Quarant’anni dopo il suo primo leggendario live milanese, Bruce Springsteen è tornato a San Siro e ha trovato ancora una volta lo stadio gremito. Oltre 58mila spettatori lo hanno accolto con una lunga ovazione, celebrando anche il ritorno sul palco di Little Steven, nuovamente accanto al Boss dopo un intervento chirurgico. Ma quello che è andato in scena il 30 giugno nella capitale meneghina non è stato soltanto un concerto. Il live di Springsteen si è trasformato in un appassionato discorso politico, un j’accuse contro l’amministrazione Trump. Uno spettacolo che è diventato denuncia, mescolando emozione, memoria e impegno civile.
Le parole di Springsteen
«Ciao San Siro, siete pronti?», ha chiesto Springsteen prima di partire con No Surrender insieme alla sua E Street Band da Born in the Usa, il disco scritto nel 1984, l’anno prima di debuttare al Meazza. Bruce però non ha guardato al passato, ma all’attualità. «Stasera vi chiediamo di sostenere la democrazia, di alzarvi e far sentire la vostra voce contro l’autoritarismo e far risuonare la libertà», ha detto in inglese mentre sui maxischermi passava la traduzione in italiano. «Benvenuti nel tour della terra della speranza e dei sogni» che mostra «il potere giusto dell’arte, della musica, del rock and roll in tempi pericolosi», ha spiegato, prima di intonare The Land of Hopes and Dreams.
A San Siro i successi di Springsteen
E se qualcuno avesse avuto dubbi sulle sue opinioni, Springsteen ha aggiunto che «quando in un Paese ci sono le condizioni per un demagogo, lui si presenta», per poi intonare Rainmaker, il mago della pioggia, e Atlantic City. Con Promised Land, ha sfoderato la sua armonica ed è sceso a salutare le prime file e a farle cantare. Hungry Heart l’ha fatta intonare direttamente il pubblico, mentre lui per la prima strofa si è limitato a incitare gli spettatori. Poi è partita The River, ballad che ha dato il titolo al suo album del 1980. Con camicia bianca, panciotto e cravatta, non sembra aver sofferto per il caldo degli ultimi giorni e aver perso fiato nel finale dove resta solo voce. Dall’armonica si è passati alla disarmonica con Youngstown. La città sarà dei giovani, come recita questa canzone da The Ghosts of Tom Joad, ma San Siro è tutta sua.
Springsteen: «Una preghiera per il mio Paese»
Dopo «una preghiera per il mio Paese» ovvero Long Walk Home, Springsteen è tornato a parlare per dire che quello che «sta fra la democrazia e l’autoritarismo sono le persone, come me e voi» e ha eseguito da solo con la chitarra e armonica House of a Thousand Guitars in cui ha cantato del «clown criminale che ha rubato il trono». Mano sul cuore, è passato a My City of Ruins non prima di un j’accuse ancora più duro.
Le dure parole contro Donald Trump
«Ho sempre cercato di essere un buon ambasciatore per l’America – ha detto ai 58mila presenti a San Siro -, ma stanno accadendo cose ora che alterano la natura della democrazia e sono troppo importanti per ignorarle, come la persecuzione di persone perché esercitano la libertà di parola e il dissenso, il taglio di fondi alle università che non si piegano alle loro richieste ideologiche, lo sfruttamento dei poveri, l’alleanza con dittatori». Il Boss ha poi continuato, sottolineando che «la maggioranza dei rappresentanti eletti ha totalmente fallito nel protegge gli americani dagli abusi di un presidente non adeguato e di un governo disonesto, però sopravvivremo a questo momento. Ho speranza perché credo nella verità enunciata dal grande scrittore James Baldwin: ‘In queste mondo non c’è tutta l’umanità che si vorrebbe esistesse, ma ce n’è abbastanza’».
La fine del concerto
Because the Night, Wrecking Ball hanno scaldato il pubblico, mentre Badlands e Thunder Road hanno concluso il concerto ufficiale, ma tutti sanno che Bruce è il re dei bis. E allora via con Born in the Usa con lo stadio illuminato a giorno e tutti a cantare e poi Born to Run, Bobby Jean, Dancing in the Dark, 10th Avenue Freeze-Out, l’ormai immancabile Twist and Shout, per concludere con Chimneys of Freedom.