Esperienze troppo anticipate, spostate indietro rispetto all’orologio che segna la maturazione necessaria ad affrontarle emotivamente: ecco il fenomeno degli ‘adolescenti infanti’. Una generazione di bambini balzati direttamente dall’infanzia all’adolescenza senza ‘libretto di istruzioni’: il tempo giusto delle cose. Ce ne parla Federica Benassi, imprenditrice, educatrice, counselor familiare e autrice del saggio L’educazione dei maschi (Minerva editore, 2024). Sullo sfondo, l’ennesimo femminicidio, quello di Martina Carbonaro, 14 anni, da parte di Alessio Bucci, appena maggiorenne. Stavano insieme da due anni, un’immensità per quell’età.

Benassi, in questo ultimo caso di femminicidio stiamo parlando di ragazzini: vengono i brividi …

«Non c’è da stupirsi che le dinamiche di violenza di genere riguardino anche gli adolescenti di oggi, a fronte del fatto, ormai acclarato e sostenuto da dati, che le esperienze di relazione in cui si investono aspettative adulte riguardano sempre di più i preadolescenti. Ciò che noi abbiamo vissuto alla fine del ciclo scolastico, come l’aspettativa di una relazione seria dopo fatiche, attese, conquiste passo a passo e delusioni, ora i ragazzi lo vivono anni prima. Ma senza aver fatto tesoro di quel bagaglio emotivo dell’esperienza che permette loro equilibrio e consapevolezza, conoscenza dei limiti. Per questo ritengo necessario intervenire ad ampio raggio non solo nella famiglia, spesso lasciata sola dalle istituzioni, ma nell’educazione prescolare e scolare».

Adolescenza anticipata: il ruolo dei genitori

Vivere esperienze precoci destabilizza bambini e preadolescenti?

«Oggi i ragazzi hanno esperienze precoci, quelle sessuali a volte già a 12 anni, forse stimolate da ciò che vivono sui social e nel mondo del gaming, ma non hanno ancora gli strumenti per gestire a livello emotivo la realtà. I genitori a volte ignorano i pericoli che possono derivare, per esempio, da una fruizione smodata del mondo virtuale e da esperienze reali anzitempo, che andrebbero guidate per non sfociare in disagi psicologici, smarrimento emotivo, episodi di violenza e aggressività determinati dalla frustrazione. Non è un gioco, la vita».

Lei dirige un nido fondato nel 1995, ha gestito i primi centri estivi comunali in Emilia Romagna, chi sono i genitori di oggi?

«Sono iperprotettivi, ansiosi, pieni di impegni. Soprattutto riempiono di cose da fare i figli sin dalla più tenera infanzia iscrivendoli a corsi propedeutici sportivi e artistici, senza per giunta mancare una festa di compleanno! Cancelliamo la parola propedeutica dal nostro vocabolario? Servirebbero invece ascolto delle emozioni, tempi di attesa e, perché no, di noia. Il tempo libero è stato cancellato dal tempo impegnato».

E la rete famigliare? I nonni che fanno?

«Oggi la presenza delle famiglie monogenitoriali al femminile, con madri di 40 anni al primo figlio che non ce la fanno a gestire tutto, casa, lavoro, quotidianità, è una realtà crescente. I nonni, quando ci sono, eseguono senza fiatare ciò che viene loro detto dalla madre senza avere molto spazio di intervento. Anche perché sono una generazione socialmente attiva che spesso non rinuncia alla partita di Burraco o alla vacanza per accudire i nipoti. Ma il punto è anche culturale: il bombardamento di proposte e informazioni a cui sono sottoposti i genitori ricade sui bimbi, a loro volti bombardati e calendarizzati sin dalla tenera età. Come fossero adulti ancora prima di camminare e parlare».

Ascoltare anziché impegnare gli adolescenti

Un’infanzia sottratta a se stessa dall’invadenza del mercato?

«Quando in famiglia all’ascolto e all’attenzione emotiva si sostituiscono impegni, corsi, eventi, quando si dona tutto al bimbo o bimba e si coinvolge nelle scelte come fosse un o una pari, pur credendo di fare bene il rischio è di privare l’infanzia della sua esperienza: senso di scoperta, desiderio, conoscenza e gestione dell’emotività. Dalla reazione di fronte a un no, dalla noia generatrice di creatività, i bimbi imparano. Ma i no bisogna dirli, come diceva Crepet».

Altrimenti che succede?

«I bimbi e ragazzini iper stimolati, crescendo e affrontando le prime difficoltà, dallo sport alla scuola alle relazioni, non hanno maturato la forza e gli strumenti per gestirle emotivamente e comprendere che esiste la fatica, la delusione. E l’accettazione dell’autonomia altrui».

Adolescenza anticipata e genitori iperprotettivi

Ci parli delle fiabe al nido: è vero che le vietano di leggere ‘Cappuccetto Rosso’?

«Una mamma mi disse che favole come quella potevano spaventare il piccolo, un’altra mi suggerì di non pronunciare la parola ‘cacca’, ma di usare ‘prodotto interno lordo’. Per questa famiglia iper ansiosa i figli sono da proteggere dalla vita. Tutti ‘gifted’, dotati oltre la media di capacità intellettuali e artistiche, tutti troppo sensibili, tanto che i genitori si chiedono se portarli o no alla visita del nonno in ospedale o al suo funerale».

Finora ha parlato prevalentemente di donne. Ma i maschi dove sono nelle prime fasi di affidamento educativo?

«Nella fase di crescita più importante, quella del primo distacco, che di solito avviene al nido, sono soprattutto le madri a occuparsene. Inoltre, difficilmente ci sono educatori maschi in queste strutture. In Italia c’è ancora un tabù da superare: solo una minoranza di uomini si iscrive a Scienze dell’educazione. Sarebbe invece importante per i piccoli avere riferimenti maschili già in tenera età all’accudimento ed educazione, per apprendere una parità e interscambiabilità di ruoli».

Perché l’educazione sentimentale è importante

Si può iniziare a educare al rispetto di genere anche al nido?

«Si dovrebbe iniziare subito a fornire strumenti per un’educazione al rispetto e all’accettazione dell’altro Gli insegnanti, dal nido alla materna, dalla primaria alla secondaria, dovrebbero avere corsi dedicati di formazione sulle relazioni con i piccoli, poi allievi, poi studenti, in termini di approccio ed empatia. Per uscire dalla figura del soggetto giudicante ed entrare appieno in quello dell’educatore. Anche alle medie e alle superiori i docenti dovrebbero poter gestire una comunicazione con la classe che vada oltre la corsa al voto e al programma da terminare. Questo approccio ha già mostrato i suoi limiti durante la pandemia. In alcuni paesi del Nord Europa funziona già cosi da tempo».

Nel suo libro parla di corsi sull’affettività da inserire nelle scuole: si previene anche così la violenza di genere?

«Introdurre seminari sull’affettività e accettazione dell’altro può contribuire, a mio avviso, al superamento della violenza di genere. Bisogna che i ragazzi imparino la gestione e la conoscenza delle proprie emozioni sin da piccoli. Questo percorso sta già iniziando a livello di progetti extracurricolari. Ma l’educazione comincia dal nido. Che vorrei un luogo dove i piccoli possano giocare a spingere la carrozzina anche se maschi, scambiarsi le scarpe per gioco, ascoltare anche ‘Cappuccetto Rosso’, per emozionarsi ma anche ridere delle orecchie del Lupo camuffato».