Coronavirus: quanto conta la stagione

Il virus sembra resistere meglio alle basse temperature ma non è detto che scompaia con il caldo. Il virologo spiega perché

La diffusione del Coronavirus e dunque il rischio di contagio potrebbero non passare con l’arrivo del caldo. «Il Coronavirus non se ne andrà da solo» con l’arrivo del caldo. A dirlo Walter Ricciardi, rappresentante italiano dell’OMS e consigliere del ministro della Salute, Speranza. «Il caldo e la buona stagione tradizionalmente aumentano la possibilità di combattere i virus respiratori, però il destino di questa crisi sarà legato alle scelte che noi faremo, non solo in Italia ma in tutto il mondo» ha aggiunto l’esperto, secondo cui la miglior arma sarà la collaborazione tra tutti coloro che sono interessati dal problema non solo in Italia, ma anche in Europa.

Il rapporto tra meteo e virus

Gli altri virus, soprattutto quelli che causano malattie respiratore, hanno minori probabilità di sopravvivenza quando le temperature si alzano. Ma il Covid-19 è un virus nuovo di cui non si conoscono ancora tutte le caratteristiche. 

Difficile quindi ipotizzare quanto potrebbe durare l’epidemia. Il presidente USA, Donald Trump, aveva parlato di aprile, ma gli esperti frenano il suo ottimismo. Non si può escludere, ad esempio, una diffusione del Coronavirus anche in zone tropicali, dove ci sono mediamente 30 gradi, perché l’elevato tasso di umidità potrebbe aiutare il virus a sopravvivere. Sono infatti le condizioni esterne a contribuire a mantenerne la carica infettiva. Uno studio tedesco sostiene che i coronavirus in genere possono arrivare a sopravvivere fino a 9 giorni, in condizioni ambientali di alta umidità e bassa temperatura. 

«È vero che il Coronavirus vive bene intorno ai 4 gradi, ma il motivo per cui solitamente i virus scompaiono in primavera non è dato tanto o solo dal caldo quanto dai diversi comportamenti delle persone» spiega Fabrizio Pregliasco, virologo all’Università degli studi di Milano e direttore scientifico dell’Istituto Galeazzi di Milano. «L’unico vantaggio del caldo è che cesserà quantomeno l’influenza stagionale, che crea panico perché ha sintomi simili a quelli del Coronavirus».

Uno degli effetti dell’arrivo dell’estate è il fatto che si trascorre più tempo all’aria aperta rispetto all’inverno, quando si prediligono locali chiusi, con maggiore concentrazione di persone. Proprio la vicinanza fisica, come noto, favorisce la diffusione dei virus. Con la chiusura delle scuole, poi, viene meno la principale delle occasioni di contagio tra i bambini, che poi a loro volta veicolano virus e batteri nelle famiglie. 

Il rischio di altre ondate

Non è detto quindi che con la bella stagione il virus sparisca, anche perché esiste la possibilità che, dopo una prima ondata, ne seguano altre: «Le epidemia hanno diversi andamenti. C’è stata per esempio, la febbre suina del 2009, l’H1N1, che ha avuto una prima diffusione acuta e poi è semplicemente “degradata” a virus stagionale, pur senza sparire del tutto. Ma c’è stata anche l’influenza spagnola del 1918 che con la prima ondata colpì il 35% della popolazione. Noi adesso siamo in una situazione che sta a metà strada, tra il controllo dei contagi e la mitigazione degli effetti della malattia. Quello che dobbiamo fare è mantenere le misure di precauzione, per evitare situazioni di crisi tali per cui negli ospedali non si riesca più a far fronte alle richieste di ricovero in terapia intensiva. In questa situazione ora purtroppo si triovano Lodi e Crema» spiega Pregliasco. «Scuole chiuse e limitazioni non piacciono a nessuno. È però necessario preoccuparsi non tanto della letalità, limitata, quando dei possibili scenari dei prossimi mesi. È come quando prendiamo un antibiotico. Quando ci sentiamo meglio siamo tentati di sospenderlo senza finire la cura, ma così rischiamo una ricaduta».

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