L’ultimo film di Luca Lucini, L’amore, in teoria, è nelle sale italiane a partire da giovedì 24 aprile. A vent’anni di distanza dal successo generazionale di Tre metri sopra il cielo, il regista torna a raccontare l’amore e la giovinezza, ma con uno sguardo nuovo ora che è padre di due figlie GenZ. Raccontando la storia di Leone (Nicolas Maupas) e del suo primo amore, fotografa una generazione che “è stata socializzata in un modo completamente diverso dalle altre”.

Come dimostra il film, in cui la scelta tra l’amore ideale e l’amore inaspettato si intrecciano ai dissidi tipici degli studenti, dei figli e dei – sempre più disorientati – genitori, dai primi anni Duemila è cambiato molto, forse tutto. Ma non quel bisogno di cercare di capire l’amore e le sue regole, solo per rendersi conto che alla fine il cuore fa quello che vuole. Ne abbiamo parlato in quest’intervista, e te lo mostriamo con una clip in esclusiva.

Intervista a Luca Lucini: la genesi de L’amore, in teoria

Come nasce un film come L’amore, in teoria?

«In questo caso, dall’incontro tra me e Gennaro Nunziante. Avevamo già fatto un film insieme e ci conosciamo da tanto tempo, ma quando mi ha chiamato proponendomi quest’idea e introducendomi già l’obiettivo di renderla l’esordio da protagonista al cinema di Nicolas Maupas me ne sono innamorato. Abbiamo scelto di collaborare con un gruppo di giovanissimi, con molti esordienti. In particolare le sceneggiatrici, Armina Grenci e Teresa Fraioli, hanno saputo raccontare al meglio il contesto generazionale. Poi abbiamo parlato tanto con i ragazzi, sia quelli del team sia quelli del cast».

Cosa volevate raccontare della GenZ?

«È una generazione che sta cercando di cambiare le regole perché è stata socializzata in una maniera diversa da tutte le precedenti. Ha un rapporto con le relazioni e con l’amore più delicato: da una parte c’è più timore, dall’altra c’è anche più consapevolezza. Il mondo è ancora tutto da scoprire per loro e volevamo che il loro punto di vista trasparisse già dalla sceneggiatura».

È ambientato a Milano, una città notoriamente poco romantica, come l’avete raccontata nel film?

«Vivendo qui, conosco Milano da sempre, ma abbiamo scelto di non mostrare la solita città. Abbiamo cercato di girare nei luoghi che frequentano gli studenti, ma anche i quartieri più periferici. Nelle scene con Meda (il clochard che diventa amico del protagonista Leone, interpretato da Francesco Salvi, ndr), per esempio, eravamo a Corvetto. Proprio in quel periodo il quartiere è stato lo sfondo del caso Ramy Elgaml che ha sconvolto la città, e in un qualche modo ha toccato anche noi».

Il primo amore tra ieri e oggi

Nicolas Maupas è Leone in L’amore, in teoria (foto di Federico Vagliati)

Com’è stato lavorare con i ragazzi e con questo cast?

«Intanto Nicolas si è rivelato da subito veramente sorprendente: è stato capace di gestire con la giusta dose di ironia anche la parte un po’ più comica della storia. Mi ha ricordato i grandi protagonisti delle rom-com, uno fra tutti Hugh Grant che sa sempre come fare innamorare dei suoi personaggi un po’ sfigati: ci si affeziona a loro, alle loro vicende. Poi, quando serve, tirano fuori il carattere.

Lavorando a questo progetto, mi sono reso conto che erano passati 20 anni da Tre metri sopra il cielo, ma sono cambiate tante cose: mi piacerebbe, ogni 20 anni, tornare ad indagare l’amore per generazioni diverse».

Nel confrontare i due film non si può non notare un’enorme differenza anche tra i protagonisti, Step (Riccardo Scamarcio) e Leone (Nicolas Maupas), due esempi di mascolinità completamente opposti.

«Esatto, in questi 20 anni sono cambiati i riferimenti per un sacco di cose. Allora il ragazzo ideale era un macho che faceva a botte, impennava in moto, e le ragazze erano come eroine romantiche classiche. Ora sembra quasi si siano invertiti i ruoli, ma in realtà ci sono semplicemente nuove possibilità, nuovi modi più sfaccettati di vivere l’amore».

Ognuno dei protagonisti del film ha dei problemi con le relazioni, dei desideri, la voglia di affermarsi e un modo di vivere le emozioni tutto suo.

«C’è chi cerca l’amore eterno, chi si affida alle app e sceglie ogni sera partner diverse. E chi – come il protagonista – pensa che l’amore vada conquistato a tutti i costi, ma anche questo rivela una debolezza, una fragilità».

L’amore in teoria, generazioni a confronto

Francesco Colella è Giorgio (il padre di Leone) in L’amore, in teoria (foto di Federico Vagliati)

Una delle relazioni raccontate meglio in L’amore, in teoria è quella tra Leone e il papà (Francesco Culella). Quello tra padre e figlio è un rapporto di cui si parla poco nelle commedie romantiche tradizionali.

«La loro è una storia che mi tocca in prima persona: i genitori di quest’epoca hanno una difficoltà importante nel capire i problemi dei loro figli, e io ne so qualcosa. Le mie figlie, rispettivamente di 20 e 23 anni, e a volte mi chiedono consigli ma mi rendo conto che fatico a dare loro riferimenti utili nel mondo di oggi. Le vedo spaesate, e mi dispiace. È bellissimo che oggi si parli di questa distanza tra padri e figli, esempi come Adolescence e Il ragazzo dai pantaloni rosa sono storie tragiche ma con un fondo di verità che ci riguarda tutti. Francesco ha saputo rendere secondo me benissimo il dolore di un genitore che vede il figlio spaesato e non sa come aiutarlo».

Leone al padre rimprovera di «cercare di sostituire la mamma», sbattendogli in faccia anche di aver prima ricoperto un ruolo ben diverso, lasciando alla madre il compito di conoscerlo a fondo, fargli domande, prendersi cura di lui.

«Esatto, ma lo stesso padre fatica perché entrambi stanno vivendo, dopo il lutto, un periodo di cambiamento. Anche il padre ha perso dei riferimenti. Così Leone trova una guida piuttosto in Meda, che fa quello che i genitori spesso non riescono a fare: gli insegna a scontrarsi con la realtà».

Un altro personaggio di una generazione diversa, dal cui scambio nasce un Leone più forte.

«Meda insegna che c’è sempre la possibilità di imparare dai rapporti con le persone, anche se magari l’educazione sentimentale ai nostri tempi era molto diversa da quella di cui c’è bisogno oggi. L’interpretazione di Francesco Salvi è delicatissima e divertente».

Intervista a Luca Lucini: quello che resta nel cuore

Martina Gatti è Flor in L’amore, in teoria (foto di Federico Vagliati)

C’è una scena che ha acquistato una forza particolare e che vi ha sorpreso?

«Quello scontro tra il padre e il figlio a me ha colpito tantissimo. Me la immaginavo, sapevo sarebbe stata forte, ma anche oggi che ho rivisto tante volte il film non smette di farmi male. Quando un figlio ti dice una frase come “La mia vita fa schifo”, come padre prendi un colpo indescrivibile».

Hai una scena preferita?

«Ce ne sono tante, è un film di cui sicuramente porterò nel cuore tanti ricordi. Mi è piaciuto molto girare la scena del primo incontro tra Leone e Flor (Martina Gatti), volevo fosse goffa, da prima volta, ma anche romantica e comica, un equilibrio delicatissimo. Ma i ragazzi sono stati fantastici».

Qual è secondo te il messaggio più importante del film?

«Sicuramente che per quante teorie si possono fare, in amore come nel cercare la propria identità, alla fine conta solo quello che si sente dentro. E questo vale per tutte le epoche, per tutte le generazioni, e credo sarà così per sempre. Ci emozionano ancora Shakespeare e Catullo, storie d’amore di secoli e secoli fa, e credo che sia questa contrapposizione tra l’amore in teoria e le scelte che prendiamo che non cambierà mai».

L’Amore, in teoria: una clip in esclusiva

Se sei curiosa di immergerti nella storia di Leone, Flor, Carola e tutti gli altri protagonisti di L’amore, in teoria, abbiamo una sorpresa per te: ecco una clip in esclusiva dal film.