Cosa succede se tutti vanno in cassa integrazione

La quarantena mette teoricamente a casa circa 10-11 milioni di lavoratori. E c'è chi stima 4-5 milioni di cassintegrati per questa emergenza. È sostenibile? Cosa potrebbe succedere? Cerchiamo di capire

 L’emergenza sanitaria più grave degli ultimi 100 anni genera anche un’emergenza economica e sociale. Se ne accorgono subito i tantissimi lavoratori che in queste settimane devono restare a casa per la chiusura forzata delle aziende, e che devono prendere le misure con la cassa integrazione.

A metà aprile capiremo quante domande di cassa integrazione sono state presentate. Sottovoce, c’è chi stima 4-5 milioni di cassintegrati per questa emergenza, anche se è ancora presto per i numeri reali.

Spiega Luigi Sbarra, segretario generale aggiunto Cisl e figura in prima linea nel confronto tra sindacati e governo sul tema degli ammortizzatori sociali, che «nella sua fase acuta, questa emergenza risulta ben più pesante della crisi del 2008, quanto ad effetti su economia e occupazione. Infierisce di più sulle fasce deboli e aumenta le diseguaglianze sociali». Se gli occupati in Italia sono circa 23 milioni e 800 mila, tolto il settore pubblico e le attività essenziali, il fermo per decreto mette teoricamente a casa circa 10-11 milioni di persone. Certo, è un conto grossolano e virtuale: c’è un mix di impiego massiccio di cassa integrazione, imprese fanno smaltire ferie e permessi, pubblica amministrazione e mondo dei servizi – dove possibile – si sono organizzati con lo smart working. Ma ci sono anche i tantissimi stagionali fermi e le micro imprese artigianali con la serranda abbassata. 

Chi paga la cassa integrazione

Intanto, una prima domanda possiamo farcela noi: quanto costa? Chi paga e quanto è sostenibile per i conti pubblici un impiego così massiccio di misure di sostegno al reddito? Ce lo spiega il professor Michele Faioli, docente di diritto del lavoro dell’Università Cattolica e consigliere esperto del Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro). «L’Italia ha un sistema di ammortizzatori sociali che si basa su contributi normalmente versati dai datori di lavoro e dai lavoratori. In questo periodo, però, data l’eccezionalità della pandemia è stato affiancato un sistema speciale, che pesca risorse dalla finanza pubblica. Con l’emergenza, un sistema speciale, alimentato da risorse pubbliche speciali, permette di erogare prestazioni speciali che si aggiungono a quelle normali».

Da dove vengono i soldi

«Il governo, in marzo, ha varato un ventaglio complesso di strumenti, finalizzato alla protezione sociale» spiega Luigi Sbarra. «Circa 10 miliardi di euro, per finanziare le riduzioni o sospensioni di attività lavorativa e far rimanere i lavoratori “agganciati” alle aziende». È quello che fanno normalmente gli ammortizzatori sociali, in condizioni – diciamo così – standard. Con quali soldi? «In condizioni normali l’ammortizzatore sociale è finanziato da versamenti delle imprese, erogati in rapporto al numero di dipendenti e canalizzati all’Inps. Lì c’è un fondo per alimentare la Cassa integrazione ordinaria, per tutte le imprese del settore industriale; il Fis (Fondo di integrazione salariale) per le imprese del turismo, del commercio e dei servizi. Poi c’è il fondo dove versano gli artigiani, che si chiama Fondo di solidarietà bilaterale per l’artigianato (costituito dalla associazioni dell’artigianato e sindacati confederali Cgil-Cisl-Uil). Tutti questi fondi “staccano” normalmente l’assegno di integrazione salariale per le imprese che devono affrontare congiuntura economica sfavorevole, rallentamento o sospensione della produzione, o piani di ristrutturazione».

Nove settimane di Cassa Integrazione: chi può usarle 

Ma qui – come detto – non siamo in condizioni normali: per questo il governo ha impiegato risorse pubbliche – ossia soldi presi dal bilancio dello Stato – per allargare il più possibile la platea di soggetti che possono beneficiare di questo sostegno al reddito. Sono le ormai note nove settimane di Cassa integrazione, per tutti quei lavoratori sospesi dal lavoro per lo stop imposto dal coronavirus. Ne possono beneficiare le aziende che usano la cassa ordinaria o i fondi citati, come un “extra” rispetto ai limiti normali di utilizzo di quegli strumenti. «In più, la platea allargata comprende anche le micro imprese sotto i cinque dipendenti, che nella normalità non accedono agli ammortizzatori perché non sono obbligate a versare ai fondi e che oggi possono godere della Cassa Integrazione in Deroga finanziata con il Decreto Cura Italia; ai percettori di Cassa si aggiungono i lavoratori stagionali dei settori turismo, stabilimenti termali, spettacolo e gli operai agricoli sostenuti con una indennità di sostegno al reddito di 600 euro per il mese di Marzo allargata anche ai lavoratori autonomi. È stata definita anche una misura di sostegno per quanti vivono condizioni di esclusione sociale e marginalità come il reddito di ultima istanza» spiega Sbarra.

Ci vuole una protezione sociale per tutti 

«Questi 10 miliardi a sostegno del lavoro sono il primo corposo sforzo», dice il segretario aggiunto Cisl. «Con il decreto di aprile ci aspettiamo altre risorse. Quante ne serviranno? Difficile quantificare, ma noi stiamo chiedendo che il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali (da riconoscere anche al lavoro domestico) e degli altri interventi sia sostenuto e allungato almeno fino alla fine dell’emergenza sanitaria, per ora formalmente prevista il 31 luglio. Servirà anche una misura di protezione sociale universale per sostenere famiglie e quanti non hanno un reddito e vivono in condizioni di marginalità e difficoltà».

Per ora lo misure sono sostenibili

Dunque, uno sforzo di finanza pubblica sostenibile per quanto tempo? Spiega il professor Michele Faioli: «Nella fase emergenziale, è sostenibilissimo. Sul dopo, dipende da quanti torneranno al lavoro e quanti, invece, non potranno. Distanza sociale, utilizzo di tecnologia  e misure di sicurezza nelle aziende quanto incideranno sull’occupazione? Perché da essi dipenderà il graduale ritorno alla normalità produttiva e, dunque, alla occupazione». Un enorme punto interrogativo, insomma. «Ma l’intervento del governo è doveroso, in una situazione imprevedibile e di portata epocale. Teniamo presente una cosa: l’Europa ci sta già aiutando su questo fronte. Con la sospensione del Patto di stabilità, che ci consente di indebitarci di più; con l’azione della Banca centrale europea, che comprando il nostro debito mantiene lo spread a livelli tollerabili; con il nuovo strumento che è nato in questa occasione, il Sure, una sorta di “cassa delle casse”, un fondo sovranazionale europeo per finanziare le misure nazionali di sostegno al reddito».

Cosa succede se il telelavoro continua nella “fase 2”

VEDI ANCHE

Cosa succede se il telelavoro continua nella “fase 2”

Riproduzione riservata