«Ogni pagina ricompone l’amore, ogni pagina ripercorre l’orrore, questa è la mia vendetta per te». È la dedica struggente di Roberto Saviano per Rossella, protagonista del suo ultimo romanzo L’amore mio non muore (Einaudi). Il libro parte dall’incontro, alla fine degli anni ’70, tra Rossella Casini, studentessa fiorentina, e Francesco Frisina, studente calabrese fuori sede, suo vicino di casa. I due si innamorano, ma il destino li bracca: lui è costretto a lasciare Firenze e a tornare in Calabria, per vendicare l’assassinio di suo padre. Quando Rossella viene a sapere che la famiglia di Francesco è legata alla ’ndrangheta, non si perde d’animo, convinta che l’amore possa cambiare il loro destino.
Una storia vera dietro il nuovo libro di Roberto Saviano
Butta il cuore oltre l’ostacolo e si avventura in una vicenda più grande di lei: una faida familiare violenta, in cui l’amore si rivela un’arma a doppio taglio. Il 22 febbraio del 1981 Rossella scompare, dopo aver cercato di convincere Francesco a collaborare con la giustizia. Il suo corpo, secondo i pentiti, è stato stuprato, fatto a pezzi e buttato in mare. Nessuno saprà mai con certezza che fine ha fatto Rossella, nessuno sarà mai condannato per quel delitto. Per questo Roberto Saviano, l’autore bestseller di Gomorra, ZeroZeroZero, La paranza dei bambini, ha voluto raccontare la sua storia. E lo sta facendo anche a teatro, portando in tour lo spettacolo tratto da L’amore mio non muore. Prossime tappe: il 4 giugno al Politeama Genovese, a Genova; il 9 all’Auditorium Conciliazione, a Roma; il 14 ottobre al Teatro Augusteo, a Napoli.
Perché raccontare la storia di Rossella?
«Nelle mie ricerche legate alle donne che si sono opposte al potere criminale, incontro la storia d’amore più potente in cui mi sia imbattuto. Vengo travolto, perché racchiude ingenuità e slancio, devozione e ossessione. Mi domando: “Io sarei disposto a vivere l’amore con questo coraggio?”. Per Rossella la certezza che nell’amare risieda l’unica possibilità di verità e senso non viene mai meno. L’amore suo non muore».
Chi era Rossella Casini
Rossella era più ingenua o più spavalda?
«Era un po’ hippie e un po’ Giovanna d’Arco. Ingenua negli slanci, coraggiosa oltre la ragionevolezza. Rinuncia all’università e alla famiglia per vivere nella terra maledetta di lui. Arriva a parlare con un pericoloso boss, per chiedere di sospendere una sanguinosa faida. Io sono stato attratto come un magnete dal suo trasformarsi in nome dell’amore: il pericolo le era chiaro già dal primo morto ammazzato, ma lei vuole fidarsi, ogni volta investe in una possibilità, rivendica il diritto all’innamoramento. Non vuole che si spenga la fiamma e, fatalmente, darà fiducia a Francesco fino alla fine».
La sua vicenda conferma che coraggio e idealismo non pagano?
«Nella storia del mondo coraggio e ideali non hanno mai pagato. Francesco, pur amando Rossella, non ha il coraggio di denunciare, di interrompere il codice familiare che lo condanna. La sua è una scelta codarda, gli atti giudiziari su cui si basa il libro dimostrano il tradimento: abbandona Rossella alla condanna finale, perché lui e la sua famiglia ritengono che “sia stata macchiata la loro onorabilità”. Un po’ come la mia storia: ho denunciato, credendo di fare del bene, e sono stato attaccato io. Oggi posso dire che non ne vale la pena».
Perché Rossella è morta più volte
Al termine del libro ipotizza tre finali possibili.
«Nella prima, il cognato di Francesco dice che Rossella ha incontrato un giapponese ed è scappata con lui. Nella seconda, la sorella di Francesco dice di aver accompagnato Rossella in stazione, perché voleva tornare dai genitori. Ma è la terza ipotesi quella definita dai giudici “ampiamente credibile”, confermata dal pentito Vincenzino il Palermitano. Rossella sarebbe uscita viva dal rifugio del boss Francuzzo Condello, si sarebbe incamminata nel bosco dove due uomini l’avrebbero stuprata e fatta a pezzi, con il benestare dei familiari di Francesco. Il paradosso è che i giudici sono sicuri, anche perché le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sono coerenti, ma assolvono gli imputati per mancanza di prove. Tutti si aspettavano un ricorso in appello, ma, guarda caso, non è stato presentato entro i termini di legge e, quindi, i colpevoli sono tutti liberi».
Quindi Rossella è morta più volte…
«Esatto. Non si sono limitati a distruggerla, doveva scomparire. Altra cosa che l’ha fatta morire più volte è il ritardo nel ricorso: ormai sono cinico, non mi fa impressione che le cose in Italia non si risolvano mai. Il processo che mi riguarda, sul boss Bidognetti che mi ha minacciato di morte, dura da 16 anni. Spesso la politica dichiara di voler combattere le mafie, ma non lo fa davvero, sarebbero troppe le “economie” coinvolte».

Roberto Saviano e il nuovo libro: «Vivo una vita presidiata»
Ha detto: «Il periodo è difficile, sento di aver sbagliato tutto».
«A 26 anni sono stato minacciato di morte. In altri Paesi chi denuncia è un esempio da imitare, in Italia è un simbolo da distruggere. Sento lo spreco della mia vita. Mi arriva in momenti banali, quando mi viene voglia di fare un giro in moto, una passeggiata col sole, di ubriacarmi con gli amici e barcollare per strada. Sento lo spreco e la colpa: la mia famiglia è stata costretta a trasferirsi al Nord, dove non si è radicata. Di recente si è spenta mia zia e, in quella città, non c’era nessuno al funerale, solo io, mia madre e mio fratello. Una tristezza infinita».
E in amore cosa le manca?
«Avendo vissuto sempre in cattività, sono diffidente verso il sentimento. Quando qualcuno si avvicina, penso che mi voglia fregare. Ciò che mi manca è semplice nella complessità: quando ti devi sempre nascondere, finisce ogni tipo di spontaneità. Io sono stato maciullato dalle scelte della mia vita: scrivere questo romanzo sull’amore mi ha fatto sanguinare. Scrivere mi maciulla, ma è quello che sento di dover fare e sono fedele a questa consegna, anche se mi sto svuotando. Non ho una vita pubblica e una vita privata, tutto è consumato da una vita presidiata e oggi mi dico che è anche colpa mia se non mi sono saputo dare delle strade nuove».
Il libro di Roberto Saviano è anche un tour teatrale
Sta portando quest’ultimo romanzo a teatro.
Come costruisce gli spettacoli, che sono anche lezioni di educazione civica per giovani e adulti? «Metto insieme le strade che mi hanno portato al romanzo. Metto in scena tutta l’officina: ispirazioni, personaggi e letture che ho fatto per arrivarci, quello che sta dietro e oltre la storia. Stavolta porto sul palco la libertà di amare».
Nonostante tutto, l’amore suo per l’impegno non muore…
«Spesso penso di lasciare l’Italia e cambiare identità. Poi mi rendo conto che mi faccio guidare più di tutto dalla mia ambizione, quella di poter cambiare le cose, dall’ideale che è ragione di vita, indipendentemente dal risultato. Carlo Pisacane diceva: “Tutto dare, nulla aspettarsi”. Quindi l’amore mio non muore, o meglio, provo a non farlo morire».