A differenza di Gaber, che cantava «io non mi sento italiano ma per fortuna purtroppo lo sono», si calcola che oggi ci siano circa 1.420.000 persone che direbbero l’esatto contrario, ma il nostro ordinamento (quasi) non le considera. Si tratta di cittadini stranieri extra Ue che risiedono regolarmente in Italia da molti anni, qui lavorano, pagano le tasse, crescono i loro figli ma qui non possono votare né concorrere a un concorso pubblico né accendere un mutuo. Motivo? La legge 91/1992 stabilisce che «i cittadini stranieri possono presentare richiesta di cittadinanza italiana dopo 10 anni di residenza continuativa nel Paese». Dalla richiesta all’acquisizione, però, passano ulteriori anni, se tutto va bene con attese e burocrazia (spoiler: non succede mai).
Cittadinanza italiana: si vota al referendum dell’8 e 9 giugno 2025
Gli italiani l’8 e 9 giugno sono chiamati a esprimersi su 5 referendum, uno dei quali – che sarà su scheda gialla – riguarda proprio il dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia per la richiesta della cittadinanza da parte dello straniero maggiorenne extracomunitario. Ricordiamo, sottolineando la discriminazione, che chi proviene da un Paese Ue, invece, può fare domanda di cittadinanza già dopo 4 anni. Il referendum intende modificare solo la richiesta per la naturalizzazione degli adulti ma, di riflesso, potrebbe cambiare anche lo status di alcuni minori “stranieri” che sono i loro figli e che potrebbero diventare italiani per trasmissione della cittadinanza dai genitori.
Cittadinanza italiana, come funziona ora
Attualmente, i figli di stranieri extra Ue possono chiedere la cittadinanza solo a 18 anni (a meno che uno dei genitori non sia italiano, in quel caso il figlio è italiano alla nascita, anche se nato all’estero). «La riforma del 1992 è stata anacronistica» osserva Fioralba Duma, albanese di 35 anni (da 22 in Italia), attivista del movimento Italiani senza cittadinanza «in quanto già dal 1912 e per i successivi 80 anni – quando la società era meno globalizzata di adesso – si poteva diventare italiani dopo 5 anni». Votare sì al referendum significa quindi tornare al passato per affrontare il futuro.
E i bambini?
E i bambini?
Circa 914.000 minori iscritti nelle nostre scuole non hanno la cittadinanza, ma il 65% di loro è nato in Italia. Conoscono i nostri dialetti, hanno la loro squadra del cuore, dividono il banco e le paure con i nostri ragazzi. Si sentono italiani e lo sono di fatto. È il momento di riconoscerli tali anche di fronte alle legge» spiega Daniela Fatarella, Direttrice Generale di Save the Children Italia che da anni, assieme a tante organizzazioni e ai movimenti dei nuovi italiani, chiede una riforma organica per dare loro piena cittadinanza. «Il referendum è un’occasione per il loro futuro e per quello di tutto il Paese».
Referendum 2025 sulla cittadinanza italiana: 3 storie da leggere
Aleksandra, 33 anni, bielorussa
«Ho conosciuto l’Italia con il progetto “Bambini di Chernobyl” (grazie al quale minori provenienti dalle aree contaminate, per migliorare la loro salute, passavano le vacanze da noi, ndr) ed ero spesso in Sicilia. Tredici anni fa mi sono iscritta all’Università di Catania, dove vivo e lavoro tuttora, con contratto a tempo indeterminato. L’Italia è diventata parte di me. Ormai penso in italiano e non mi vengono neanche più le parole nella mia lingua madre! Tempo fa ho provato a fare richiesta per la cittadinanza, ma non sono risultata idonea: nel 2017 avevo cambiato casa e aspettato due mesi per l’iscrizione alla nuova anagrafe.
Nessuno ti spiega con esattezza le procedure e ogni piccolo cambiamento può causare problemi. Il referendum è stato definito da alcuni come un quesito per “regalare la cittadinanza”, ma non è così. Per fare richiesta bisogna rispettare tanti requisiti (10 anni di residenza continuativa in Italia, un reddito stabile personale di 8.263,31 euro, fedina penale intonsa e conoscenza dell’italiano a livello B1) e fornire documentazione dal proprio Paese tradotta e legalizzata tramite ambasciata. Con costi altissimi. Tutto questo solo per essere idonei a presentare la domanda. È chiaro che possono farlo solo quanti sono già ben inseriti socialmente».
Pilar, 48 anni, peruviana
«Sono arrivata in Italia nel 2005, a 28 anni, con una figlia di tre lasciata con la nonna a Lima. Ero venuta con l’idea di stare qui qualche anno per mettere dei soldi da parte ma poi sono rimasta. Ho lavorato come badante e collaboratrice domestica, in una cooperativa di servizi. Nel 2008 ho portato a Roma mia figlia che oggi studia Medicina. Noi ci sentiamo italiane da tanto, la nostra vita e la nostra casa sono qui. Ma sulla carta siamo ancora straniere.
Ho presentato la domanda per la cittadinanza nel 2016. All’epoca avevo più di dieci anni di residenza ininterrotta, tutti i documenti erano in ordine. Ma dopo tre anni ho ricevuto una lettera: mancava un foglio sul casellario giudiziale in Perù. E nessuno me lo aveva chiesto prima. Poi c’è stato il Covid e solo due anni fa sono riuscita a ripresentare tutto daccapo. Ora sto di nuovo aspettando. Sono in Italia da quasi 20 anni, ho lavorato, pagato le tasse, rispettato le regole, cresciuto una figlia qui. Ho fatto di tutto per costruire qualcosa di bello in questo Paese, ma purtroppo sembra non bastare mai».
Andrea Hu, 37 anni, ex cittadino cinese oggi italiano
«Ho mandato la pratica per la cittadinanza nel 2016 tramite il sito del ministero dell’interno e ho aspettato 5 anni per una risposta. Ogni anno ripresentavo la documentazione sul reddito: se guadagni poco, fai fatica perché lo Stato valuta soprattutto se sei in grado di sostentarti autonomamente. Non è facile fare tutto da soli. Io mi sono affidato a un avvocato: se trovi quello giusto, bene; se trovi quello sbagliato, magari ti chiede meno documenti o fa confusione.
Un’altra complicazione per noi cinesi è che la Cina, al contrario degli altri Paesi, non accetta la doppia cittadinanza: se diventi cittadino italiano, devi rinunciare a quella cinese. Ci ho riflettuto e i vantaggi di essere italiano, stando qui, erano maggiori. Per esempio, posso viaggiare liberamente in altri Paesi europei. Sono arrivato a Milano nel 2004 con i miei genitori e avevo 16 anni. Ho amici italiani e due figli che oggi sono italiani come me. In questo Paese la natalità è bassa, servono più cittadini giovani per sostenere l’economia. Se il nostro futuro è qui, è giusto costruirlo con i doveri ma anche i diritti».
Referendum giugno 2025: alle urne anche sul Jobs Act
Quattro referendum chiedono di abrogare norme del Jobs Act del 2015 per: ripristinare il reintegro in caso di licenziamento illegittimo (scheda verde), ridurre le disparità di trattamento tra lavoratori di piccole e grandi imprese (scheda arancione), cancellare i contratti a termine senza causale (scheda grigia) e prevedere negli appalti la responsabilità solidale di committente, appaltatore e subappaltatore per gli infortuni sul lavoro (scheda rossa).