Che tulipani, rose e violette siano i protagonisti della bella stagione non è certo una novità: con i primi raggi di sole, tornano a ravvivare le aiuole delle città, invadono i nostri giardini, e sbocciano anche negli angoli più remoti. Eppure negli ultimi anni sembra che i fiori, da sfondo da ammirare o bouquet da sognare, si siano trasformati in un accessorio sempre più popolare. Comprarli oggi non solo non è più un fenomeno prettamente primaverile, ma sta diventando parte della nostra routine. E da quando possiamo trovare il nostro fiore preferito persino al supermercato (e “fuori stagione”) non ci serve più prenderci il tempo di andare dal fiorista né attendere un’occasione speciale: come un bijoux qualunque, il mazzo che preferiamo può venire a casa con noi dopo ogni spesa.

Forse è stata la pandemia a farci riscoprire la bellezza di una casa piena di colori e profumi, o forse è solo un trend del momento, ma la flower-mania può essere un’opportunità preziosa se la si affronta con la testa (e senza esagerare).

Comprare i fiori: un trend che arriva dal Nord

Una delle prime a raccontare del potere trasformativo del comprare i fiori è stata Virginia Woolf. Con il memorabile incipit «La signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comprati lei», la scrittrice ha mostrato un’insolita nobildonna che lascia il lussuoso appartamento a due passi dal Big Ben alla ricerca del fiorista di fiducia. Comprare i fiori era una scelta poco comune per una donna del suo rango, mentre per gli inglesi era già da tempo un atto di fede.

Nella patria dei giardini selvaggi, infatti, acquistare mazzi colorati da lasciar sfiorire nelle case è sempre stata un’abitudine. L’industria floreale inglese è un colosso da quasi 2 miliardi (nonostante i fiori siano soprattutto importati), e la routine dei bouquet sopravvive (anzi, è sempre più diffusa) anche nella Londra di oggi, frenetica come ai tempi della Woolf. Sotto i grattacieli di South Bank e tra le cabine del telefono, i fiori sbucano a ogni angolo e i londinesi camminano col solito passo incalzante anche con mazzi di rose bianche, tulipani colorati o composizioni più sofisticate.

«In città come Amburgo non c’è una signora senza un mazzo di fiori la domenica mattina: si comprano insieme al pane e al giornale», mi racconta Mario Nobile, founder di Offfi Milano, uno dei negozi di fiori più amati di Milano. Proprio nel Nord Europa ha passato mesi a studiare prima di aprire il suo studio, che oggi è una vera e propria oasi verde nel cuore del quartiere Isola. Poche ore prima della nostra chiacchierata, Vogue ha incoronato il flower market di Columbia Road come il posto più alla moda del momento, il place to be in cui scovare i trend di vestiario dei giovani londinesi, e lui non ne è assolutamente sorpreso.

Comprare i fiori è sempre più comune anche in Italia

«Non solo in posti come Regno Unito, Olanda e Scandinavia è molto più comune comprare i fiori, ma è anche più facile: per arrivare da noi i prodotti devono attraversare una filiera lunghissima, di conseguenza più sono di qualità e più richiedono tempo e denaro», spiega Nobile.

Eppure le difficoltà non ci spaventano, e sempre più italiani cominciano a rendere l’acquisto dei fiori un’abitudine costante. Basta passeggiare per il mercato di Campo De Fiori a Roma o tra le ex edicole del centro di Milano per capire che anche nella penisola è il mazzo di fiori l’accessorio must della stagione. Tra le star, spopolano i servizi a domicilio come Interflora o lo spagnolo Colvin (il cui slogan è «Menos dramas y mas flores»: «Meno drammi, più fiori»). E per noi cittadini comuni, si sono dotati di “driver di fiori” persino Glovo e JustEat.

«In realtà, non è così inusuale che arrivi qualcuno a prendersi dei fiori per sé», mi racconta sempre Nobile. «Non saprei dire cosa ci porta a farlo, credo sia come cambiare i cuscini nel divano: ogni tanto abbiamo voglia di vedere qualcosa di bello». Un bisogno che ha sentito anche lui, ex marketing manager di un’azienda farmaceutica, che ha sempre trovato il modo per portarsi a casa qualche mazzo di fiori, anche solo per abbellire la casa.

Un messaggio di rinascita (che ci fa bene)

Ma comprare i fiori non è solo una questione di bellezza: è una coccola, un vizio che cominciamo a concederci sempre più spesso. Lo ha cantato nella sua hit Flowers Miley Cyrus, con il ritornello da Grammy «I can buy myself flowers» («I fiori me li posso comprare da sola»). E lo conferma la letteratura, con due moderne signore Dalloway che proprio a partire dal comprarsi i fiori hanno creato best seller del genere self help.

La prima è Tara Schuester, star di Comedy Central, che ha intitolato il suo memoir-handbook Buy Yourself The Fuck*ng Lilies. Qui, l’autrice parla alle lettrici esortandole a prendersi cura dei loro bisogni (e piaceri) proprio a partire da azioni apparentemente frivole. «Non privatevi di quel piccolo gesto con cui vi trattate bene. Comprate quei cavolo di gigli da 7 dollari! Ve li meritate, valete ben più di 7 dollari, vi meritate cose che vi rendono istantaneamente felici».

La segue a ruota la guru delle clean girl Tam Kaur, autrice di Buy Yourself The Damn Flowers. L’influencer si definisce una ex serial dater (fidanzata compulsiva), e spiega che comprarsi da sole i fiori è un modo per abituarsi alla vita da single. «Per tornare ad amarsi, dovete intraprendere una relazione con voi stesse. Come si fa? Partite col regalarvi tutte quelle esperienze che normalmente riservate alle relazioni. Portatevi al cinema da sole, fatevi i complimenti. E, sì, compratevi quei dannati fiori!».

Alla ricerca di… Un fiore che dura

Cosa cerchiamo, quindi, quando compriamo i fiori? «Ultimamente capita che i clienti li desiderino anche senza che li spinga un’occasione speciale, ma mi preoccupa notare sempre più spesso una punta di utilitarismo», spiega Nobile. «La richiesta più comune infatti è ‘un fiore che duri’, ma si tratta di un ossimoro. La bellezza dei fiori sta nel loro essere effimeri, dovremmo imparare ad amare il loro breve e unico cerchio della vita».

È del parere opposto invece un’altra amatissima (e seguitissima) flower designer, Cecilia Paganini, CEO del flower design studio La Fiorellaia. Con la sua iniziativa Il fiore del venerdì, nel negozio ai confini di Brescia, invita i clienti a conoscere ogni settimana un fiore diverso. Insegna loro a prendersene cura e sceglierlo con consapevolezza, per farlo durare il più possibile.

«Certo, ogni fiore è effimero ma sapere che una peonia non può durare più di tre o quattro giorni mentre un garofano può durare anche due settimane ci permette di scegliere con più consapevolezza, e optare per fiori che siamo in grado di curare senza problemi. Non tutti possono permettersi di fare investimenti sulla bellezza, soprattutto visto che bouquet e composizioni hanno un costo non indifferente. Io cerco di dare tanta attenzione ai bisogni del cliente e alla sua vita quotidiana, oltre che alle sue richieste, in modo da selezionare qualcosa che faccia per lui e che possa durare».

Comprare i fiori: il rischio di anteporre il consumismo all’etica

Sin dall’inizio La Fiorellaia ha esortato le persone a portare i fiori nell’ambiente domestico, spiegando ai clienti il potere trasformativo di questi piccoli accorgimenti per l’ambiente quotidiano. «Quest’era della comunicazione finalmente ci sta dando una mano, oggi c’è un’attenzione diversa: non siamo solo circondati da informazioni, siamo circondati di bellezza. Ogni volta che accendiamo il cellulare o apriamo un sito, o una rivista, vediamo immagini bellissime, e ricerchiamo quella bellezza anche nel nostro ambiente».

Il rischio è quello di rendere persino i fiori un prodotto da acquistare compulsivamente, ignorandone la cura, la qualità e trattandoli come l’ennesimo prodotto di moda. Il tema dell’ecologia non va sottovalutato quando si compra un fiore, visto che – come confermano i fioristi – quelli che troviamo al supermercato vengono distribuiti lungo tratte privilegiate, ma nel tragitto vengono pesantemente danneggiati.

Comprare i fiori: usiamo il cuore, e la testa

«Sicuramente la nuova importanza che ha conquistato il fiore è una cosa positiva», continua Paganini, «Ma bisogna sforzarsi di liberarsi dai bisogni del consumismo a favore di riflessioni più mature. Chi ha poco tempo e non ha l’occasione di vivere l’ambiente domestico a lungo ha ragione di preferire mazzi a basso prezzo che durano poco. Ma chi in casa passa tanto tempo, e magari utilizza il suo spazio anche come luogo di incontro con gli amici o con la famiglia, dovrebbe preferire mazzi selezionati e acquistati da esperti che sanno spiegare come prendersene cura».

Nel momento in cui qualcuno ci spiega cosa aspettarci dal fiore, quando raggiungerà il suo picco di bellezza e quando comincerà a sfiorire, tutto il suo percorso diventa un’esperienza. Anche la perdita dei petali è un momento da vivere, e l’investimento economico acquista un valore diverso.

Insomma, che il mazzo di fiori sia diventato una presenza fissa nelle nostre case è il segno che qualcosa sta cambiando, che vogliamo respirare la bellezza a pieni polmoni quando preferiamo. Ma invece che rendere il fiore l’ennesimo accessorio micro-trend da comprare-fotografare-buttare, abbiamo l’opportunità di imparare dal suo ciclo: a meritarci di stare bene, a prenderci cura di noi, a darci il tempo di fiorire ed essere pazienti invece nei momenti di sfioritura. La signora Dalloway non sapeva che la sua vita sarebbe cambiata per sempre a partire dall’acquisto di quel bouquet, noi invece abbiamo la fortuna di poter scegliere come farci cambiare la giornata (o la settimana) da un fiore: non sprechiamola.