
Lo scorso weekend la frontiera tra Grecia e Macedonia, chiusa da Skopje, è stata travolta dall’ondata di disperati che, attraverso i Balcani, tentano di raggiungere i Paesi europei più ricchi. Intanto l’Ungheria sta costruendo un muro ai confini con la Serbia. Francia e Gran Bretagna rafforzano i controlli per evitare che i migranti attraversino il tunnel sotto la Manica verso l’Inghilterra. E ogni giorno si teme che un altro barcone naufraghi nel Canale di Sicilia, il tratto di mare più pericoloso del pianeta (sabato scorso 4.400 persone, ammassate su gommoni, sono state salvate al largo delle coste libiche). Ci troviamo di fronte all’emergenza immigrati più grave dai tempi della seconda guerra mondiale, ammette l’Unione europea. Da gennaio a luglio sono arrivati 340.000 stranieri, più del doppio rispetto allo stesso periodo del 2014 (90.000 solo in Italia). Possiamo dare una accoglienza adeguata a tante persone? E come evitare le stragi nel Mediterraneo, che quest’anno si sono portate via già 2.300 vite? Lo abbiamo chiesto a 4 esperti, che qui propongono soluzioni che faranno discutere.
Andiamo noi a prendere i rifugiati nei Paesi di partenza
Secondo l’Onu, almeno la metà dei migranti in arrivo nel nostro continente ha il diritto di ottenere l’asilo in Europa, perché sta fuggendo da guerre e violenze. Non si può evitare che questi stranieri affrontino le pericolose traversate in mare? «Per loro è impensabile avere il passaporto prima di partire. Così, per non essere fermati alla frontiera, si affidano agli scafisti ed entrano infrangendo le regole» spiega Carlo Devillanova, docente di Economia politica all’università Bocconi di Milano. «Un modo per farli spostare senza rischi c’è: bisogna permettere ai profughi di presentare la domanda di protezione internazionale a distanza, in campi di accoglienza aperti vicino al Paese di partenza. Dopodiché potremmo farli arrivare da noi con i nostri mezzi, in sicurezza. Un’opportunità oggi offerta a una parte dei siriani: ricevono in Libano lo status di rifugiati e poi vengono trasferiti nelle nazioni occidentali». Questa operazione, chiamata “resettlement”, è seguita dall’Agenzia Onu per i rifugiati. E, dove viene applicata, funziona: negli Stati Uniti, per esempio, in 4 anni il 72% dei richiedenti asilo è entrato nel Paese in questo modo. Da noi solo lo 0,8%. «L’Italia aderisce raramente ai resettlement» sottolinea Devillanova. «Si teme che portino a un boom di arrivi. E che alimentino il malcontento tra i cittadini».
Apriamo le frontiere fra tutti gli Stati europei
Oggi i profughi, una volta entrati nel nostro continente, devono presentare la richiesta di asilo nel Paese dove hanno messo piede per la prima volta. Si tratta quasi sempre di Italia e Grecia, che così si trovano a gestire molte domande con tempi lunghissimi. Non solo. Anche una volta ottenuto lo status di rifugiati, gli stranieri non possono spostarsi liberamente in Europa. Serve un’altra autorizzazione. «Molti di loro hanno parenti in nazioni diverse e vorrebbero raggiungerli per ricostruirsi una vita. Invece sono costretti a restare nel Paese d’arrivo. Solo dopo mesi ottengono un permesso per viaggiare, che garantisce comunque una mobilità ridotta, visto che il documento deve essere rinnovato dalle autorità che lo hanno rilasciato» nota Maurizio Ambrosini, sociologo dell’immigrazione all’università degli Studi di Milano. «L’Unione europea dovrebbe garantire la libera circolazione dei profughi dentro i propri confini e usare un budget comunitario per gestire l’accoglienza, in modo da non scaricarne i costi su pochi Paesi. Così non avremmo migliaia di persone che rimangono “prigioniere” in uno Stato di passaggio».
Aboliamo il reato di immigrazione clandestina
L’Europa è la meta anche di migliaia di “migranti economici”: quelli che non fuggono da guerre e violenze ma dalla povertà. Loro possono entrare in Italia solo se dimostrano di avere già un impiego. Se invece passano la frontiera senza una autorizzazione, commettono un reato e vengono rimpatriati. «Naturalmente è difficile che un datore di lavoro assuma qualcuno che non conosce» osserva Alberto Guariso, avvocato dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). «Quello che succede, piuttosto, è che le persone arrivino con un visto turistico di 3 mesi e poi, una volta scaduto il permesso, rimangano illegalmente da noi. Magari in attesa di una sanatoria per legge. In qualche caso lo straniero trova un impiego e allora torna nel proprio Paese d’origine e si fa richiamare dall’imprenditore italiano in maniera regolare». Anche per questo motivo molti africani e asiatici sono vittime del lavoro nero, con la scusa che non hanno i documenti. «Sarebbe utile cambiare le procedure d’ingresso, creando un visto speciale della durata di 12 mesi per chi cerca occupazione» dice Guariso. Così il reato di immigrazione clandestina sarebbe di fatto sospeso per un periodo. «Come avviene in Australia, lo Stato potrebbe poi stabilire ogni anno di quali figure professionali ha bisogno, aprendo una selezione. In Italia il governo dovrebbe farlo con un apposito decreto flussi».
Creiamo centri di intelligence per prevedere gli sbarchi
Le ondate migratorie prendono di sorpresa l’Italia. Il risultato è che i centri di accoglienza sono sovraffollati e si vive sempre nell’emergenza. «Invece è possibile sapere in anticipo che arriveranno migliaia di stranieri. La Svezia, per esempio, ha imparato a monitorare il fenomeno» dice Ennio Codini, giurista dell’Istituto per lo studio della multietnicità (Ismu) e docente all’università Cattolica di Milano. Chi parte da Sudan e Nigeria ci mette mesi a raggiungere la Libia. E si può calcolare quando i barconi salperanno per l’Italia. «Seguendo il modello di Stoccolma, bisogna realizzare una struttura di intelligence che raccolga i dati di ambasciate e centri studi in Asia e Africa e monitori le zone dove gli attacchi terroristici e le carestie spingono la gente a emigrare. Così il governo può usare le informazioni per prepararsi ad affrontare le crisi» spiega il giurista. «L’Italia non ha nulla di tutto questo. Ecco perché, mentre ogni giorno ci sono nuovi sbarchi, non si è ancora deciso come distribuire tra le varie Regioni i migranti già arrivati».
Sono già 340.000 gli stranieri arrivati in Europa quest’anno: il doppio del 2014. Mentre l’Ungheria alza un muro, la Macedonia ha dovuto riaprire i confini. E in Italia nessuno sa cosa fare. Davvero è un problema irrisolvibile? Ecco le soluzioni controcorrente di 4 super esperti
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