Ho letto un giorno in un articolo che se ci fossero stati i social ai tempi del nazismo, l’Olocausto non sarebbe mai avvenuto. Se la gente avesse saputo dell’esistenza di Auschwitz e delle deportazioni, non lo avrebbe permesso. Eppure, oggi che tutto è sotto i nostri occhi, che una pluralità di media ci informa minuto per minuto di quello che accade in ogni angolo del mondo, le atrocità non si fermano. Anzi, convivono con imperturbabile simultaneità, giustificata dal dovere di cronaca, con le notizie dell’ultima sfilata di moda, i risultati della Champions League, gli amori e dissapori della cronaca rosa. È sempre stato così, sia chiaro. Mentre l’Europa piangeva i suoi morti, caduti a migliaia nel primo conflitto mondiale, l’America celebrava sulla penny press l’epoca d’oro degli Anni ruggenti.
Gaza ai tempi dei social
Ma ora il contrasto ci sembra più stridente e intollerabile. Perché il “sapere”, e il poter dire la nostra, ci fa sentire un po’ più responsabili e complici di certi orrori. Colpevolmente assuefatti. Capaci di passare con la stessa volatile attenzione dal red carpet di Cannes agli appelli accorati delle associazioni umanitarie, che chiedono invano aiuti per fronteggiare la crisi di Gaza. Un’emergenza ormai fuori controllo. A oltre un anno e mezzo dall’inizio del conflitto avviato da Israele in risposta all’attacco terroristico di Hamas, ha avuto un’escalation senza precedenti, con scarsi risultati sulla liberazione degli ostaggi.
A Gaza manca ormai tutto
Dal 2 marzo scorso non entrano più nella Striscia i camion che rifornivano di cibo e di farmaci gli ospedali i campi di sfollati. I pochi che sono riusciti a oltrepassare il confine sono, nel momento in cui scrivo, bloccati da controlli e autorizzazioni che lasciano i pacchi inutilizzati nei container e nei magazzini. I quantitativi di scorte alimentari e medicine sarebbero comunque irrisori per le esigenze di una popolazione ormai allo stremo, che dopo la breve e fragile tregua durata dal 19 gennaio a metà marzo, è tornata a vivere nella paura delle bombe.
L’emergenza è fuori controllo
Come se non bastasse, da oltre due mesi è stata tagliata la fornitura di elettricità, le stazioni di pompaggio delle acque reflue sono quasi tutte fuori uso, mentre gran parte del sistema idrico è stato danneggiato rendendo difficile l’accesso all’acqua potabile per migliaia di persone, che sopravvivono con una quantità di circa 5,7 litri al giorno a testa, pari a una doccia di neanche un minuto. Da più di un anno non è possibile lavarsi, curarsi, sfamarsi come si deve. L’emergenza più grave ora è la malnutrizione, perché le provviste di cibo dell’ONU e delle principali Ong presenti sul territorio sono esaurite. Secondo il ministero della Salute di Gaza, 57 bambini sono morti a causa della fame negli ultimi due mesi. A questi si aggiungono quelli mutilati nel corpo e nella psiche, rimasti orfani, traumatizzati, uccisi. Al momento il bilancio di questa assurda guerra, secondo l’ultimo report di OCHA è di quasi 60.000 morti, in prevalenza donne e bambini, oltre 115.000 feriti e 2 milioni di sfollati.
Sui social le immagini raccontano le atrocità a Gaza
Una vera catastrofe umanitaria, la cui portata non si esaurisce nel conteggio delle vittime dei raid aerei o del deperimento fisico, delle infezioni, delle malattie non curate, della carestia ma anche nella perdita totale di dignità. La cosa più atroce è il declassamento da persone a esseri primordiali, che lottano per il livello minimo di sussistenza. Che sono ormai disposti a tutto per un giaciglio più comodo e sicuro o per un poco di cibo in più. Privati di tutto e per questo disumanizzati. Mentre il mondo resta a guardare.
Sui social il mondo, indignato, resta a guardare Gaza
Continuano le pressioni internazionali perché il premier israeliano disponga al più presto un cessate il fuoco e riapra un corridoio di soccorsi, pena la minaccia di sanzioni e una possibile revisione dell’accordo che dal 1995 sigla le relazioni tra Bruxelles e Tel Aviv, improntate, sulla carta, al rispetto dei diritti umani e dei principi democratici. Ma ancora la strage non si ferma. E il dissenso dell’opinione pubblica – la famosa massa silenziosa che dovrebbe arginare le efferatezze della Storia – al netto di alcune manifestazioni di piazza, non fa resistenza. Si ferma sullo schermo del telefonino. Manifestando a parole indignazione e condanna. Fino e al prossimo scroll.