Donna stesa a terra in casa

Così mi sono liberata da una relazione tossica

Come una dipendenza, non riesci a farne a meno. Ne hai bisogno per alzarti la mattina, per lavorare, per esistere. È un rapporto malato che, al posto di darti serenità, ti svilisce. Ma uscirne si può. Lo racconta qui una donna che si è ripresa la propria vita

Più ti ignora e ti svilisce, più ti punisce con le sue fughe o i suoi silenzi, e più lo desideri. Senza quel sole ti senti come un pianeta che gira a vuoto. Passi ogni minuto a pensare a quando potrai rivederlo e avere una dose di lui. Perché altrimenti vai in crisi d’astinenza. Ti è difficile lavorare ma anche vedere le amiche o dedicarti un po’ a te. Tutto ruota intorno a quell’uomo. O a quella donna, perché questo non è un mal d’amore esclusivamente femminile.

È l’amore tossico che Arisa ha cantato in Potevi fare di più all’ultimo Festival di Sanremo, senza nascondere che le parole sono nate dalla sua esperienza personale: racconta la storia di una donna che cerca la forza di dire basta a quel giro sulle montagne russe – “A che serve volare se puoi solo cadere” – dove gli alti sono sempre più rari mentre i bassi fanno sempre più male. Anche per chi è consapevole della distruttività di una relazione così, anche per le persone più realizzate e apparentemente forti, dire basta è la cosa più difficile. E quando la forza di volontà è azzerata da una dipendenza, quando si accetta un maltrattamento che tocca anche la dignità, si prova una grande vergogna a raccontare il tunnel dove si è passati. Anche a distanza di anni.

Arisa Venezia 2020
La cantante Arisa: il suo brano presentato a Sanremo, Potevi fare di più, parla di una donna che cerca di liberarsi da una relazione che la tiene sempre sulle montagne russe, tra alti e bassi.

Sono diventata succube e lui approfittava della mia fragilità

«Della mia storia con Andrea ho parlato pochissimo perfino con le mie migliori amiche» racconta Veronica, 43enne romana, microbiologa con una grande passione per la musica. «E sì che la consapevolezza l’ho avuta fin dal primo incontro. L’avevo conosciuto da amici, avevamo parlato moltissimo di jazz e soul, di cui è un esperto, e per me è sempre una magia vedere qualcuno illuminarsi per il mio stesso interesse. Visto che non vive a Roma, gli avevo segnalato negozi e locali per appassionati. Era stata solo una bella chiacchierata, all’inizio, poi la mattina dopo mi ha proposto di accompagnarlo in un paio di posti che gli avevo indicato.


«Ero come un topo col gatto. Lui giocava con la mia ossessione crescente, Meno si faceva vivo più mi sentivo sballata. Mi rendevo conto di essere fuori di testa: poi lui tornava, passavamo dei giorni insieme e ricominciavo a volare alto»


 

Ricordo di aver pensato subito, vedendolo seduto con un drink al bar dove mi aspettava e incrociando il suo sguardo: “Scappa prima che sia troppo tardi”. Non so neppure perché, forse perché ho visto una tristezza negli occhi. Che fosse un uomo problematico l’ho scoperto dopo, ma ovviamente in quel momento non ho ascoltato la mia vocina interiore» continua Veronica. «In quel periodo mi sentivo forte, ero uscita da un momento complicato sul lavoro e forse ho voluto sfidare la mia capacità di controllo. Invece sono caduta in una specie di stregoneria.

Sono stati anche alcuni dettagli fisici – o meglio dire chimici? – ad agganciarmi: il suo profumo, il sorriso, la voce. Sono bastati pochi giorni perché la situazione mi sfuggisse di mano. Non ho mai avuto dipendenze di alcun tipo: alcol, fumo, cibo, droghe. Le mie relazioni precedenti erano state belle, positive, con due uomini che ancora frequento. Eppure di Andrea sono diventata totalmente succube e lui approfittava della mia fragilità. Ci vedevamo quando veniva a Roma ma, una volta ripartito, non rispondeva ai messaggi e se gli chiedevo spiegazioni diceva solo: “Che c’è, hai bisogno di attenzioni?”. E se gli rispondevo di sì, spariva per un bel po’».

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Il podcast di Selvaggia Lucarelli

Di vera tossicodipendenza parla Selvaggia Lucarelli in Proprio a me, un podcast a puntate appena uscito per Chora Media: «Mi sono bucata per 4 anni ma la mia droga non era una sostanza: era una relazione» racconta la giornalista. Esagerazione? «Ci sono tutte le caratteristiche di una dipendenza, anche se ogni caso ha sfumature diverse» risponde la psicologa Maria Martinotti, che per anni ha seguito gruppi pazienti con problematiche simili.

Selvaggia Lucarelli 2020
La giornalista e blogger Selvaggia Lucarelli: ha appena pubblicato un podcast a puntate intitolato Proprio a me, dedicato agli amori tossici.

«Ho visto anche donne forti e realizzate – medici, giudici, broker – cadere in questo buco nero, capiscono razionalmente che è un amore tossico però non riescono a farne a meno. Ognuna ha i suoi nodi profondi, ma molte tendono a colmare l’altro delle attenzioni di cui loro stesse sentono la mancanza. Ottenendo l’effetto contrario: spesso lui la svaluta con critiche continue, lei si arrabbia ma poi lo giustifica pensando di essere davvero in difetto. E così lui alza il tiro perché anche la sua è una forma di dipendenza, per soddisfare il sadismo o confermare la sua virilità vedendo la compagna ai suoi piedi. Se non è maltrattamento fisico, è qualcosa di più subdolo, che avvinghia ancora di più».

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È un mal d’amore di cui soffrono anche gli uomini

Detto questo, non è un problema solo femminile, anche alcuni uomini cadono in situazioni simili, puntualizza la dottoressa Martinotti. «Il lavoro dei terapeuti dev’essere molto sottile perché nessuna di queste donne riconosce di essere così asservita, difatti non accettano neppure le esortazioni di amici o parenti. L’unico modo per uscirne e recuperare l’autostima è accettare l’astinenza, liberarsi di quella “droga” a costo di stare male. A volte i gruppi aiutano ad acquisire consapevolezza, perché non ci si sente giudicate da chi vive un’esperienza simile».

Forse non si può nemmeno parlare di “amore”

Forse anche la parola “amore” è inadatta a definire queste relazioni. «Il mio non era un innamoramento, ma uno stato mentale alterato» ricorda Veronica. «Perché quando sei innamorata stai bene, sei contraccambiata, ti senti leggera, felice. Qui invece era tutto sbilanciato, ero come un topo col gatto. Lui giocava con la mia ossessione crescente. Meno si faceva vivo, più mi sentivo sballata. Sembra incredibile ma sono stata proprio io la più grande nemica di me stessa perché lui, sottraendosi, non mi ha mai forzata in nulla. Non osavo parlargli di progetti a due, per non essere appiccicosa e perché sapevo che mi sarei fatta del male, anche se me lo facevo in molti altri modi. Spesso mi rendevo conto di essere fuori di testa, mi chiedevo che senso avesse andare avanti… Poi lui veniva a Roma, passavamo dei giorni insieme e tornavo a volare alto sperando che tutto sarebbe cambiato, peccato che poi ripiombavo in cantina molto in fretta. Quando stavamo insieme subivo i suoi sbalzi d’umore e quando se ne andava mi mancava al punto da non riuscire neppure a lavorare. Oggi penso di essere stata attratta proprio dai lati oscuri, dal non detto, perfino dal suo sadismo mirato visto che per altre persone di attenzioni ne aveva, ai messaggini degli altri rispondeva. Deve aver sfogato le sue frustrazioni profonde prendendosela proprio con me che ero gentile, sfruttando la mia disponibilità a ospitarlo quando arrivava qui. È stato lui a dire basta, dopo 4 anni, forse anche perché non doveva più venire a Roma per lavoro. Una fine lacerante ma in fondo necessaria. La vita va avanti, inizia la disintossicazione, non è semplice ma ce la fai. Oggi cerco di vedere il lato positivo: mi sono presa cura di me per potermi distaccare, sono cresciuta e forse in futuro darò più ascolto alla voce dell’istinto».

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