Blandina Bobson

Blandina Bobson: più diritti per tutte

Cosa siano le ingiustizie, lo sa bene. Visto che è cresciuta in un contesto poverissimo del Kenya. E, come donna, ne ha vissute parecchie. Forse è anche per questo che, una volta diventata direttrice dei programmi di Oxfam del suo Paese, Blandina Bobson cerca di abbatterle

«Se svolgo questo lavoro è perché ci sono persone che hanno creduto in me, hanno visto del potenziale e investito sulle mie capacità. È proprio ciò che cerco di fare con questo progetto, che ora mi dà l’opportunità di offrire un riscatto per tante altre donne vulnerabili del mio Paese, sostenendole e aiutandole a supportare, a loro volta, altre donne». Nata in una delle contee più emarginate, del Kenya, cresciuta in un contesto poverissimo, tra siccità, inondazioni ed epidemie, allevata dopo la separazione dei suoi dal padre, scomparso quando lei aveva 15 anni, Blandina Ijecha Bobson, che per crescere e studiare ha beneficiato di aiuti umanitari, è ora la direttrice dei programmi di Oxfam nel suo Paese. Alle spalle ha oltre 15 anni di esperienza sui programmi di sviluppo e umanitari in Africa e ora, per l’organizzazione impegnata a livello planetario nella lotta alle disuguaglianze, alla povertà e all’ingiustizia, coordina progetti cruciali per il suo Paese: i diritti delle donne e la giustizia di genere e le sezioni Governance e responsabilità e Risorse naturali.

Blandina Bobson integra nei progetti Oxfam i diritti delle donne

Un incarico articolato e autorevole, ma se dovesse raccontarsi in poche parole…

«Direi che sono una persona appassionata di diritti umani, in particolare di quelli delle donne. In sintesi, sotto l’ombrello di questo titolo di lavoro così lungo cerco di integrare i diritti delle donne in ogni progetto, forse perché io stessa ho subito ingiustizie. È una delle ragioni per cui sono approdata a Oxfam: i temi femminili sono centrali in tutto in ciò che facciamo».

Come ci è arrivata?

«Dopo la morte di mio padre ho rischiato di lasciare la scuola, sono riuscita a finire il liceo grazie a ciò che lui aveva messo faticosamente da parte e poi ho iniziato a lavorare per mantenermi. Dopo un periodo di crisi e depressione, mi sono appassionata al tema dei diritti umani, non mi era difficile empatizzare con la sofferenza e le difficoltà delle persone di cui mi occupavo: ci ero passata anche io. Dopo molte esperienze, ho iniziato a lavorare per Save the Children in zone di conflitto, ma cercavo un incarico che mi permettesse di tornare dalle mie due bambine la sera, ed è così che sono arrivata a Oxfam».

Si riconosce nel profilo della change maker?

«Qui siamo costantemente impegnati a spingere più in là confini e paletti, in particolare nel campo degli aiuti umanitari. In questo momento, per esempio, puntiamo molto sul Women’s Rights Fund, un fondo che fornisce sovvenzioni flessibili alle organizzazioni per i diritti delle donne, anche a quelle molto piccole. Diversamente dalla maggior parte dei programmi che esercitano un grande controllo sui beneficiari, noi non diciamo loro come usare i soldi. Siamo più interessati a condividere orientamenti e azioni con le donne che sperimentano sulla loro pelle la gravità di disastri naturali, guerre, violenze: è fondamentale imparare dalla loro esperienza sulle comunità e sul territorio. Per molto tempo sono state invisibili, inascoltate. Il fondo mira ad amplificare le loro voci, riconoscere il loro operato, promuovere leader femminili forti e coraggiose».

Delegando le decisioni alle donne sul campo, cambiano anche le strategie?

«Sì e in modo proficuo. In genere sono gli uomini a definire la natura degli interventi, senza aver mai sperimentato certe situazioni. Permettendo alle comunità femminili, anche piccole, di prendere da sole decisioni che riguardano le loro vite e di scegliere dove destinare le risorse, il fondo alimenta la solidarietà».

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Molti progetti di Oxfam in Kenya si occupano di violenza di genere

Quali sono i settori di intervento più urgenti in Kenya?

«Uno dei più preoccupanti è quello della violenza di genere, in tutte le forme. A Nairobi ragazze e donne vengono violentate ogni giorno. Subiscono stupri e molestie anche quelle impiegate nel settore minerario, mentre chi lavora nel settore agricolo è vittima dei pregiudizi che escludono le donne dalla proprietà terriera. Solo l’1% delle donne possiede titoli di proprietà e ciò impedisce loro di avere accesso ai finanziamenti. La popolazione femminile è intrappolata in un ciclo infinito di povertà. Le vittime di stupro spendono molti soldi per accedere alle cure mediche e psicologiche e all’assistenza legale. E se non si curano, il trauma diventa poi un handicap, limita le loro potenzialità, le impoverisce. Il fondo serve anche a spezzare questa spirale».

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Che consigli darebbe alle ragazze che sognano di seguire i suoi passi?

«Non abbiate mai paura di opporvi a ciò che la società prescrive. Ho dedicato la maggior parte della mia vita agli altri, trascurando la mia. Il mio consiglio, quello che darei alla me stessa bambina, è di dare priorità a noi stesse. In Africa o in Italia, ciò che sembra socialmente giusto è lontano da quello che è giusto per noi. Mettete la felicità al primo posto. Sfidate le regole, fate domande e non ascoltate chi vi dice di stare zitte. Partite da ciò che vi sta intorno: la scuola, gli amici. I cambiamenti iniziano dai gesti minuti».

Ha scritto che i ricordi si rifiutano di lasciarla.

«Quelli dolorosi faccio fatica a raccontarli: mio padre che ruba il latte per la colazione o io che aspetto una razione di cibo per ore sotto il sole a picco, seduta su un secchio giallo. Ci sto facendo i conti. Nessuno vuole essere associato alla povertà: quando sanno da dove vengo, le persone cominciano a guardarmi in modo diverso. Per questo, un tempo, non mi piaceva rievocare il mio background. Ora però sento l’urgenza di comunicare che non siamo noi a scegliere le circostanze in cui nasciamo. Quei ricordi posso usarli per trasformare la mia vita e quella di altre persone. Chiedere il meglio per le mie figlie e per tutte le altre».

Blandina Bobson
Blandina Bobson, la prima da sinistra, è direttrice dei programmi Oxfam in Kenya.

Come funziona il Women’s Rights Fund

Il prino ciclo del Women’s Rights Fund di Oxfam è stato lanciato nel dicembre 2020 e si concluderà alla fine del 2023: fornisce finanziamenti flessibili alle organizzazioni di base per i diritti delle donne, in modo che possano investire nelle priorità che ritengono più urgenti. È impegnato attualmente su dieci organizzazioni in Kenya e nei Territori Palestinesi Occupati. Ogni partner riceve una sovvenzione suddivisa in tre anni, il cui impiego è interamente a sua discrezione, con condizioni minime al di là della conformità legale. I partner collaborano con il personale Oxfam su piani di sostenibilità su misura per la loro organizzazione. È previsto anche un piccolo finanziamento in caso di emergenze, come conflitti armati o epidemie. Se le risorse lo permetteranno, Oxfam conta di estendere il Fondo ad altri Paesi a partire dal 2024. Info: https://www.oxfam.org.uk/oxfam-in-action/women-equality/womens-rights-fund/

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