«Il mio più grande desiderio è sempre stato di trovare un altro essere umano che mi conoscesse veramente». Mentre aspetto il collegamento via Zoom da Washington, rileggo l’incipit del nuovo libro di Chimamanda Ngozi Adichi L’inventario dei sogni (Einaudi). E ripercorro mentalmente le storie delle protagoniste: Chiamaka, nigeriana di nascita e americana d’adozione, autrice di reportage di viaggi che è alla ricerca dell’amore; sua cugina Omelogor, genio della finanza, volitiva e caustica nei confronti degli uomini; la sua migliore amica Zikora, avvocata abituata al successo, finché non le capita qualcosa che non aveva previsto; Kadiatou, immigrata dalla Guinea negli Stati Uniti per dare un futuro alla figlia. Quattro donne diverse che, ognuna a suo modo, ci conducono per mano a esplorare i nostri sogni, siano essi d’amore, di felicità, di riscatto…
L’inventario dei sogni il nuovo libro di Chimamanda Ngozi Adichie è intimo e politico
Un libro intimo e politico, com’è nella cifra della 47enne scrittrice nigeriana, che vive tra il suo Paese e gli Stati Uniti con il marito medico e la figlia di 9 anni. Dall’esordio con L’Ibisco viola ad Americanah, passando per Metà di un sole giallo e Dovremmo essere tutti femministi, ha affrontato, raccontando delle donne, i temi urgenti della contemporaneità: il sessismo, il razzismo, il potere, l’identità, le relazioni. «Hi! This is Chimamanda». La sua voce calda e dolce interrompe il flusso dei miei pensieri. E subito condivido con lei la domanda che nasce dalle prime righe del suo romanzo.

Crede sia possibile, come desidera Chiamaka, trovare qualcuno che ci conosca veramente?
«Credo che non conosciamo mai davvero un’altra persona, probabilmente perché non conosciamo mai davvero nemmeno noi stessi. Io, dopo la morte di mio padre (di cui ha scritto in Appunti sul dolore, nel 2021, ndr), ho scoperto un lato di me che non immaginavo esistesse. Sono una persona che ha un grande controllo delle proprie emozioni ma, quando mio padre morì, espressi il mio dolore in modo molto plateale: urlavo, mi rotolavo per terra, ero sopraffatta. Penso che sia molto bello desiderare di conoscere profondamente qualcuno, e che in questo ci sia anche una sorta di malinconia. Non credo ci riusciremo mai del tutto, a conoscere l’altro, ma non sono sicura che ne abbiamo bisogno. La cosa importante è che noi amiamo forse proprio per questo desiderio».
Sul suo blog Per soli uomini Omelogor scrive che un uomo dovrebbe dire tutti i giorni “Ti amo” alla propria compagna. Zikora frequenta siti di incontri e legge manuali di self help sul matrimonio. Secondo lei, oggi, le relazioni sono in crisi?
«Penso spesso a quanto il dating online stia cambiando la natura degli incontri e delle relazioni. So che è molto diffuso, e capisco che sia il futuro, ma provo una certa tristezza, perché credo abbia portato le persone a considerare gli altri come merci. Chiedo spesso ai giovani della loro vita sentimentale, ne sono affascinata. E mi sorprende quanto spesso – le donne in particolare, ma anche gli uomini – si lamentino del fatto che le app di incontri rendano riluttanti a impegnarsi perché si pensa che basti uno swipe in più per trovare qualcuno di meglio. Ma così perdiamo l’umanità, quella bella, imperfetta, caotica umanità che scopriamo quando ci incontriamo di persona. È come se venisse a mancare l’anima, ed è triste per me».
L’amore romantico è ancora un bellissimo desiderio
Noi donne desideriamo ancora l’amore romantico?
«Sì, lo desideriamo. Ed è bellissimo. Le donne non dovrebbero mai vergognarsi di voler amare ed essere amate: è nella natura degli esseri umani. Ciò che mi preoccupa è che, per come è fatto il mondo, per loro è più difficile. Dire che viviamo in un mondo di uomini può sembrare un vecchio, orribile cliché, ma è così. Nonostante siano stati fatti dei progressi, è ancora così. In molte culture alle ragazze viene insegnato che devono aspirare alle nozze, che devono comportarsi in modo tale da meritare la proposta. Ai ragazzi non viene trasmesso lo stesso messaggio. Per questo esiste uno squilibrio di genere nell’approccio all’amore e alle relazioni».
Ed è per questo che anche donne forti ed emancipate possono essere soggiogate dal partner, come succede a Chiamaka con Darnell?
«Tutti abbiamo bisogno di amore, di stabilità emotiva. Ma una cosa è il mondo come vorremmo che fosse, un’altra come è nella realtà. E nella realtà è dominato dagli uomini. Non importa quanto una donna sia forte, indipendente, realizzata: vive comunque in una società dove sono gli uomini ad avere potere decisionale, anche sulle relazioni».
Crede che uomini e donne considerino l’amore in maniera diversa?
«Credo che esistano delle differenze, sì, ma anche perché cresciamo diversamente. I ragazzi non passano l’adolescenza a pensare all’anello di fidanzamento o all’abito nuziale o al loro aspetto fisico. In un mondo perfetto nemmeno le ragazze verrebbero educate a pensarci. Mi piacerebbe avere il potere di vietare per sempre i concorsi di bellezza per bambine e ragazzine, li trovo orribili!».
Chimamanda Ngozi Adichie L’inventario dei sogni: chi insegna il sesso ai bambini?
A un certo punto nel libro scrive: «Bisogna domandarsi chi insegna cos’è il sesso ai bambini». Pensa che l’educazione sessuale e affettiva sia uno strumento utile per prevenire la violenza di genere?
«Sì, penso sia molto importante. Dobbiamo cominciare presto a insegnare alle ragazze che l’amore non si manifesta con la violenza. A volte si sentono teenager dire:
“Mi ha dato uno schiaffo perché mi ama”. Devono imparare che non è vero. Allo stesso tempo ai giovani maschi va insegnato che il corpo delle donne non è una loro proprietà.
Chimamanda Ngozi Adichie: così ho imparato il sesso e così lo insegno alle mie figlie
A lei chi ha insegnato cos’è il sesso?
«I libri. Da piccola leggevo libri – che forse non avrei dovuto leggere (sorride, ndr) – in cui c’erano scene di sesso. Non le capivo, anche se mi rendevo conto che stava succedendo qualcosa. Credo che a 14 anni avrei potuto scrivere una buona scena di sesso pur non avendolo mai fatto!».
Ne parla con sua figlia?
«Sì. Perché credo che tocchi ai genitori introdurre i figli al sesso. Mi rendo conto che molti possano trovarsi in imbarazzo perché i loro non hanno fatto lo stesso, per motivi religiosi o culturali. Ma nel mondo di oggi è un nostro dovere. Mia figlia ha 9 anni e ho sempre parlato con lei del corpo femminile, cercando di far sì che si sentisse a suo agio, che non provasse vergogna (nel 2017 per lei scrisse Cara Ijeawele: quindici consigli per crescere una bambina femminista, ndr). Per esempio, non abbiamo mai usato vezzeggiativi per dire “vagina”. E quando sarà più grande le parlerò con franchezza delle mestruazioni.
Venendo al sesso, so che può sembrare “all’antica”, ma insegnerò a mia figlia che è una cosa che fai quando c’è anche l’amore. Immagino che da adulta magari ne riderà e penserà: “Mia mamma non capisce che voglio fare sesso solo per fare sesso». Credo però che le ragazzine debbano capire che il sesso non è una cosa che fai per caso o perché vuoi piacere a qualcuno o perché vuoi essere popolare. Vedo che sono sottoposte a enormi pressioni, leggo di tante che già a 11 anni mandano foto dei loro corpi nudi ai ragazzi… È una cosa che dobbiamo cercare di cambiare».
Il tema della maternità ne L’inventario dei sogni di Chimamanda Ngozi Adichie
Un’altra pressione a cui sono sottoposte le donne è la maternità. Per condizionamenti storici, culturali, ma anche biologici. I 40 anni incombono come una data di scadenza.
«È una sfortunata verità: le donne che vogliono avere un figlio hanno un limite di tempo entro cui realizzare questo desiderio. Limite che per gli uomini non esiste. È un altro aspetto del mondo dominato dagli uomini con cui le donne devono avere a che fare».
Senza contare che rischiano di essere penalizzate sul lavoro. Davanti al test di gravidanza positivo Zikora è travolta dalla paura.
«Il luogo di lavoro ancora non è progettato per supportare le donne. Ricordo un caso che fece molto discutere in Nigeria, una decina di anni fa. Una manager aveva fatto carriera ed era vicinissima a guidare un’importante area della sua banca quando andò in maternità. Al rientro, quella posizione era stata presa da qualcun altro e a lei fu detto che avrebbe dovuto fare qualche passo indietro. Non lo fece, anzi raccontò tutto in un’intervista. Ma venne fortemente criticata.
Gli uomini dissero che avrebbe dovuto tacere, che nessuno l’aveva costretta a rimanere incinta. A quegli uomini io avrei voluto rispondere: “Volete che la razza umana si estingua? O volete che nascano bambini? Perché sono le donne che li mettono al mondo”. Bisogna trovare un equilibrio, pensare e realizzare luoghi di lavoro che siano a misura di madri. Non succede spesso, ma a volte sì. Significa che le cose si possono aggiustare».
A che cosa si riferisce?
«Sheryl Sandberg, l’ex numero 2 di Facebook, quando aspettava suo figlio fece notare a Mark Zuckerberg che il suo posto auto era troppo lontano e che le lavoratrici incinte avrebbero dovuto poter parcheggiare vicino all’ingresso. Lui rimase colpito, non gli era mai venuto in mente, e poi intervenne. È un piccolo esempio di come le voci delle donne ancora non siano prese in considerazione sul luogo di lavoro».
Da L’inventario dei sogni a Dovremmo essere tutti femministi
Sono passati 10 anni da quando ha pubblicato Dovremmo essere tutti femministi. Cosa è cambiato da allora? Per cosa devono lottare le donne oggi?
«Credo che abbiamo fatto due passi avanti e uno e mezzo indietro. Se allora mi avessero chiesto se l’aborto sarebbe diventato illegale nella maggior parte degli Stati Uniti, avrei risposto: «Certo che no!». Eppure lo è, e per me è scioccante. Ho sempre rispettato chi è contrario all’interruzione di gravidanza, ma vietarla per legge… Nulla sta a indicare la nostra libertà più del nostro corpo, è la prima cosa che ci appartiene in quanto esseri umani. E adesso alle donne viene detto che non è consentito loro di farne ciò che vogliono: allora, secondo me, significa non considerarle appieno esseri umani. E sta succedendo in un Paese come l’America a cui abbiamo sempre guardato come faro di libertà. Sono inorridita dal fatto che si parli delle donne nella maniera più degradante».
Occorre un’alleanza tra donne e uomini
Crede che anche gli uomini siano vittime del patriarcato?
«Non userei la parola vittime, perché il sessismo è un sistema che danneggia le donne e di cui, invece, gli uomini beneficiano. Ma credo che in qualche modo sia nocivo anche per loro: non sono autorizzati a esprimere le proprie emozioni e interiorizzano una certa idea di mascolinità che non gli fa bene. Abbiamo bisogno, l’ho sempre detto, che gli uomini “buoni” si alzino in piedi, prendano la parola. Quante volte sentiamo ripetere che le donne devono educare i figli maschi… È importante, certo.
Ma lo devono fare anche gli uomini, perché nella nostra società i maschi ascoltano di più i maschi. Credo fortemente che ci sia bisogno di un’alleanza: le donne non possono cambiare il sistema da sole, gli uomini devono essere parte del cambiamento. La storia lo dimostra: per mettere fine a un’oppressione occorre avere dalla tua parte chi da quell’oppressione è favorito. La schiavitù è finita quando agli schiavi si sono uniti i proprietari abolizionisti».
Il femminismo sembra tornato “di moda”. Celeb e social lanciano messaggi sull’empowerment femminile. Ma non c’è il rischio che perda un po’ di significato?
«Le posso dire che in tanti Paesi africani il femminismo non porta like. E anche molte donne di potere non vogliono definirsi femministe. Ricordo che Angela Merkel, quando le chiesero se lo fosse, rispose di no. E ricordo che poi, in una conversazione pubblica, io le dissi: “Ma lo sei”. Sa, femminista è una parola avvolta ancora da molti stereotipi negativi… Però ha ragione, c’è il rischio di una banalizzazione. Si usa il femminismo anche a scopi commerciali. Invece di vendere una candela profumata, si dice alle donne: “Comprate questa candela profumata, vi rafforzerà”».
Femminismo e moda

A proposito di stereotipi negativi, lei è stata tra le prime a dire che si può essere femministe e amare la moda.
«La moda è molto importante per me. E la ragione è che sono figlia di mia madre (a cui Chimamanda Ngozi Adichie ha dedicato L’inventario dei sogni, ndr). Ha insegnato a me e ai miei fratelli che bisogna curare il proprio aspetto in segno di rispetto verso gli altri. Da piccola adoravo guardarla, si vestiva elegante per andare in chiesa o al lavoro (era Cancelliere aggiunto della University of Nigeria, ndr). In Nigeria, inoltre, le donne in posizioni di vertice sono impeccabili, è una questione culturale.
Quando sono arrivata negli Usa ho invece realizzato che qui le donne interessate alla moda sono ritenute superficiali. Ma io sono sempre stata entrambe le cose: una femminista da prima che sapessi cosa significa e un’appassionata di moda fin da bambina. Non ho mai pensato che questi due aspetti fossero incompatibili, è il mio modo di essere. Tornando al rischio di banalizzazione di cui mi chiedeva, ci può essere, certo. Ma non credo sia una ragione per fingere di essere chi non siamo».
Maria Grazia Chiuri, quando era direttrice creativa di Dior, mise sulle T-shirt il titolo del suo libro We Should All Be Feminists.
«Siamo amiche, è venuta anche a Lagos: abbiamo fatto un pranzo delizioso a casa mia e ha assaggiato ogni tipo di cibo nigeriano, l’ho trovata molto coraggiosa! La considero meravigliosa, intellettualmente curiosa, un’ambasciatrice dell’italianità nel mondo. Questo mi fa pensare che la moda può essere un modo per esprimere anche l’amore per il tuo Paese. Ecco perché ho preso anni fa la decisione di indossare perlopiù abiti di stilisti nigeriani».
Chimamanda Ngozi Adichie, l’inventario dei (miei) sogni
Qual era il suo inventario dei sogni, da bambina?
«Ho avuto un’infanzia molto felice in una piccola città universitaria (anche il padre lavorava alla University of Nigeria, come professore di Statistica, ndr). Ma in un certo senso sapevo che il mio sogno era più grande. Ho sempre voluto scrivere. Da adolescente non volevo sposarmi. Volevo diventare un’intellettuale che viveva da sola, scriveva libri, invitava persone a cena per discutere. Poi tutti sarebbero tornati a casa lasciandomi da sola a scrivere i miei libri. Le cose sono cambiate un po’, no? (ride, riferendosi al marito, il medico Ivara Esege, ndr). Oggi penso di essere molto fortunata, perché la scrittura è sempre stata il mio sogno più grande, dà senso alla mia vita. Volevo scrivere ed essere letta: i libri mi hanno regalato emozioni e idee, hanno significato così tanto per me che volevo fare lo stesso per altre persone. Sta succedendo».
E dopo aver scritto L’inventario dei sogni, adesso qual è il desiderio di Chimamanda Ngozi Adichie ?
«Ne ho due. Scrivere rimane un sogno. L’altro ha a che fare con la vita. Da quando ho perso i miei genitori penso spesso alla morte. E mi preoccupo costantemente delle persone che amo. Uno dei miei modi di amare è preoccuparmi, credo sia lo stesso per molte donne. Così il mio secondo sogno, oggi, è essere in salute, crescere mia figlia, vivere abbastanza a lungo da sapere che le ho dato gli strumenti migliori per costruire la sua, di vita».