Io sono in viaggio. «HO PAGATO I TRAFFICANTI DI UOMINI PER LASCIARE IL MIO PAESE»
«Ero solo. Tutt’intorno, alberi e buio. È stato il momento più terribile del mio viaggio» racconta Mazen, 30 anni. «Dopo centinaia di chilometri a piedi avevo finalmente varcato i confini serbi quando ho perso il mio gruppo per sfuggire alla polizia: ho pensato davvero che fosse finita». Minuti interminabili. Poi, quei rumori, quei sussurri: i suoi amici. Si erano ritrovati, tutti salvi. Questo è solo un flash del viaggio dalla Siria all’Europa che Mazen ha iniziato cominciato un anno fa.
«Vivevo a Damasco. Studiavo Legge e, intanto, lavoravo nel campo dell’informatica» dice. Poi, però, la situazione si è fatta insostenibile: «C’era pochissimo lavoro e io, che in pubblico avevo criticato il regime, venivo fermato spesso da poliziotti in borghese, con qualsiasi scusa. Così, l’anno scorso ho deciso di partire per la Germania dove ho alcuni amici e dove volevo mettere in pratica il tedesco che ho studiato tanto tempo». Prima tappa, la Turchia. «Raggiungerla non è stato difficile perché allora quel Paese aveva ancora spazio per noi rifugiati siriani» ricorda Mazen. «Lì, a Reyhanli, ho trascorso diverse settimane insieme ad altri ragazzi partiti con me». Poi un trafficante di esseri umani ha organizzato per loro il viaggio che li ha portati in Grecia: 1.000 euro a testa, un gommone lungo 8,5 metri per 40 siriani. Neanche a metà percorso il motore ha smesso di funzionare. «Non so neppure io come, ma alla fine siamo riusciti a farlo ripartire» ricorda Mazen.
In Grecia ha ricevuto un permesso di soggiorno di 6 mesi, ma ha ripreso presto la marcia con alcuni amici. «Procedevamo quasi sempre a piedi, seguendo la nostra unica guida: le rotaie di un treno in direzione della Macedonia. Dormivamo nei boschi, attraversavamo luoghi paludosi, ci lavavamo nei fiumi. La cosa fondamentale era non allontanarci da quelle rotaie. Siamo anche stati fermati dalla polizia, ma quasi subito rilasciati». Dalla Serbia in poi le cose si sono fatte più semplici: viaggiando in pullman e in macchina, i ragazzi attraversano l’Ungheria e l’Austria fino alla Germania. «Pagando alcuni trafficanti» ammette Mazen. «Da Berlino la meta finale è la Svezia, dove vive una famiglia di miei amici siriani». La strada, per un profugo, è sempre infinita.