di cura, dove maggiore è la probabilità di venire a contatto con il virus e portarlo a casa.

La casa è sicura?

«I provvedimenti di legge hanno costretto la maggioranza degli italiani a stare a casa, ma questa non è un luogo sicuro di per sé: lo sarebbe se non ci fossero entrate o uscite, ma per chi lavora (o esce per fare la spesa) c’è il rischio di portare un’infezione. Gli scambi con l’esterno, quindi, rendono la casa un luogo di potenziale contagio, dove adottare quindi comportamenti corretti dal punto di vista igienico-sanitario» chiarisce Carlo Signorelli, professore ordinario di Igiene e Sanità pubblica all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e già presidente della Società Italiana di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica.

Come ridurre il rischio di contagio in casa?

«Le misure raccomandate a tutti in questi giorni valgono anche in casa, cioè il lavaggio accurato e frequente delle mani e il “galateo respiratorio”: starnutire o tossire in un fazzoletto, da gettare dopo l’uso, oppure nell’incavo del gomito; evitare di toccarsi il viso, il naso e la bocca, e soprattutto non mettere le mani in bocca. A questi consigli si aggiunge quello di cercare di mantenere le distanze, anche se naturalmente in casa gli spazi sono limitati e soprattutto si divide il letto con il marito o la moglie» spiega l’esperto, che aggiunge: «Una buona norma di facile attuazione potrebbe essere quella di vietare la condivisione degli ascensori dove la distanza di sicurezza non può essere rispettata».

Se compaiono i primi sintomi?

«I consigli valgono a maggior ragione nel caso in cui si avvertano sintomi che possano far sospettare un contagio, in attesa del tampone. Ma non dimentichiamo che c’è la possibilità in qualche caso di essere asintomatici e dunque di poter trasmettere l’infezione anche senza accorgersi» spiega Signorelli.

Mascherina in casa?

«La mascherina non serve, a meno che non ci sia qualche positivo o sospetto tale. In questo caso è bene che la indossi chi è infetto, per evitare così di disperdere nell’aria goccioline di saliva o muco che possono veicolare il virus» spiega Signorelli.

Se si è medici o infermieri?

Tutte le precauzioni indicate vanno seguite a maggior ragione da chi fa lavori a contatto con pazienti COVID-19 o comunque è operatore sanitario (medico, infermiere o altre professioni sanitarie) in un ospedale, pronto soccorso o casa di cura, dove le possibilità di venire a contatto con soggetti infetti è maggiore. Un discorso a parte merita l’abbigliamento indossato al lavoro.

Bisogna lavare i vestiti indossati fuori casa?

«Seppure alcuni studi abbiano dimostrato che il virus può sopravvivere su materiali, oggetti e superfici anche per diverse ore, l’eventualità di una trasmissione in ambiente domestico è molto remota e molto inferiore rispetto a quella di una realtà ospedaliera. Se anche avessimo il virus sul cappotto, non arriverebbe mai da solo in bocca, non si leva in volo autonomamente, ma può entrare nell’organismo solo se ci mettiamo le mani in bocca o negli occhi. Quindi è sufficiente un lavaggio frequente e accurato delle mani. Lo stesso vale per le scarpe: nessuno di noi le mette in bocca, l’unico modo per entrare eventualmente in contatto col virus sarebbe di toccarle e avvicinare poi le mani al viso» chiarisce l’esperto di igiene, che torna anche sulla presunta utilità di sanificare le strade: «Esiste un documento ufficiale dell’Istituto Superiore di Sanità che spiega come il lavaggio e la disinfezione delle strade non solo non è di provata efficacia, ma può inquinare chimicamente le falde acquifere e l’ambiente circostante».

Meglio camere e bagni separati

Tornando all’interno della casa, un ultimo consiglio è di usare camere e bagni separati, in caso di sintomi o malattia: «Nel caso degli isolamenti fiduciari, quando c’è un contagiato a casa con sintomi lievi che non necessitano di ricovero, è previsto che permanga in camera singola con un bagno dedicato. Il bagno è infatti il luogo più a rischio. Se non si potesse, è bene comunque procedere con un’accurata pulizia e disinfezione delle superfici dopo l’uso da parte della persona contagiata o sospetta infetta. Proprio per ridurre i possibili contagi, in Lombardia ci si sta adoperando per trovare posto in alberghi per il personale sanitario che non ha la possibilità di disporre di spazi dedicati in casa» spiega il professor Signorelli.

E in cucina? «La cucina non è un locale a rischio» chiarisce l’esperto, ribadendo la necessità di lavare le mani in modo frequente.

L’utilità del distanziamento sociale

«In definitiva credo che l’emergenza sanitaria possa portare anche qualche beneficio futuro, dal recupero di alcune regole base di igiene fino a un maggior distanziamento sociale che può servire anche per ridurre la circolazione di altre malattie stagionali, come l’influenza. Una volta superata la crisi attuale, ad esempio, è immaginabile che ci potrà essere una riduzione del numero di persone ammesse nei locali pubblici, seppure non così stringente come adesso: questo potrebbe aiutare a ridurre il numero di infezioni respiratorie e raffreddori anche in futuro, perché alcune norme rappresentano precauzioni utili anche per contenere altre infezioni».

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