Matteo Paolillo è a suo agio nella splendida cornice del Tigullio come nella Napoli cruda che ci ha mostrato in Mare Fuori. E oggi che i suoi giorni nei panni di Edoardo sono finiti, non ha paura del domani: «Il nostro lavoro è fatto di alti e bassi, e chi cerca solo la fama se ne stanca velocemente», racconta sereno. Il suo nuovo singolo, Sotto Pelle, è appena uscito, e a breve tornerà sia al cinema che sui palchi d’Italia: classe 1995, prima di cominciare a ottenere successi si è costruito studiando la tecnica, collezionando la giusta quantità di “No” e porte chiuse in faccia, e innamorandosi persino della fatica. Perché le grandi opere, come i grandi attori, richiedono tempo e passione. E lui, come ci ha raccontato in quest’intervista, sa di voler andare non solo avanti, ma lontano.
Intervista a Matteo Paolillo, protagonista del Riviera Film Festival

Il Riviera International Film Festival è dedicato al cinema, ma soprattutto ai giovani che sognano di farlo. Tu hai sempre desiderato recitare o è capitato?
«L’ho sempre sognato, ma ho fatto tutto un passo alla volta. A tredici anni ho cominciato con il teatro, mi sono appassionato sempre di più alla recitazione. E a diciassette anni non ho avuto dubbi: dopo il liceo volevo trasferirmi a Roma per studiare. Dopo tre tentativi sono riuscito a entrare al Centro Sperimentale di Cinematografia. Nel frattempo sono entrato in una compagnia teatrale e al terzo anno degli studi è arrivato Mare Fuori».
Quanto è stata importante la formazione?
«Direi che è stata fondamentale. Oggi, non solo nel mondo della recitazione, spesso si arriva al successo a un’età molto giovane. Ma così si rischia di perdere la capacità di mettersi in discussione e il desiderio di imparare.
Io mi sento fortunato per aver avuto la possibilità di studiare e ottenere gradualmente quello che ho oggi. Avere una formazione determina la solidità di una carriera».
Matteo Paolillo: così è arrivata la musica

E la musica come è entrata nella tua vita?
«Avevo circa tredici anni quando ho iniziato ad ascoltare Eminem e altri rapper italiani. In realtà è arrivata per divertimento durante un’autogestione a scuola in cui ci siamo dati al freestyle. Ma a scrivere ho iniziato qualche anno dopo, quindi rispetto a chi fa rap ero più grande. Però il piacere della scrittura è rimasto uno sfogo personale, magari durante le tournée a teatro. Le mie cose poi le facevo ascoltare per gioco alla compagnia, finché non ho scritto ‘O Mar For che è diventata la sigla di Mare Fuori e la musica è diventata il mio secondo lavoro».
Ti viene naturale pensarti sia attore sia musicista?
«Sì perché faccio quello che sento. Spesso durante la giornata mi vengono in mente idee per delle canzoni, dei pensieri sulla recitazione o sull’essere umano. A volte anche delle melodie: è come una voce nella testa che posso controllare».
E dopo il successo che hai avuto con ‘O Mar For hai avuto paura di scrivere i brani successivi?
«In realtà no perché i brani successivi mi sono stati commissionati con la richiesta specifica di affrontare alcune tematiche come la violenza. Questo mi ha fatto crescere come autore».
Il cinema, nel bene e nel male, ma sempre con amore

E per il futuro ti piacerebbe lavorare nel cinema indipendente o dietro la cinepresa?
«Per me la cosa più importante è lavorare su storie che mi appassionano e che mi muovono qualcosa dentro. Perché se accade dentro di me è più facile che succeda anche per il pubblico. Alla fine però credo ad avere successo siano spesso i racconti più inaspettati, come nel caso di Mare Fuori. Per questo credo che i film indipendenti possano emozionare anche di più di pellicole che non lo sono, quindi sì ne farei volentieri. Invece, dietro la macchina da presa mi ci vedo, ma non adesso, perché per il momento preferisco stare davanti».
E questo mondo come lo vivi?
«Sto lontano dalle cose che non mi piacciono e mi tengo stretto quelle che mi appassionano e mi ricordano ogni giorno perché faccio questo lavoro».
E ai giovani che sognano di fare il tuo stesso mestiere cosa vorresti dire?
«Di domandarsi davvero perché vogliono farlo. Se la risposta è per i soldi e il successo è meglio lasciar perdere perché questa carriera può essere anche altalenante, quindi è meglio farlo per scoprire se stessi o delle belle storie. Per una carriera lunga ci vuole molto sacrificio».