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Scuola, ricomincia il valzer delle supplenze. Com’è la situazione

Ci risiamo, alla vigilia del suono della campanella (per qualcuno l’ora X è già scattata) ricomincia il toto-supplenze a scuola, con buona pace di presidi, genitori e soprattutto studenti. Una situazione che anche nel 2018-2019 si presenta con le stesse caratteristiche dello scorso anno scolastico, salvo alcune novità relative ai provvedimenti adottati dal nuovo Governo. “Le graduatorie relative alle cattedre vacanti si sono ridotte e contano al momento 80.000 insegnanti” spiega a Donna Moderna Alessandro Giuliani, direttore de La tecnica della scuola. “A queste cattedre senza titolare se ne aggiungeranno altre 20mila che dovranno essere assegnate tra il 20 settembre e fine mese. Ma resta il nodo di alcune classi di materie, come matematica alle medie, dove manca personale”.

Insegnanti, cattedre e supplenze: i numeri

“La situazione degli organici non è peggiorata né sostanzialmente migliorata” –  spiega Giuliani – “L’ultimo provvedimento preso prima della pausa estiva, adottato dal nuovo esecutivo, ha permesso l’entrata in ruolo di circa 57mila insegnanti”. Il Consiglio dei Ministri lo scorso 9 agosto ha infatti dato il via libera all’assunzione di 57.322 docenti a tempo indeterminato, sui posti effettivamente vacanti e disponibili, per l’anno scolastico 2018/2019. Di questi, 43.980 sono docenti di posto comune, mentre 13.342 sono di sostegno; altri 212 sono dirigenti scolastici, 46 sono costituiti da personale educativo e 9.838 sono lavoratori ATA non docenti.

“Degli oltre 57mila, però, circa 20mila cattedre non sono ancora state assegnate, per mancanza di docenti in certe classi di concorso: si tratta soprattutto di insegnanti di matematica per le medie, di lettere in alcune regioni o di sostegno” precisa Giuliani, che ricorda il nodo delle graduatorie.

Il problema delle graduatorie

Le difficoltà nelle immissioni in ruolo sono legate alle graduatorie e al fatto che sono cambiate le regole per diventare di ruolo. Fino al 2007/2008, una volta ottenuti i titoli e l’abilitazione si entrava d’ufficio nelle cosiddette GAE, le Graduatorie ad esaurimento. “Da 10 anni a questa parte, invece, le GAE sono chiuse, quindi si viene assunti solo tramite concorso pubblico o riservato. Il riforma della Buona Scuola ne aveva previsti tre riservati, dei quali solo uno effettivamente attivato. Oltre alla laurea e alla vittoria del concorso, al momento è previsto un percorso di Formazione Iniziale e Tirocinio (FIT) della durata di tre anni e retribuito normalmente”.

“La formazione delle graduatorie in base a questo sistema, però, è ancora in corso e gli altri due sono stati di fatto congelati dal nuovo esecutivo. Per il secondo concorso, infatti, si vorrebbero fissare come criteri di accesso i titoli di studio e 36 mesi di supplenza, mentre il terzo sarebbe dedicato ai non abilitati. Il Governo non solo vorrebbe prima effettuare una mappatura sui posti vacanti concreti, in modo da fare un concorso con un numero più reale per posti a bando, ma ha dichiarato di voler inserire una norma importante: il domicilio personale. In pratica, se un candidato proveniente dalla Sicilia vuole fare un concorso per un posto in Veneto e lo vince, deve restare in quel posto per almeno cinque anni” spiega l’esperto. Questo per evitare trasferimenti continui e turn over eccessivi di insegnanti per gli studenti.

Stop ai trasferimenti nord-sud

Uno dei problemi principali è proprio questo: “La pratica di ottenere una cattedra in una scuola e poi chiedere il rientro nella provincia di origine è molto diffusa e crea “buchi” nella copertura delle cattedre. Basti pensare che l’80% degli aspiranti insegnanti è del Centro-Sud e soprattutto del Sud, mentre l’80% delle cattedre vuote è al Nord” – dice Giuliani – “Il problema si è acuito con la Buona Scuola e con il sistema dell’algoritmo, che ha spinto molti docenti ad accettare cattedre a scatola chiusa, salvo ritrovarsi magari a 1.000 km da casa. Si tratta di personale di età tra i 40 e i 50 anni, che dunque è rimasto scontento o in difficoltà”.

“Per questo il ricorso alle domande di ricongiungimento familiare (ad esempio, si può chiedere il trasferimento se si ha un figlio sotto i 6 anni o un parente malato da accudire, magari con la legge 104) è molto ampio. Con le nuove norme ciò non sarà più possibile o quantomeno si potrà in modo più limitato, garantendo almeno 5 anni di servizio nello stesso posto” spiega Giuliani.

Maestri diplomati magistrali

Resta poi aperta la questione dei maestri diplomati senza laurea. Si tratta soprattutto di insegnanti della primaria, per i quali ora c’è un concorso da 12mila posti, a cui possono accedere i diplomati fino al 2001/2002 e i laureati in Scienze della formazione primaria, entrambi abilitati. Si calcola che vi parteciperanno in 100.000 per soli 12mila posti, dei quali 7.000 già immessi in ruolo con riserva. Questi sono docenti che hanno già fatto un anno di prova e dunque avranno il posto garantito fino al 30 giugno 2019, poi per loro ci sarà una sorta di precedenza rispetto a candidati più giovani, in virtù degli anni di ruolo, in pratica di una anzianità maggiore” prosegue il direttore de La Tecnica della scuola.

“Il concorso prevede la simulazione di una lezione, con una prova orale a punteggio, alla quale si aggiungerà proprio l’eventuale esperienza pregressa”.

Stipendi troppo bassi?

Ma è possibile che gli insegnanti precari si mettano in lista, salvo poi non accettare l’incarico perché retribuiti troppo poco? “Se ciò accade non è normale, perché gli stipendi sono noti: quando si accetta una cattedra, firmando il contratto, si sa quante ore si andranno a fare e dunque anche la retribuzione” spiega Giuliani, che fa un esempio concreto: “Alle superiori e alle medie una cattedra completa, da 18 ore, viene retribuita 1.300 euro nette al mese. Un insegnante della primaria guadagna un po’ meno, pur con un monte di 24 ore settimanali, che all’infanzia diventano 27. Si tratta solo di ore di didattica frontali, alle quali si aggiungono quelle funzionali, ovvero per i consigli di classe, i colloqui con i genitori, i collegi docenti, ecc”.

D’altro canto il fatto che gli insegnanti italiani siano tra i meno pagati d’Europa è noto. A ciò si aggiunge l’innalzamento degli scaglioni di anzianità: “Fino al 2013 c’erano scatti ogni tre anni, mentre oggi per 8 anni lo stipendio rimane fermo” – spiega ancora l’esperto – Si è trattato di una scelta nella contrattazione tra il Governo e i sindacati, che hanno preferito ottenere le immissioni in ruolo. Va tenuto presente, comunque, che anche da precari la fase di pre-ruolo prima dell’assunzione definitiva viene conteggiata ai fini della carriera” conclude Giuliani.

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