
In due pizze su tre ci sono ingredienti importati, non certificati e non tracciati: dalla pasta di mozzarella lituana al concentrato di pomodoro cinese, dall’olio tunisino al grano canadese. È la denuncia della Coldiretti
La pizza, uno dei simboli che rappresentano l'Italia in tutto il mondo, spesso è fatta con ingredienti importati. Quasi due pizze su tre, dalle Alpi alla Sicilia, sono preparate e servite con un mix di materie prime fornite da produttori stranieri: dalla pasta di mozzarella lituana al concentrato di pomodoro cinese, dall’olio tunisino al grano canadese. Ma per i consumatori italiani è impossibile saperlo e avere certezze: sui prodotti utilizzati non c’è alcuna indicazione di origine.
Boom di ingredienti importati
A denunciarlo è l’ultimo dossier della Coldiretti. Nel 2015, rende noto la ricerca, le importazioni di concentrato di pomodoro dalla Cina sono aumentate del 379 per cento rispetto al 2014 e hanno raggiunto circa 67 milioni di chili, pari a circa il 10 per cento della produzione nazionale in pomodoro fresco equivalente. L’arrivo di olio dalla Tunisia è cresciuto del 279% e c’è stato un incremento del 17% anche dei prodotti caseari di bassa qualità, provenienti dall’Europa dell’Est e destinati alla trasformazione e alla distribuzione a rivenditori e ristoratori. Un altro dato ha il sapore amaro della beffa. “In particolare – rende nota la Coldiretti - è stata la Campania la regione principale di destinazione del concentrato cinese e delle cagliate industriali”.
La pizza all'Unesco?
L’organizzazione di categoria, premesso tutto questo, ha appoggiato e sostiene la candidatura all’Unesco della “arte dei pizzaioli napoletani”, in lizza per entrare a far parte del “patrimonio immateriale dell’umanità”.
Il riconoscimento, sottolinea Roberto Moncalvo, presidente Coldiretti, “avrebbe un valore straordinario per l'Italia, dove più radicata è la cultura alimentare e dove la pizza rappresenta un simbolo dell’identità nazionale”. Garantire l’origine italiana degli ingredienti e preservare le modalità di lavorazione, sempre secondo Moncalvo, significherebbe “difendere un pezzo della nostra storia” e connotare la differenza “dalla concorrenza sleale”. Il concentrato di pomodoro che arriva dalla Cina in fusti da 200 chili, è uno degli esempi negativi portati, diventa magicamente ‘italiano’ anche se non lo è: nei contenitori al dettaglio è obbligatorio indicare il luogo di confezionamento, ma non quello di coltivazione di perini e affini.
Il business della pizza
I numeri ricordati dai coltivatori rendono l’idea del business legato a Margherite e Capricciose e dell’importanza per la nostra economia, oltre che per l’alimentazione. La pizza sviluppa un fatturato di 10 miliardi di euro solo in Italia, dove ogni giorno si sfornano circa 5 milioni di “pezzi”, per un totale di 1,8 miliardi all'anno. “ In termini di ingredienti – dice Coldiretti - significa 200 milioni di chili di farina, 225 milioni di chili di mozzarella, 30 milioni di chili di olio di oliva e 260 milioni di chili di salsa di pomodoro” sempre meno Made in Italy.
Le leggi europee vanno cambiate
“In un momento difficile per l’economia italiana – insiste il numero uno di Coldiretti - bisogna investire sulla trasparenza e introdurre l’obbligo di indicare l’origine dei prodotti agroalimentari, così come ha chiesto il 96,5 per cento dei cittadini consultati online dal ministero delle Politiche agricole”. I tempi sembrano propizi: “Finalmente – dice ancora Moncalvo - ci sono le condizioni per cambiare le norme comunitarie nel senso della trasparenza, sotto la spinta di Italia e Francia”.
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