Shiva Amini
Shiva Amini (foto di Giuseppe Carotenuto)

Shiva Amini, in campo per la libertà

Per aver giocato in pantaloncini e senza velo è stata cacciata dalla Nazionale di calcio iraniana e minacciata di morte. Da 5 anni vive in Italia, senza poter tornare nel suo Paese. Ma continuando a lottare insieme alle ragazze di Teheran

In persiano “Shiva” significa affascinante, eloquente. In sanscrito vuol dire di buon auspicio. Davanti a queste parole Shiva Amini abbozza un sorriso colmo di tristezza. Vorrebbe solo «essere una ragazza normale», ma forse non ci riuscirà mai. Nata in Iran 34 anni fa, oggi vive a Genova perché nel suo Paese è stata minacciata di morte dalle autorità per aver giocato a calcio senza velo e in pantaloncini corti.

Shiva Amini ricorda l’uccisione di Mahsa Amini

Questi sono giorni difficili. Il 16 settembre ricorre il primo anniversario della morte di Mahsa Amini, vedi, la 22enne arrestata dalla polizia morale a Teheran e poi deceduta in circostanze mai chiarite. Proprio per ricordare questa tragedia e riaccendere i riflettori sull’Iran, Shiva scende in campo. E non è un’espressione a caso: la sua storia è legata a un pallone impolverato, che rimbalzava per le vie di Isfahan, la sua città. «Sono la più piccola della famiglia, ho tre sorelle e un fratello e le bambole non mi sono mai piaciute. Impazzivo per il calcio, e sin da bambina ci giocavo per strada, sfidando i ragazzini del quartiere e le regole: in Iran certe attività sono vietate alle femmine. Anche andare in bici non va bene. Se penso all’infanzia, ricordo la mia energia infinita, le ginocchia sbucciate e le corse per scappare dai controlli della polizia».

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Shiva non può più tornare in Iran

Shiva cresce e crescono anche restrizioni e divieti: niente stadio, niente feste, niente moto. Lei è una ribelle e in pochi anni colleziona oltre 30 arresti. Solo il calcio le è permesso, perché è così brava da convincere la Federazione iraniana. Viene convocata in Nazionale e partecipa a diverse competizioni. Ma in campo scende sempre con il velo e con un abbigliamento che copra il più possibile il corpo. Mentre me lo racconta, Shiva si blocca. Il pensiero va al 2017, quando la sua vita cambia per sempre. «Ero a Zurigo: si trattava di un viaggio privato, pensavo di essere libera, tranquilla. Così ho pubblicato sui social una foto mentre mi allenavo con gli amici senza velo e con i pantaloncini. La mattina successiva il mio cellulare scoppiava di chiamate e messaggi: mia sorella mi ha spiegato che quella foto era ovunque in Iran, accompagnata da insulti e minacce di morte. In pratica, le autorità mi accusavano di “aver giocato con i nemici” e la Federazione voleva darmi una punizione esemplare». Da quel giorno Shiva non può più tornare in Iran. Cerca una nuova casa, nel 2018 si stabilisce a Genova. Qui ci sono gli amici, che diventano una nuova famiglia, e quella libertà tanto agognata: può sfrecciare in bici, ballare in discoteca, studiare, ascoltare musica a tutto volume. Ma a caro prezzo.

Il certificato di allenatrice ottenuto da Shiva dalla Figc (foto di Giuseppe Carotenuto)

Shiva Amini ha dovuto lasciare il calcio

«Ho dovuto lasciare il calcio: la Federazione italiana non può tesserarmi perché non ho la cittadinanza e le istituzioni iraniane mi negano permessi e documenti. Così sono passata a fare l’allenatrice, lavorando soprattutto con le ragazze e ottenendo il patentino della Figc. Per adesso, però, non riesco a farne un lavoro, spero che questa situazione si sblocchi presto. Intanto ho cambiato appartamento più volte perché, quando mi arrivano minacce via posta, la paura prende il sopravvento e preferisco andarmene». Il cuore è rimasto in Iran, insieme alla sua famiglia che ha subito ritorsioni. «Mio fratello e mia sorella hanno perso il lavoro per causa mia. L’anno scorso è mancato mio padre e io non ho neanche potuto partecipare al funerale. I miei cari vivono sempre all’erta. Prima ci incontravamo di tanto in tanto in Turchia, ora è troppo pericoloso: siamo sotto osservazione e rischieremmo l’arresto».

Shiva Amini a una manifestazione in ricordo dell’uccisione di Mahsa Amini (foto di Giuseppe Carotenuto)

Shiva sostiene la lotta delle ragazze di Teheran

Da un anno la situazione è persino peggiorata. «Dopo la morte di Mahsa Amini ho avuto un tracollo. Per mesi non sono riuscita a mangiare e a dormire, come se il terrore per quello che stava accadendo nel mio Paese mi paralizzasse. Ma mi basta pensare alle ragazze di Teheran che vengono picchiate e stuprate per ritrovare la forza e continuare a lottare per loro. C’è tanto da fare: ogni mattina ricevo dall’Iran foto e video dei giovani che raccontano la situazione. Loro non possono pubblicarli dato che non hanno un accesso immediato ai social, così lo faccio io e sollecito anche la stampa. Poi tengo i contatti con associazioni, avvocati e ambasciate perché i ragazzi vengono spesso arrestati, quindi hanno bisogno di aiuto continuo e organizzo anche raccolte fondi per pagare la loro difesa e sostenere le famiglie». Durante la nostra chiacchierata, telefonate e mail arrivano senza sosta. Lo sguardo di Shiva si fa sempre più accigliato, ma si tratta di pochi istanti che lasciano presto spazio alla voglia di fare. «L’anniversario della morte di Mahsa potrebbe rivelarsi una bomba che ne innesca molte altre. La gente vuole scendere in piazza, però la repressione rischia di essere più violenta che mai». È ora di salutarci, Shiva deve occuparsi di alcune ragazze che forse stanno per essere rilasciate dopo mesi di carcere. «Non è detto che sia una buona notizia: spesso i detenuti sono obbligati a prendere strane pastiglie prima di uscire dalla cella e poi, una volta a casa, muoiono misteriosamente. La verità è che in Iran c’è una guerra, però l’Occidente non se ne occupa. Anzi, i governi hanno parecchi interessi nel Paese, dal petrolio al gas, e non interverranno mai. Ma noi giovani non molliamo: continueremo a lottare per la libertà».

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Un anno di violenze in Iran

Mahsa Amini, studentessa di 22 anni, viene arrestata il 13 settembre 2022, mentre è in vacanza con la famiglia a Teheran, perché non porta il velo in modo corretto. Dopo 3 giorni di coma, muore. La notizia, scatena proteste in tutto il Paese, donne e giovani chiedono libertà e riforme economiche e sociali. Nei primi mesi, secondo Amnesty International, almeno 600 persone sono state uccise dalla polizia morale: numeri destinati ad aumentare in questi giorni, con la popolazione pronta a ricordare Mahsa. Intanto, il governo prepara una legge sul velo che prevede pene più severe e l’uso dell’intelligenza artificiale per controllare la condotta delle donne.

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