La grande bellezza di Liya Kebede va molto oltre il fisico da mannequin, il sorriso contagioso, il viso che a 45 anni affascina ancora più che a 20. Questa è la storia di una ragazza partita a 18 anni dall’Etiopia per fare la topmodel tra Parigi e New York, oggi volto di L’Oréal Paris e Goodwill Ambassador dell’Organizzazione mondiale della sanità per la salute materna e infantile. «Rimanere incinte per molte donne africane significa avere un grande punto di domanda sulla propria sopravvivenza» dice. «Io stessa, pur vivendo negli Stati Uniti, ero andata in ansia quando aspettavo mio figlio Suhul, nel 2000». Nel 2005 ha creato una fondazione – Lemlem, in aramaico “nascere e prosperare” – per educare il personale sanitario etiope a seguire le donne prima, durante e dopo il parto. Due anni dopo Lemlem è diventato anche un marchio di moda etica e sostenibile, che propone capi disegnati da lei e tessuti a mano dalle donne di varie comunità africane. Liya è un’artefice di cambiamenti virtuosi nel suo Paese e non solo.

Liya Kebede lotta perché non vengano messi in discussione i diritti femminili

Attrice e designer, attivista umanitaria e imprenditrice sociale, si definisce «iperattiva, me ne invento sempre una» sorride con quell’aria tranquilla che, a sentire lei, è totalmente ingannevole. «E mi sa che ho trasmesso questo gene anche a mia figlia Raee», 18 anni, avuta dall’ex marito Kassy Kebede, come il primogenito. La sua ultima invenzione da stilista è la BookBag, una piccola tracolla per i libri. Me la mostra con orgoglio durante il Festival di Cannes, dove ogni anno presenzia con le altre, testimonial di L’Oréal Paris.

Liya Kebede, come le è venuta l’idea?

«Amo la lettura e ho un account Instagram dedicato a questa passione, @Liyabrary. Avendo sempre un libro con me, ho voluto creare qualcosa di carino per portarlo. Mi piacerebbe anche aprire una libreria: è il luogo dove entro quando sono giù di corda, mi ritempra. Una delle mie autrici preferite è l’italiana Elena Ferrante, ho adorato i romanzi di L’amica geniale».

Da attrice ha interpretato nel 2009 Desert Flower, raccontava della modella somala Waris Dirie e dell’infibulazione subita da bambina.

«È stato un punto di svolta per me: ho capito quanto spesso accettiamo le tradizioni senza metterle in discussione. Anche se oggi l’infibulazione non si pratica spesso come prima, è ancora difficile cambiare la mentalità radicata attraverso i secoli: gli uomini credono che, senza, una donna sarà sessualmente libera e perciò infedele. Ma anche in Paesi occidentali, penso agli Stati Uniti, c’è chi vuole rimettere in discussione i diritti femminili come l’aborto. Non possiamo dare nulla per scontato».

Torna spesso in Etiopia?

«Sì, per mia madre e per l’attività di Lemlem. Oggi è un e-commerce con un ramo filantropico. Il 5% degli introiti va all’omonima fondazione che si occupa di empowerment e salute femminile. Promuoviamo l’educazione e i progetti lavorativi, finanziamo campagne per la sicurezza in gravidanza e la prevenzione dei tumori all’utero».

A 18 anni Liya Kebede ha lasciato l’Etiopia per andare a Parigi come modella

Com’era nata la passione per la moda che la spinta a partire a 18 anni per Parigi?

«Frequentavo una scuola francese dove permettevano a noi ragazze di 15-16 anni di organizzare sfilate. Ci divertivamo un sacco. Sceglievamo i vestiti, i trucchi, le musiche. Allora non mi vedevo bella, però».

Davvero?

«Ero così magra che tutti mi prendevano in giro, mi sentivo meno femminile delle mie amiche. A quell’età pensi che la bellezza sia proporzionale all’attrazione che eserciti sui ragazzi. Oggi guardo le mie vecchie foto con una consapevolezza che allora non avevo».

Cioè?

«Sei bella quando ti senti amata e appagata, perché irradi un benessere interiore. Io stessa vedo più belle le persone che hanno fascino e, soprattutto, che mostrano empatia, generosità, cura per gli altri».

La cura di sé è importante?

«Eccome! Prima correvo sempre ed ero l’ultima persona di cui mi prendevo cura… Ti insegnano a guardarti intorno più che dentro, invece con il passare degli anni e con i mal di schiena ho imparato ad ascoltare il mio corpo, a cercare la forma fisica e psicologica: cammino molto, pratico yoga e pilates. Il benessere è una priorità, lo ripeto, sempre anche ai miei figli».

Presto tornerà a lavorare nel cinema ma non come attrice

Che rapporto ha con loro?

«Sto attraversando una fase delicata. Suhul si è laureato, Raee ha finito il liceo e un giorno mi ha detto di voler fare un lungo viaggio in Giappone… Che colpo al cuore! Ti senti un po’ persa quando i figli, smettono di essere la tua occupazione più importante, anche se sei piena di impegni e risorse. Nessuno mi aveva preparata».

Eppure lei è andata a lavorare all’estero a 18 anni come l’avevano presa i suoi genitori?

«All’epoca partivi e non sapevi quando saresti tornata, non c’era la possibilità di comunicare come oggi. Mia madre era molto severa, ha fatto fatica ad accettare la mia scelta però mi ha lasciata andare, capiva che la posta in gioco era il mio futuro. Solo oggi comprendo quanto dev’essere stata dura per lei».

Cosa si augura per il futuro suo e dei suoi figli?

«Sarà che sono un’inquieta ma credo che la cosa più difficile, che auguro a me e a loro, sia trovare la pace interiore».

La vedremo ancora sul grande schermo?

«Sto tornando a occuparmi di cinema in un modo diverso. Vorrei lavorare su soggetti e sceneggiature, acquistare i diritti di alcuni libri per produrre film. Ma è presto per parlarne».