Stefano Accorsi

Stefano Accorsi: «Io no che non m’annoio»

Ora il film 50 km all’ora, con Fabio De Luigi. Poi la serie Un amore, con Micaela Ramazzotti. Senza contare le decine di titoli che ci sono rimasti nella testa e nel cuore. Non c’è dubbio che sia uno stakanovista. E lui lo sa: «Sono un gran lavoratore. Ma con leggerezza»

Sarà quella sua voce inconfondibile, lievemente roca, che riconosci al volo. O la faccia da ragazzo della porta accanto, rimasta la stessa anche a 52 anni. Stefano Accorsi è uno di quegli attori che sembrano far parte dell’album di famiglia, oltre che della scena cinematografica italiana. È una sensazione sottopelle: sembra quasi di essere cresciuti insieme. Perché molti suoi film – da L’ultimo bacio di Gabriele Muccino a Le fate ignoranti e La dea fortuna di Ferzan Özpetek, da Fortunata di Sergio Castellitto a Veloce come il vento di Matteo Rovere – ci hanno fatto da specchio raccontando certe inquietudini sentimentali che ci accomunano, vite da reinventare dopo un amore finito, nuove famiglie allargate.

Lo stakanovista Stefano Accorsi

Lui stesso ha lasciato l’Italia per 10 anni, seguendo in Francia l’ex compagna Laetitia Casta (dalla quale ha avuto Orlando e Athena, 17 e 14 anni). Poi è tornato, si è risposato e reinventato. «Mi sono sempre buttato, mi viene naturale» racconta lui, che ora vive a Milano con la moglie, la modella Bianca Vitali (dalla quale ha avuto Lorenzo e Alberto, 6 e 3 anni). Diventato autore oltre che interprete, ha riletto la storia di Tangentopoli in 1992, che insieme a 1993 e 1994 forma una trilogia vista in molti Paesi del mondo (da noi on demand su Sky e Now). È talmente impegnato tra un set e l’altro che, come guest star in un episodio della serie Call my agent – Italia, lui stesso ironizza sul suo stakanovismo.

Accorsi e De Luigi nel film 50 km all’ora

A rallentarlo ci ha pensato Fabio De Luigi che dirige, oltre che interpretare, il film 50 km all’ora, nelle sale dal 4 gennaio. È la storia di due fratelli molto diversi – De Luigi sedentario e tradizionalista, Accorsi giramondo e spregiudicato – che si ritrovano alla morte del padre, dopo decenni di rancori, e decidono di portarne le ceneri al mare usando i loro vecchi motorini, ormai vintage, dal cuore dell’Emilia alla Riviera Romagnola. Tra battibecchi e rave party, serate nelle sagre e sgommate nei borghi. «Quello che scoprono non riguarda il percorso: ricuciono gli strappi, tornano a essere compagni di vita» anticipa Accorsi.

Stefano Accorsi e Fabio De Luigi
Stefano Accorsi con Fabio De Luigi nel film 50 km all’ora, al cinema dal 4 gennaio. Foto di Loris T. Zambelli

L’intervista a Stefano Accorsi

Il suo personaggio, Guido, è molto buffo nella sua arroganza. «Fa sorridere perché non è un uomo d’affari: fa il capo animatore sulle navi da crociera e ha dei problemi stravaganti da risolvere a distanza. È un uomo senza un porto, in fuga perenne dopo aver tagliato il cordone ombelicale con la famiglia».

Lei è bolognese, De Luigi è di Sant’Arcangelo di Romagna. Che effetto vi ha fatto attraversare le vostre terre con l’andamento “slow” di un motorino? Lui dice che il titolo poteva essere anche 50 km allora, senza apostrofo. «È stato molto piacevole, Fabio ha un tocco di grazia in questo genere di commedia e non escludo che l’intesa nasca anche dalle origini. Quando torno nella mia zona e recito nella mia “lingua”, com’è successo anche in Radiofreccia o in Veloce come il vento, sento davvero le radici sotto i piedi. Abbiamo scoperto posti molto belli, come il Monte Cimone, dove nessuno di noi due era mai stato. E poi quei vecchi motorini, con l’odore della miscela, mi hanno ricordato l’adolescenza».

Una strana “madeleine” proustiana. Dopo aver vissuto a Parigi e ora a Milano, cosa le manca della sua regione? «La capacità di godersi la vita. Di lavorare con il sorriso e la battuta. Milano mi piace perché guarda al mondo ma, come tutte le grandi città, ti mette addosso un’energia nervosa. Parigi è faticosa, sono molto formali, devi tenere la guardia alta: è tosta, anche se mi ha insegnato tanto. In Emilia c’è uno spirito ironico, di divertimento, che a volte permette di realizzare anche progetti apparentemente impossibili».

La serie Call my agent – Italia ironizza sul suo essere infaticabile e stakanovista, un po’ come Isabelle Huppert nella versione originale francese. Lo spirito leggero di cui parla le è rimasto? «Sono un grande lavoratore, sì, però mi diverto a creare progetti e a fare gruppo. Lo spirito degli emiliani è una caratteristica in ogni ambito. Si è visto durante l’alluvione: è anche un modo per non darla vinta alla cattiva sorte».

A Parigi torna solo per i figli, quindi? «In realtà il più grande, Orlando, vive con me a Milano. Athena comunque la vedo spesso».

Non è banale avere 4 figli: ha creduto e crede nella famiglia. «Non era una cosa che da giovane avrei immaginato di me. A una certa età sei concentrato sul lavoro, se mi avessero detto che avrei avuto tanti figli avrei fatto fatica a crederci. È successo, e oggi mi sembra naturale».

Sarebbe contento se seguissero le sue orme? «Il più grande ogni tanto lo dice e sembra convinto, ma ha 17 anni e deve prima finire il liceo. Gli altri sono ancora piccoli. Di sicuro non li fermerei, perché fare quello che ti appassiona è importante, ti accende un motore mentale. Oltretutto vedono me e conoscono bene anche il lato faticoso del mestiere, oltre al divertimento: il tempo passato lontano da famiglia e amici, le levatacce, le notti sul set. Cose che il pubblico percepisce e conosce poco».

Nei prossimi mesi su Sky e Now vedremo Un amore, serie tv che ha costruito con Micaela Ramazzotti. L’ideazione per lei è importante come la recitazione? «È un lavoro diverso e a me piace moltissimo partire da un’intuizione per creare un progetto. Ne ho altri in lavorazione. Ci tengo molto a raccontare storie, perché credo che siano importantissime per capire il mondo, le persone, le relazioni».

Stefano Accorsi con Micaela Ramazzotti nella serie Un amore, in arrivo nei prossimi mesi su Sky. Foto di Luisa Carcavale

Nel suo curriculum ci sono molti film memorabili per il pubblico. Se dovesse indicare un titolo che ha segnato una svolta per lei, quale sceglierebbe? «Sicuramente Radiofreccia di Luciano Ligabue. Avevo girato altri film, ma lì mi sono reso conto che stavo raccontando una generazione. È la storia emblematica di una giovinezza spezzata e per questo proiettata fuori dal tempo. Con Luciano ho girato anche Made in Italy e raccontato la sua carriera rock nella serie Ligabue – È andata così (su RaiPlay, ndr). Siamo diventati amici e, viste le origini, parliamo la stessa lingua».

I 50enni di oggi, come lei, in quale film o serie si rispecchiano? «Non è facile rispondere, ma i due fratelli di 50 km all’ora ripercorrono il passato con lo spirito del presente. Sentono che i loro ruoli non sono più monolitici come una volta. Che la figura di uomo e quella di padre sono tutte da reinventare».

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