Larissa Iapichino
Photographer Mattia Cocci; Art director Oghenetega "Tega" Agege e Julie Tocariuc; Stylist Tea Yzeiraj e Elisa Porpora; Stylist assistant Xuan Du; Stylist Coordinator Veronica Bergamini; Production assistant Josefa Asteg; Photographer Assistant Caterina Stolzi; Mua Clara Giaccari.

Larissa Iapichino salta al massimo

Dopo due anni di alti (i record mondiali) e bassi (l'infortunio che le ha tolto le olimpiadi), la giovane stella dell'atletica italiana si presenta ai mondiali in super forma

Il rumore di fondo è quello della macchina che la sta riportando a casa dopo l’ennesima impresa. Larissa Iapichino, la ragazza d’oro del salto in lungo e dell’atletica italiana, questi giorni infuocati dell’estate 2023 li ha passati in giro per l’Europa da una gara all’altra, collezionando vittorie – tre in Diamond League e una agli Europei under 23 – e record. In mezzo giusto un esame all’università e una cena con gli amici per festeggiare i 21 anni.

Larissa Iapichino non si ferma (quasi) mai

La voglia di evadere, dice, qua e là si fa sentire – «Guardo le foto della gente al mare e un po’ di invidia mi prende» – ma tocca tener duro fino ai Mondiali di Budapest, in programma dal 19 al 27 agosto, l’obiettivo più importante di questo 2023 cominciato col botto. «Spero di arrivarci nella forma migliore possibile, fisica e mentale. Allontano ogni pensiero di misure, piazzamenti e medaglie: vado lì per dire la mia e vedremo quello che arriverà».

In realtà, all’appuntamento si presenta da numero 2 del ranking assoluto, ma da quell’altezza il rischio di vertigini è grande e lei lo sa. Il solo modo di evitarlo è tenere i piedi a terra, un passo dopo l’altro, schivando le aspettative altrui, nutrite dal talento e dalla genetica: è figlia di Fiona May, saltatrice in lungo, e Gianni Iapichino, astista, lunghista e decatleta. La luce dei riflettori già una volta l’ha abbagliata e ora che ha ritrovato la direzione, cambiando allenatore e affidandosi a suo padre, già allenatore di Fiona May, non intende perderla.

Larissa Iapichino
Qui Larissa Iapichino indossa T-shirt Puma, pantaloni Organica Estrusa, accessori personali

Intervista a Larissa Iapichino

Come ha imparato a surfare sulle pressioni?

«Grazie al mio mental coach: abbiamo fatto un lavoro eccezionale, gli devo tanto della mentalità di oggi e della leggerezza che ho ritrovato. E poi grazie all’allenamento, tutti i giorni in campo con mio padre. L’anno scorso abbiamo costruito le basi: non avevamo mai lavorato insieme, e serviva un periodo di assestamento. Tutta quella fatica ce l’abbiamo capitalizzata in questa stagione. Dopo aver messo i mattoncini, ora cominciamo a costruire».

L’atletica era scritta nel destino?

«No. Il Dna conta, ma non basta. Mia sorella Anastasia, che sarebbe anche più dotata di me, non ne vuole sapere. Io l’atletica l’ho scelta. È una storia mia, non il proseguimento di quella dei miei genitori».

Che cosa l’ha convinta?

«Una coincidenza. Nel 2015 ero in vacanza con la famiglia a Montecarlo e mi hanno portato a vedere la Diamond League. Entrata in quello stadio, ho sentito una specie di magia e mi sono detta: “Questa cosa vorrei farla anche io”. Ma ho cominciato senza ambizioni, solo per divertirmi».

Quando ha pensato che l’atletica potesse diventare la sua vita?

«Due anni fa, quando ho saltato 6 metri e 91 facendo il record mondiale under 20 indoor. Lì ho capito che poteva essere qualcosa di più di uno sport che praticavo al pomeriggio».

Quel record del mondo durava da 38 anni e ha caricato su di lei aspettative enormi.

«Il peso di quell’impresa mi ha destabilizzata moltissimo. Avevo 18 anni e, a livello mentale, non ero pronta per un risultato di quelle proporzioni. Ha fatto dimenticare alla gente l’età che avevo: le pressioni sono cresciute e io ero ancora troppo piccola per reggerle. La mia preoccupazione più grande, quell’anno, era la maturità. Da grandi risultati derivano grandi responsabilità, e io ho faticato. Quella fatica me la sono portata dietro un paio di anni: poi piano sono cresciuta e ho imparato».

Larissa Iapichino e il rapporto con la famiglia

Larissa Iapichino
Larissa Iapichino indossa abito Missoni e scarpe Puma

Farsi allenare da papà ha aiutato?

«Certo. Mi conosce come nessuno. Conosce i miei punti di forza e le mie debolezze, quali tasti toccare. Ma è anche un grande tecnico, un uomo intelligentissimo che si mette sempre alla prova e non pecca mai di presunzione. Nel lavoro pretende moltissimo ed è un perfezionista come me. Sa come mettermi nelle migliori condizioni possibili».

Che padre è stato?

«Quello che ci proteggeva e ci scarrozzava a destra e sinistra. Era severo ma anche quando partiva da un no categorico io e mia sorella riuscivamo a convincerlo. Come quando a 17 anni gli ho chiesto di andare in vacanza con gli amici. Ha detto: “Sei matta, non se ne parla”, e alla fine mi ci ha mandata. Mia madre è sempre stata un osso più duro. Se c’era qualcosa da chiedere, la chiedevamo a lui».

Che madre è stata Fiona May?

«Protettiva anche lei, anche se più severa. Ho due genitori presenti, che ci hanno dato amore e non ci hanno fatto mancare nulla, a livello sia emotivo sia materiale».

Fate la stessa disciplina. Le pesa mai il confronto?

«No. Io e mamma ci ridiamo su. Confrontare due atlete che hanno saltato in epoche diverse è senza senso. Mamma è stata una grandissima campionessa, ha vinto 10 medaglie internazionali, impresa che nell’atletica italiana non è riuscita a nessuno. È un mostro sacro, prima di potermi paragonare a lei deve passare ancora del tempo».

Agli Europei di Istanbul, a marzo, ha saltato 6,97 metri e ha superato il record nazionale indoor di sua madre.

«I record sono fatti per essere battuti: quello che conta sono le medaglie. Oggi abbiamo il preparatore, lo sponsor, materiali tecnici innovativi. Sono cambiate, le scarpe e le piste: i confronti sulle lunghezze sono fini a se stessi. Piuttosto, è un privilegio poter attingere alla sua esperienza. La prima Olimpiade l’ha disputata a: 19 anni, nei momenti in cui mi sento un po’ persa, lei è un grande aiuto».

Che cosa le ha insegnato l’atletica?

«A conoscere me stessa. Il mio sport è un gioco psicologico dove devi sapere come funzionano la tua mente e il tuo corpo e soprattutto quali sono i tuoi limiti. Questo serve anche fuori dal campo».

Larissa Iapichino fuori dalle piste

Larissa Iapichino
La campionessa di salto in lungo indossa abito Missoni e scarpe Puma. Photographer Mattia Cocci; Art director Oghenetega “Tega” Agege e Julie Tocariuc; Stylist Tea Yzeiraj e Elisa Porpora; Stylist assistant Xuan Du; Stylist Coordinator Veronica Bergamini; Production assistant Josefa Asteg; Photographer Assistant Caterina Stolzi; Mua Clara Giaccari.

Quanto è amica del suo corpo?

«Molto. Anche grazie a mia mamma, che mi ha sempre spinta ad amarmi e a essere la migliore versione di me».

Al di là dei record, chi è Larissa Iapichino?

«Una ragazza normalissima. Mi chiedo che cosa diventerò da grande come qualsiasi mia coetanea. Oltre l’atletica, che è il mio lavoro, la mia vita è fatta di amicizie e di esami all’università. Mi piace l’arte, seguo la moda».

Manca un anno ai Giochi di Parigi, al via il 26 luglio 2024, a giugno l’aspettano gli Europei a Roma. Ci pensa?

«Cerco di vivere nel presente ma certo, l’idea di questi due appuntamenti c’è. Soprattutto Roma: gareggiare in casa ha sempre un sapore speciale. Parigi è il palcoscenico più importante però, visto com’è andata l’ultima volta cerco di non parlarne e di pensarci il meno possibile».

E prima ai Giochi di Tokyo non ha partecipato per colpa di un infortunio. Come ha digerito una delusione del genere?

«Sono ripartita da quello che mi sembrava importante sul momento. La tentazione di buttarmi giù l’ho avuta, ma non sarebbe servito a niente. Ho preferito concentrarmi sulla riabilitazione, cercando di risolvere la situazione il prima possibile. E poi, senza gare mi sono concessa un’estate più normale, sono andata in vacanza e mi sono goduta gli amici. Ho cercato di prendere quel po’ di buono che c’era oltre il dispiacere e il male alla caviglia».

A marzo ha vinto un argento europeo e l’ha dedicato a suo nonno Winston.

«Era il papà di mia mamma, una persona indimenticabile. Il tipico giamaicano con la battuta pronta. È stato un nonno amorevole e divertente, mi ha insegnato tantissimo. Quando ero in Inghilterra, mi portava al parco, al cinema, a provare i ristoranti. Perderlo è stato un brutto colpo. Ma non c’è stato solo lui: ho avuto la fortuna di crescere con tutti e quattro i nonni».

Un bel melting pot di famiglia, la sua. Come si cresce tra culture così diverse?

«Mescoliamo quattro anime: italiana, giamaicana, inglese e americana, perché i miei nonni paterni vivevano negli Stati Uniti quando è nato papà. Io mi sento italiana al 100%, ma vedere il mondo con lenti diverse è stato un grande vantaggio. Dalle grandi cose a quelle piccole. La musica per me è britannica e giamaicana, il menu di Natale è anglosassone: che vada dalla nonna materna o quella paterna, c’è sempre il tacchino ripieno».

Dopo i Mondiali va in vacanza?

«Dovrei gareggiare nella finale di Diamond League a metà settembre a Eugene, negli Usa. Poi, sì, vacanza. Il babbo mi ha detto: “Non ti voglio vedere per due settimane, altrimenti ti esaurisci”. Sto combinando con le amiche. Voglio staccare la spina».

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