«Perché Lenny Kravitz a 60 anni viene considerato un figo e io che di anni ne ho 56 posso al massimo sentirmi dire che porto bene la mia età?». Per capire il senso di questa intervista bisogna partire da qui. Se avrete la gentilezza di arrivare fino in fondo, troverete anche la risposta. L’ultima volta che Paola Maugeri ha intervistato il cantante americano è stata circa un mese fa su Virgin Radio. Era vestita come sulla copertina di questo numero e portava la camicetta sbottonata, perché se può farlo lui… La storia che state per leggere ha a che fare con il rock e con l’ageismo. Ma anche con la consapevolezza, i cicli della vita, i piani B e gli orgasmi spaziali.

Ogni volta che incontro Paola, succede così: parti da un punto e finisci in un luogo che non sai, come quando ascolti a occhi chiusi una musica che ti porta lontanissimo. Ne esci trasformata. La nostra chiacchierata è iniziata a un tavolo di un posto magico a Milano, il Potafiori (più in basso, la videointervista), ed è terminata a Reggio Emilia, davanti a un altare di fori e candele, nel campo magnetico di un cerchio di donne ospiti di un retreat. In mezzo, messaggi, mail, vocali e qualche cuoricino, tra le 6 di mattina e le 11 di sera.

Intervista a Paola Maugeri: diventare la signora del rock

PH: Fabio Leidi. Pantaloni di maglia crochet Cavia. Fedora personalizzato Partenope Vip. Anelli Nove25.

Paola, per quelle della mia generazione sei stata “la ragazza dai capelli blu”. Hai fatto più di 1.000 interviste ai big della musica, tutte avremmo voluto essere te. Come ci sei arrivata?

«Tutta colpa di quel meraviglioso film di Louis Malle che è Ascensore per il patibolo. Da bambina passo davanti alla stanza di mio fratello e sento queste note pazzesche. È Miles Davis che suona la colonna sonora. Chiedo: “Chi è? Lo voglio conoscere”. Ma avevo solo 10 anni, la mia era una famiglia tradizionale catanese, non è che fosse così facile incontrare Miles Davis…».

Però non hai mollato.

«A 14 anni ad Acireale, dove andavo in vacanza, è arrivato un festival jazz e io mi sono proposta per portare l’acqua sul palco agli artisti. Nel giro di 4 anni ho conosciuto i più importanti jazzisti, da Frank Morgan a Wynton Marsalis, e poi a 18 mi sono lanciata nelle reti locali, facendo di tutto».

E i tuoi genitori?

«Hanno capito che era quella la mia strada, ma mia mamma mi ha detto: “Per fare le interviste bisogna essere giornalista”. E quindi me ne sono venuta a Milano a fare la scuola Walter Tobagi. Purtroppo all’orale mi hanno bocciato. Ma è stata la mia fortuna».

PH: Fabio Leidi. Abito di mussola organzata con ricami etnici Ermanno Scervino. Cinture Fortela. Collane Madame Pauline Vintage.

Perché?

«Mentre tornavo a casa, con le pive nel sacco, incontro in stazione un discografico conosciuto anni prima che mi avvisa che stanno cercando gente a Videomusic, una rete nuova con grandi ambizioni. Sono struccata, sfatta dal pianto, ma voglio tentare. Arrivo che i provini sono già finiti, ma riesco a impietosire la direttrice. Mi domanda cosa avrei chiesto a Vasco Rossi se mai lo avessi intervistato. Le snocciolo 50 domande. È colpita. “Perché dovrei prendere te?” mi chiede. “Perché così potrà dimostrare che è possibile vivere all’altezza dei propri sogni”. È fatta. Inizio a girare il mondo facendo interviste a grandissimi artisti, ma sempre fuori camera. Mi dicono che non sono abbastanza carina».

Ma tu sei un animale da palcoscenico!

«Se ne accorgono la prima volta che vado in video a Segnali di fumo. Da lì non mi sono più fermata».

Un incontro che ti ha segnato più di altri?

«Ogni intervista mi ha lasciato qualcosa. Una molto emozionante è stata quella con Bono Vox degli U2. Quando ha sentito che si poteva fidare, mi ha raccontato del lutto dei suoi genitori, poi si è messo in ginocchio e ha baciato il tatuaggio con il nome di mia madre. Grandiosa Patti Smith. Le ho chiesto cosa significasse per lei essere punk: “Pensare con la propria testa”. E, infine, Roger Waters dei Pink Floyd».

Perché?

«Gli avevo chiesto cosa porta un artista che ha venduto 300 milioni di copie a girare ancora il mondo, a 76 anni. Mi ha risposto: “Con la mia musica voglio spingere le persone a capire che apparteniamo tutti alla stessa famiglia. La famiglia umana”. E lì mi è scattato qualcosa. Ho iniziato a sognarlo e a pensare che dovevo cambiare la mia vita».

Paola Maugeri: la svolta in Svezia

E così è stato. Nel 2021 hai mollato tutto e sei andata in Svezia. Già nella tua vita avevi attraversato delle svolte: prima il veganesimo, poi la meditazione…

«Il veganesimo lo pratico da anni. Non ci crederai, ma i miei genitori erano pellicciai. Da piccola parlavo con i cincillà e i visoni imbalsamati che vedevo in negozio. Non capivo come fosse possibile trattare gli animali come amici e poi trovarmeli nel piatto. A 12 anni ho smesso di mangiare carne. Più tardi è arrivata la meditazione. Anche qui a ispirarmi sono stati i grandi della musica. Che non sono solo artisti, sono Maestri».

La decisione di andare in Svezia com’è maturata?

«I primi segnali sono arrivati durante il Covid. Un giorno ho sentito mio figlio Timo piangere sotto la doccia. Ho capito che qualcosa mi stava sfuggendo e quello stop forzato era l’occasione per ascoltarsi e provare a cambiare. L’urgenza è esplosa un giorno di pioggia, quando per correre da un posto all’altro mi sono dimenticata dove avevo parcheggiato la macchina. Mi sono messa a piangere e ho capito che quello che facevo non mi rispecchiava più. Ho chiesto ai miei capi di poter registrare dall’estero e ho parlato col padre di mio figlio. Poi ho venduto tutto, la casa, l’auto, i vestiti, e sono partita».

Timo quanti anni aveva?

«13. Gli ho detto. “Amore, fidati della mamma. Cambierai città, amici, tutto. Ma vedrai che sarà bello”. Appena a Malmö ho scelto una casa vicino a uno skatepark perché lui fosse felice e siamo ripartiti da zero. All’inizio abbiamo abitato in un appartamento minuscolo poi, quando il padrone di casa googlando su Internet ha capito che non ero la speaker di una piccola rete online che pensava ma una professionista con migliaia di ascoltatori, mi ha segnalato alla stampa locale e grazie alla visibilità sono riuscita ad avere una di quelle meravigliose case che sognavo, di fronte all’oceano».

Come mai proprio il Nord Europa?

«Avevo voglia di perdermi totalmente in un Paese dove non conoscevo nessuno e non capivo la lingua per trovarmi a un livello più profondo».

E cosa è successo?

«Ho iniziato ad ascoltare il mio corpo. Purtroppo non siamo abituati a farlo, perché la nostra cultura glorifica solo la testa. Io ho cambiato il mio mindset, calandomi nella cultura locale e dentro me stessa. Ho imparato persino a immergermi nell’acqua gelida tutte le mattine».

Humans: reimparare a vivere, insieme

Caftano originale afgano Madame Pauline Vintage. Gilet con ricami foreali Kiabi. Pantaloni animalier Dolce & Gabbana by Archivio Loiacono. Sandali Pollini. Collana Madame Pauline Vintage.

Non sei più la signora del rock?

«Lo sono più di prima, ma in modo diverso. Ancora faccio le mie registrazioni per Virgin Radio dalla lavanderia di casa e intervisto i grandi musicisti, ma ho anche aperto una piattaforma che si chiama Humans, in cui insegno alle persone a non fare niente».

Cosa vuol dire “non fare niente”?

«Vuol dire tornare alla nostra essenza. Oggi, soprattutto in Italia, veniamo valutati per ciò che facciamo, non per ciò che siamo. Per questo siamo infelici. Non cresciamo come esseri umani».

È solo online?

«No, organizzo anche incontri in presenza. Invito esperti a parlare, mentre io porto la mia esperienza. Perché non voglio che altre donne soffrano come me. Ci ho messo tanto a scopri il mio corpo, la sessualità, contrastando una cultura che ci vuole trasparenti dopo una certa età. Ma perché io mi devo sentire vecchia e Lenny Kravitz no? Quindi iniziato a studiare il Tantra, a parlare con donne più evolute di me perché mi indicassero la strada».

E l’hai trovata?

«Un po’ alla volta. Nessuno ci insegna a mangiare, respirare, fare l’amore con coscienza. Eppure sono le tre cose fondamentali che accomunano gli esseri umani. Le prime due le ho imparate con la macrobiotica e la meditazione. Mi mancava la terza. Ci sono arrivata piano piano, decolonizzando la mia testa. Bisogna tornare alla saggezza del corpo per liberarci dai condizionamenti e ricominciare a “sentire”».

Paola Maugeri: abbandoniamo l’ageismo

Si può vincere l’ageismo?

«Sì, se non abbiamo paura di vivere nel nostro tempo e di usare le parole. Perché ci dobbiamo vergognare di dire che siamo in menopausa? Perché la viviamo come la fine di qualcosa e non come un inizio? Si può essere fertili in tanti modi e vivere questo passaggio come un risveglio. Un’opportunità per portare fuori la nostra parte più autentica».

La Svezia in questo è più avanti?

«Sì. Da noi sono tutte ossessionate dal corpo perfetto. Lì hanno queste saune antichissime dove si mettono a nudo. La prima volta che ci sono andata e ho visto donne dai 50 ai 70, mi sono detta: ma chi sono questa fighe pazzesche? Avevo bisogno di stare con persone della mia età e vedere come sono veramente. Quanto sono a loro agio con se stesse anche se portano i segni del tempo. Le cicatrici sono come le linee dorate del Kintsugi».

Ti piaci di più?

«Mi amo come non mai. Vedere questi corpi normali, non artefatti, mi ha guarito. Ho anche fatto delle campagne di intimo con due brand svedesi che non fanno uso di Photoshop. Sono una donna normale di 56 anni, con uno sbrego da cesareo sulla pancia, ma sono io, non mento».

E il sesso?

«Una scoperta. Abbiamo offerto i nostri migliori orgasmi a uomini che non li meritavano. Adesso è arrivato il momento di riappropriarci di una sessualità più libera e consapevole».

Anche in menopausa?

«Soprattutto in menopausa. È in questo momento della vita che le donne possono sperimentare i loro orgasmi più strepitosi, proprio perché non c’è più il timore di restare incinte e ci si può rilassare completamente».

Era necessario lasciare la tua casa per scoprire tutto questo?

«Dovevo cambiare la terra per rifiorire. Perché non si può guarire nello stesso posto in cui ti ammali. Se ripenso alla Paola di ieri, la vorrei abbracciare, sembrava forte e invece era insicura. Ricordo che ero sempre abbottonata, con abiti maschili, avevo bisogno di nascondere la mia femminilità per risultare credibile. Oggi so che si può essere scollate e competenti. Lenny Kravitz docet».

Paola Maugeri: il bilancio

E sei felice?

«Sì. Ho chiuso tante porte nella mia vita. Ora che mi concedo il lusso di sperimentare, le riapro e lascio entrare il gioco, la leggerezza».

Hai qualche rimpianto?

«Ci sono due cose di cui ancora mi chiedo: ma perché? La prima: vado a incontrare gli U2 a Dublino. Tempi di MTV, suite di prima classe, tutto super rock’n’roll. Finita l’intervista, mi invitano a cena e poi a una festa. Dico di no».

Perché?

«Dovevo andare a dormire… Erano gli anni in cui ancora seguivo solo la testa».

E la seconda?

«Peggio. Milano, intervista a Chris Martin. Lo porto in una milonga a ballare il tango. Lui mi propone di continuare la serata insieme. Dico che non posso. E dove dovevo andare?»

Non lo voglio sapere…

«Maria Elena, gli ho detto che dovevo portare fuori il cane!».

La nostra nuova serie podcast

Cambiare vita richiede coraggio, ma spesso è l’unico modo per ritrovare la propria strada e “ritrovarsi”. Come racconta Paola Maugeri, protagonista del primo episodio della nostra nuova serie podcast Svolte. Donne che hanno preso in mano la loro vita. Testimonianze fortissime di scelte e di rinascite. La prima puntata è su donnamoderna.com da giovedì 20 giugno e sulle piattaforme audio Apple Podcasts, Deezer, Google, iHeartRadio, Spotify, Spreaker. Le altre tre, realizzate in collaborazione con Jeep, usciranno il 24, 25 e 26 giugno. Stay tuned!

L’intervista completa a Paola Maugeri