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Il diritto (negato) alla spiaggia e alla vacanza al mare

La spiaggia può diventare un problema per le persone con disabilità. Lo racconta l'esperta di diversity che invita a diffondere una cultura dell'inclusione

L’estate porta con sé il tema dell’accessibilità delle spiagge e del diritto alla vacanza. Un diritto che passa in secondo piano, come se fosse meno importante degli altri. Certo, l’istruzione, la sanità sono questioni primarie, ma contano anche il riposo e la felicità di passare qualche settimana al mare in famiglia. Un’opportunità che sembra sempre meno garantita e che per le persone con disabilità diventa un miraggio.

Disabilità: spiagge e hotel poco accessibili?

Trovare un hotel accessibile e una spiaggia attrezzata è davvero difficile. Se penso ai soldi spesi per la Venere influencer e a quanto si poteva implementare l’accessibilità delle spiagge italiane, mi viene male. La prima volta che ho visto uno stabilimento balneare accessibile ero in Spagna e mi ricordo di avere provato la strana sensazione che tutto può essere più facile. Potevo entrare in spiaggia da sola senza che Andrea dovesse prendermi in braccio. E i bagnini e le persone intorno non mi guardavano male, perché erano abituate a una persona disabile come me.

Facciamo cultura perché le cose cambino

Dovrebbe essere una cosa normale, invece ogni anno siamo qui a scrivere e a spiegare quanto quello che succede non dovrebbe esistere. Il mio consiglio? Proviamo a diffondere per primi una cultura dell’inclusione. Quest’anno magari proponiamolo ai nostri bagni di fiducia e iniziamo un dialogo che conduca in questa direzione. Chiediamogli di rendersi più accessibili, oppure iniziamo a improvvisare costruendo rampe fatte con i bancali. Questo movimento dovrebbe partire dal basso, perché dall’alto non si muove granché.

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