Alzheimer sonno

Alzheimer: anche il sonno potrebbe incidere

Un nuovo studio rafforzerebbe il nesso tra il rischio della malattia e il numero di ore dormite. Ecco perché

Fino a 4 casi su 10 di demenza previsti a livello globale entro il 2050 potrebbero essere ritardati o addirittura evitati. Come indica una ricerca pubblicata su Lancet, basterebbe intervenire sui principali fattori di rischio. In Italia, dove ci sono 1.480.000 persone con demenza, vorrebbe dire fermare o rallentare l’insorgere dell’Alzheimer più di 900.000. Ma al momento non esistono terapie in grado di risolvere in modo decisivo la patologia. La ricerca, però, sta compiendo sempre nuovi passi avanti. Ora uno studio condotto in Cina ha attirato l’attenzione dei ricercatori. Emerge il ruolo protettivo di proteina (la pleiotropina, PTN), che diminuisce con la privazione del sonno.

Lo studio: il ruolo del sonno nell’Alzheimer

Il lavoro è stato condotto in laboratorio su alcuni roditori da un team della Binzhou Medical University in collaborazione con ricercatori svedesi. Indicherebbe come la mancanza di quantità sufficiente di sonno possa portare a danni cerebrali a livello dell’ippocampo, cioè la zona del cervello coinvolta nell’apprendimento e nella memoria. I ricercatori hanno trattato gli animali inducendo loro insonnia. Dopo due giorni hanno analizzato la capacità di orientarsi in un labirinto e di imparare a riconoscere oggetti nuovi. Andando a verificare le proteine presenti nell’ippocampo dei roditori, hanno anche osservato una diminuzione della proteina PTN, già nota per essere implicata nella malattia di Alzheimer e in altre malattie neurodegenerative. La conclusione del team cinese, dunque, sarebbe chi non dorme a sufficienza e con un sonno di qualità avrebbe un maggiore rischio a lungo termine di andare incontro a patologie neurologiche.

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La mancanza di sonno e le conseguenze sul cervello

«Questo studio specifico va preso con prudenza, perché da solo non è sufficiente a poter affermare che poco o cattivo sonno siano una causa o concausa dell’Alzheimer. Va detto, però, che la proteina PTN è conosciuta da tempo ed era apparsa su una importante rivista di Gerontologia già nel 1976. E questo studio aggiunge un tassello importante per capire il fenomeno del deterioramento cognitivo che può portare alla demenza, di cui l’Alzheimer è la malattia maggioritaria», spiega Mauro Colombo, ricercatore in Gerontologia clinica presso la Fondazione Golgi Cenci di Abbiategrasso (MI), segretario e consigliere per la sezione lombarda della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria. Ma perché è così importante il sonno?

Il sonno come possibile “campanello d’allarme”

«Il sonno serve a “depurare” il cervello dalle proteine tossiche. È anche noto che la deprivazione di sonno è coinvolta nei processi di neuro-infiammazione e porta a un aumento di ormoni dello stress come il cortisolo. Molti studi hanno dimostrato come l’aumento del cortisolo sia tossico se è cronico e protratto nel tempo. Nel caso specifico dell’Alzheimer, molto studi hanno mostrato un nesso tra la durata del sonno e l’accumulo della proteina Beta Amiloide (ritenuta causa dell’Alzheimer) nelle regioni cerebrali più coinvolte nella memoria». Spiega Colombo, che è anche consigliere dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, editore associato di Gerontechnology e revisore per Aging Clinical Experimental Research.

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Attenzione anche al “troppo sonno”

Va però fatta attenzione a un fenomeno molto frequente in gerontologia e in biologia, ossia la curva a U o a U invertita (Ո), tra la quantità del sonno notturno e le prestazioni cognitive come memoria, orientamento, capacità di esecuzione di compiti, ecc.: in pratica spesso accade che anche un eccesso di sonno sia legato alla malattia di Alzheimer, diventandone spia e nello stesso tempo concausa. «Un altro studio cinese, condotto su oltre 4000 anziani cinesi seguiti per 10 anni ha indicato come, rispetto ai partecipanti che hanno mantenuto livelli intermedi e stabili di sonno (circa 7,5 ore al giorno), le persone che sono rimaste brevi-dormienti (meno di 6 ore al giorno) hanno avuto molto meno probabilità (1/3) di andare incontro ad un declino cognitivo rapido, mentre quelle “lungo-dormienti” (che partivano da 8,5 ore al giorno, per poi aumentarle, nel tempo) avevano più del doppio delle probabilità di sviluppare un declino cognitivo lieve». Le possibili spiegazioni stanno nel fatto che «è nota una relazione tra disturbi del sonno (per esempio, sindrome delle apnee notturne) e declino cognitivo. Ci potrebbe anche essere una maggiore difficoltà nella rimozione della proteina Beta amiloide durante il sonno, ostacolata da una prolungata posizione sdraiata, per motivi “idraulici”», spiega Colombo, riferendosi alla posizione da sdraiati.

Gli altri fattori di rischio: lo stile di vita

«Il sonno, quindi, è certamente una componente importante del nostro stile di vita, la cui quantità e qualità può influire a lungo andare sulle capacità e funzioni cognitive, ma non è l’unico. Va anzi detto che il sonno non rientra tra i fattori modificabili, ufficialmente dichiarati dalla “Commissione Lancet” periodicamente aggiornata. Quelli indicati per le demenze in generale sono 12 fattori, suddivisi a seconda delle fasi della vita. Se fosse possibile eliminarli tutti, si potrebbe ridurre la prevalenza della demenza del 40 %», spiega Colombo. I fattori sono la scarsa istruzione in gioventù (7 %); nell’età di mezzo la perdita di udito (8 %), traumi cranici (3 %), ipertensione arteriosa (2 %), consumo eccessivo di alcol (1 %)} e obesità (1 %). Infine, in età avanzata giocano un ruolo maggiore il fumo (5 %), la depressione (4 %), l’isolamento sociale (4 %), la sedentarietà (2 %), l’inquinamento atmosferico (2 %) e il diabete (1 %).

Quali cure contro l’Alzheimer oggi

Oggi le terapie ci sono principalmente di due tipi: i farmaci sintomatici e i cosiddetti “modificatori della malattia”. «I primi sono ormai adoperati da 25 anni e comprendono il Donepezil (autorizzato al commercio in Italia dal settembre 1997) per le fasi lievi – moderate; la Rivastigmina (fasi moderate) e la Memantina (fasi moderata e severa). Va detto che ne conosciamo potenzialità e limiti: hanno un’efficacia modesta e solo sui pazienti rispondenti», spiega Colombo. «I farmaci “modificatori della malattia”, invece, comprendono i vari anticorpi monoclonali che si stanno affacciando sul mercato: sono concepiti per le fasi precoci, ma ci sono opinioni contrastanti sulla efficacia clinica e sul rapporto costi/benefici».

Alzheimer: la prevenzione e la resilienza

A cavallo tra prevenzione e terapia, però, «ci sono gli interventi non-farmacologici volti ad accrescere la “resilienza” alle malattie che hanno a che fare con la demenza. Proprio in occasione della Giornata Mondiale Alzheimer, del 21 settembre, la Federazione Alzheimer Italia e Alzheimer Milano ODV hanno organizzato la proiezione all’Anteo di Milano di Keys, bags, names, words. Ricordi e demenza: storie di speranza, un docufilm che racconta la forza e la speranza oltre la demenza e l’Alzheimer, attraverso ritratti intimi e coinvolgenti di persone con demenza e loro familiari, e le esperienze di medici e scienziati, artisti ed esperti di politica. L’ingresso è gratuito fino a esaurimento posti (per prenotare: [email protected]; 02 809767), al termine della proiezione ci sarà un dialogo con il pubblico.

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