Mentre leggete, in Italia circa ottomila persone sono in attesa di un organo per un trapianto. Tre quarti attendono un rene, il più richiesto, seguito da fegato, cuore, polmone e pancreas. Si tratta di persone di ogni età, anche bambini, che vivono in standby, in attesa di una telefonata che salvi loro la vita (il trapianto è l’ultima possibilità quando le altre terapie non funzionano più). «Il nostro Paese ha una grande capacità di donazione, eppure ogni anno riusciamo a soddisfare solo il 35% delle richieste e, in media, si possono aspettare tre anni per un rene» dice il dottor Giuseppe Feltrin, direttore del Centro Nazionale Trapianti. Questo squilibrio tra domanda e offerta rischia di aggravarsi ulteriormente, a causa del rifiuto che sempre più italiani oppongono in Comune quando rinnovano la carta d’identità: 4 su 10 dicono sì alla donazione ma, tra i rimanenti, 2 si dichiarano contrari e 4 non si esprimono, delegando la decisione ai familiari in caso di decesso.
Le bufale sulle donazioni di organi
All’origine di questa (crescente) diffidenza c’è la scarsa informazione, alimentata da bufale che continuano a circolare. Due particolarmente radicate: quella secondo cui «se dico sì alla donazione i medici non mi curano» e l’altra che paventa il rischio addirittura di risvegliarsi durante il prelievo. «Ovviamente sono false entrambe» insiste Feltrin. «Il nostro lavoro consiste nel curare tutti i malati e quando un paziente muore è un fallimento». Inoltre, nessun medico in ospedale sa in anticipo se un paziente potrà effettivamente donare o no, perché la decisione viene presa dopo la morte. «L’accertamento di questa è una precondizione assoluta per procedere: lo scriva a caratteri cubitali, per favore» aggiunge con forza l’esperto. Il dottor Feltrin è particolarmente rammaricato perché, negli ultimi anni, l’Italia stava registrando una tendenza molto positiva in quest’ambito, rientrando tra le prime tre grandi nazioni in Europa per numero di donazioni dopo Spagna, record nel mondo, e Francia. «Siamo fieri di far parte di questo Olimpo di generosità e competenza tecnica, che speriamo non venga compromesso in futuro» continua il medico.
Come si procede con le donazioni di organi
Nel nostro Paese c’è stata una crescita della donazione “a cuore fermo” (+30% tra il 2023 e il 2024), che si distingue da quella più classica a cuore battente perché gli organi vengono prelevati dopo la cessazione irreversibile dell’attività cardiaca (che in entrambi i casi deve avvenire in ospedale).
In Italia la legge stabilisce che debbano trascorrere almeno venti minuti dall’arresto cardiaco prima che si possa certificare la morte per procedere alla donazione
Rassicura lo specialista. «È un tempo molto lungo: in Europa si parla di soli cinque minuti». Per questo tipo di donazione – che, come l’altra, può avvenire solo se in vita il paziente aveva espresso il consenso alla donazione o, in assenza di dichiarazione formale, se la famiglia acconsente – spesso si utilizzano macchine di perfusione extracorporee che riescono addirittura a migliorare la salute degli organi prelevati.
Come avviene la diagnosi di morte
In caso invece di diagnosi di morte con criterio neurologico, volgarmente detta cerebrale, ma che è totale e non riguarda solo una parte del corpo, da noi è necessario il parere di tre medici diversi, i quali effettuano accertamenti e, solo se tutti e tre concordano, viene dichiarata la morte. «Nessun altro paese prevede una verifica così rigorosa» conferma Feltrin. In questa situazione la donazione avviene “a cuore battente”, il battito in pratica viene mantenuto attivo in modo artificiale solo per il tempo necessario all’espianto, prima del quale vengono effettuati ulteriori test, consultati specialisti e, qualora gli organi (fino a 7) risultino idonei, i centri si attivano. La donazione a cuore battente richiede 10–12 ore, quella a cuore fermo avviene in brevissimo tempo.
I criteri per decidere
In genere si cerca una corrispondenza anagrafica tra donatore e ricevente, ma i criteri guida restano l’urgenza e la compatibilità (come il gruppo sanguigno). Un donatore può aiutare più riceventi e i centri di trapianto continuano a seguire i pazienti per sempre, riuscendo a intercettare per tempo eventuali problemi di rigetto e, soprattutto, facendo sì che seguano uno stile di vita adeguato e aderiscano alla terapia. I trapiantati ricevono inoltre un supporto psicologico, sia prima sia dopo l’intervento, insieme alle loro famiglie.
La legge prevede l’anonimato sulle donazioni di organi
Ed è proprio per tutelare anche l’aspetto psicologico che la legge prevede l’anonimato tra donatore e ricevente. «Protegge entrambe le parti per esempio da pressioni emotive e aspettative. Anche se oggi, tramite web, molti cercano – e spesso trovano – persone con “parti” dei loro cari o, nel caso di coloro che hanno ricevuto un organo, i familiari del loro “angelo”. In ogni caso» conclude il dottor Feltrin «ogni percorso dovrebbe essere guidato. Perché ogni donazione parte da una perdita e non deve trasformarsi in un ulteriore trauma, ma solo in un gesto che fa bene».
Chi può donare
Tutti possono diventare donatori, a ogni età. Persone anziane o con patologie pregresse possono essere valutate idonee, in base alle condizioni degli organi al momento della morte. In Italia ha donato persino un ultracentenario!
Quali sono gli organi che si possono donare dopo la morte
Organi, come cuore, polmoni, fegato, reni, pancreas, intestino; tessuti quali cornee, cute, valvole cardiache, tendini, ossa.
Cosa si può donare da vivi
Un rene, parte del fegato, cellule staminali del midollo osseo (fino a 35 anni), sangue e plasma.
Come si esprime la propria volontà a donare gli organi
Al momento del rilascio o rinnovo della carta d’identità; iscrivendosi all’associazione donatori di organi AIDO; con una dichiarazione scritta da conservare tra i documenti o parlandone con i familiari che saranno chiamati in causa in caso di mancata espressione.
Storie vere di donazioni di organi
Ilaria: «Mio fratello è morto ma ha vinto la vita»
«Gabriele aveva 38 anni, era pieno di vita e di progetti. Un giorno, nel 2018, è uscito di casa e non è più tornato. È rimasto vittima di un incidente e le sue condizioni sono apparse subito critiche. Quando è entrato in stato di morte cerebrale, dopo sei ore di protocolli scrupolosi, ci hanno posto la domanda: “Volete donare gli organi?”. Io, mia madre, mio padre e l’altro fratello conoscevamo l’argomento, certo. Ma in quel momento non eravamo pronti a rispondere. Ci siamo fatti forza, insieme, e abbiamo detto “sì”: Gabriele avrebbe voluto lo stesso. Lui era sensibile, generoso, attento ai bisogni degli altri. E anche se sì in quel momento voleva dire lasciarlo andare, smettere di sperare, riuscivamo a vedere una luce in mezzo a quel dolore. Il tempo per decidere per noi parenti è stato poco, per questo sarebbe importante informarsi prima e esprimere la propria volontà con consapevolezza: non dire “no” solo per paura. Di Gabriele sono stati donati il cuore, i polmoni, il fegato, i reni, le cornee e tessuti come il derma, utili per pazienti con ustioni gravi. Per legge non è consentito conoscere l’identità dei riceventi, e io lo condivido.
Però quando incontro chi ha beneficiato di un trapianto penso sempre: “E se fosse lei? E se fosse lui?”
Gabriele non vive nelle persone che hanno ricevuto i suoi organi, ma a loro ha donato una gioia immensa. Ed è per questo che mi rimane una bella sensazione: quel giorno, in ospedale, non ha vinto la morte, ha vinto la vita».
Claudia: «Quel donatore mi ha ridato un futuro»
«Oggi ho 21 anni e ne avevo solo 11 quando sono entrata per la prima volta in dialisi al Bambin Gesù di Roma, per un’insufficienza renale cronica. A parte gli aghi, il dolore fisico era sopportabile, ma a livello psicologico era dura: la dialisi non è una paura da superare una volta sola, è un percorso che ti cambia la vita, soprattutto a quell’età. Devi stare attenta a quanta acqua bevi, non puoi toccare certi cibi come nutella o patatine, nessuna gita o campi scuola. In più ti svuota fisicamente: dopo ogni seduta, non riuscivo neanche a studiare. E ho dovuto smettere di fare sport. Ho passato cinque anni così: tre volte a settimana, quattro ore a seduta. In lista di attesa per un trapianto ci sono entrata subito, perché i miei genitori non erano risultati idonei (il rene permette la donazione da vivente, ndr).
Negli anni ho ricevuto tre chiamate: alla prima ero solo “riserva”, le ultime sono arrivate in due sere di fila! La mattina ho fatto l’ultima dialisi, il pomeriggio l’intervento e, al risveglio, la dottoressa mi ha detto: “Claudia, va tutto bene”
Ero così felice! Il trapianto è avvenuto a novembre 2019, a marzo 2020 è scoppiata la pandemia e, in casa, ho avuto tempo di recuperare energia (ride, ndr). Dopo il Covid ho ricominciato subito a fare sport e oggi studio Scienze Motorie all’Università, perché un domani mi piacerebbe allenare gli atleti paralimpici. Mia madre ha fatto ricerche online e oggi noi sappiamo chi è il mio donatore: certo che ci penso e la mia gratitudine è immensa, ma abbiamo scelto di non contattare la famiglia. Lo facciamo per rispetto del loro dolore».
Si può offrire il proprio corpo alla scienza
A cinque anni dalla Legge Sileri (n. 10/2020), oltre 50 persone in Italia hanno scelto di donare il proprio corpo alla scienza. Un gesto altruista, ma anche un atto etico e civile che contribuisce alla formazione dei medici e al progresso della chirurgia, e che richiede consapevolezza e informazione. La legge, operativa dal 2023 grazie al relativo decreto attuativo, prevede che ogni cittadino maggiorenne esprima la propria volontà tramite scrittura privata autenticata o atto notarile, da registrare presso l’Azienda sanitaria locale. Nonostante l’aumento delle manifestazioni di interesse, però, restano alcune differenze territoriali, oltre a ostacoli organizzativi e scarsa informazione. Se n’è parlato nel convegno “Donazione di corpo post-mortem: quando la generosità si fa scienza”, organizzato a Sesto San Giovanni (MI) dall’IRCCS MultiMedica, con il patrocinio dell’Università degli Studi di Milano e di SIAI – Società Italiana di Anatomia e Istologia, che ha riunito per la prima volta tutti i 10 Centri italiani accreditati. Prima della legge, la dissezione anatomica e la sperimentazione di tecniche chirurgiche su cadavere era quasi impossibile nel nostro Paese e gli specialisti andavano all’estero per formarsi. Oggi la situazione è cambiata ma è essenziale che la decisione di offrire le proprie spoglie alla scienza sia frutto di una scelta libera e consapevole. Per questo il ministero della Salute ha lanciato la campagna di sensibilizzazione “Da parte mia”, per diffondere una cultura della donazione simile a quella già maturata per sangue e organi. Puoi informarti su: www.dapartemia.it